NUOVO REALISMO IN EUROPA SU METANO E NUCLEARE
Intervenendo qualche giorno fa a un evento organizzato dalla CFA Society, il presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, ha auspicato una reazione più forte della banca centrale statunitense, allo shock inflazionistico del 2021.
Anche dall’Asia, e in particolare dalla Cina, arrivano notizie poco rassicuranti che rischiano di rovinare piani di un graduale ritiro di moneta fatto in modo indolore. La velocità di trasmissione della variante Omicron, unita al mantenimento da parte delle autorità cinesi della politica Covid- zero, si stanno infatti traducendo in nuove misure di lockdown che alimenteranno ulteriormente le pressioni inflazionistiche: dei 10 maggiori porti attualmente operanti a livello mondiale ( Shanghai, Singapore, Tianjin, Guangzhou, Ningbo, Rotterdam, Suzhou, Qingdao, Dalian, Busan), ben 7 sono cinesi e se il virus dovesse continuare a espandersi nel Celeste Impero, il rischio di assistere a un ulteriore peggioramento dei colli di bottiglia lungo le supply chain si farebbe molto concreto con effetti drammatici sulla disponibilità e sui prezzi delle materie prime e dunque sull’inflazione. Ovviamente l’Europa non sarebbe risparmiata da un nuovo blocco delle catene di fornitura. Anzi, a differenza degli Usa, dove l’incremento dell’inflazione è stato accompagnato da generosi stimoli fiscali, nel Vecchio Continente il ruolo maggiore nell’alimentare i prezzi, a partire dallo scoppio della pandemia, è stato giocato dalle strozzature sul lato dell’offerta e dalle politiche climatiche. Sul primo fronte un caso emblematico è quello delle distorsioni provocate dalle quote Ue all’import di acciaio. Se infatti l’imposizione di dazi antidumping è stata una scelta di assoluto buon senso al fine di proteggere l’economia europea dalla concorrenza sleale, diverso è il discorso delle misure di salvaguardia che vennero implementate nel 2018, quando il mercato dell’acciaio aveva una sovracapacità strutturale che avrebbe richiesto una correzione. Correzione che oggi non appare più necessaria se pensiamo che già nei primi giorni di gennaio, la maggior parte delle quote di acciaio riservata ai singoli paesi è stata già assorbita, imponendo agli importatori dazi del 25%, incamerati direttamente da Bruxelles. Un approccio pragmatico da parte della Commissione ( che a giugno 2022 si esprimerà su un’eventuale revisione dello strumento) potrebbe essere quello di mantenere le quote annuali complessive, rimuovendo però le quote per paese. Questo perché le politiche commerciali di alcuni paesi esportatori sono cambiate negli ultimi anni e chi magari aveva esportato molto in passato oggi lo fa molto meno, togliendo però quote ad altri paesi. Pertanto è auspicabile l’adozione di un sistema più flessibile al fine di non aggravare inutilmente l’attuale carenza di materiale che provoca tra l’altro continui intasamenti nei porti di Marghera e Ravenna. I produttori siderurgici potrebbero non concordare su questa proposta, ma sarebbe anche nel loro interesse operare in un mercato che, pur rimanendo protetto, non sia così disfunzionale al punto da alimentare pressioni stagflazionistiche. Occorre capire che l’Italia in particolare è un paese di imprese trasformatrici che necessitano anch’esse di tutela, sia sul fronte della disponibilità di materie prime sia su quello della protezione contro la prossima invasione di prodotti e semilavorati made in China, che si verificherà una volta che l’emergenza Covid sarà riassorbita. Un maggiore pragmatismo dalla UE si è invece manifestato sul fronte energetico, con l’indicazione da parte della Commissione di classificare gas e nucleare all’interno della tassonomia. Sebbene infatti si sia assistito nell’ultima settimana di dicembre a un raffreddamento dei prezzi del gas naturale, è bene evidenziare come la dinamica sia stata solo in parte determinata dall’innalzamento delle temperature o dagli arrivi di GNL dagli Usa e che in realtà anche altri fattori hanno contribuito al selling: le liquidazioni da parte dei CTA ( Commodity Trading Advisors, fondi speculativi di breve termine) e la bassa liquidità. Nella sostanza le tensioni sul mercato rimangono strutturali se si considera che il livello di scorte è oggi poco sopra il 50%. È inoltre probabile che i buyer asiatici si riaffaccino a breve sul mercato del gas liquefatto nel prosieguo della stagione invernale, entrando nuovamente in concorrenza con quelli europei.
Tornando alla tassonomia, è probabile che un ruolo importante nell’indirizzare la Commissione verso un approccio più realistico sul fronte energetico sia stato giocato dall’asse ItaliaFrancia. Profetiche a tal proposito sono state le parole del ministro della Transizione, Roberto Cingolani pronunciate a inizio dicembre: “la tassonomia deve guardare avanti. Io non sono d’accordo quando sento dire si debbano escludere il nuovo
La Commissione va verso un approccio più realistico sul fronte energetico con la tassonomia
nucleare o altre forme di energia”. Più formale che sostanziale è stata la reazione della Germania la cui posizione anti nucleare era oggettivamente insostenibile. È bene ricordare infatti quanto la scelta di Berlino di spengere metà dei restanti reattori nucleari ( decisione di politica interna presa nel 2011 dal governo di Angela Merkel all’indomani dell’incidente di Fukushima per evitare una emorragia di elettori in favore dei Verdi) peserà sul mercato energetico europeo, se si pensa che la disattivazione dei 3 reattori nucleari comporterà un calo di produzione di circa 4GW pari a 1.000 turbine eoliche. Un calo di produzione di energia dal nucleare che sarà compensato con il carbone: stando all'Environmental Progress, la generazione di energia elettrica da fonte fossile in Germania passerà nel 2022 al 44% ( dal 37% del 2020), mentre le emissioni di CO2 saliranno a 264 mln di tonnellate ( dai 244 mln del 2021). En passant, vista la spinta alla transizione energetica, sarebbe opportuno che la UE si esprimesse anche contro l’attuale stretta da parte di Pechino nel comparto delle terre rare, elementi fondamentali per lo sviluppo delle energie rinnovabili. E parlando di Cina, ci pare doveroso ricordare che sono ben 14 i reattori nucleari in costruzione, che si aggiungeranno ai 52 già funzionanti, per una capacità totale di circa 60GW che dovrebbe arrivare a 200GW entro il
2035. Il messaggio loro è chiaro: l’elettrificazione non può prescindere dallo sviluppo del nucleare. Concludendo, sebbene il nuovo orientamento sul gas e nucleare da parte di Bruxelles rappresenti un buon primo passo, il punto chiave sarà quello di capire come verrà recepito dal mondo della finanza.