Il Sole 24 Ore

L’identità di Milano attraverso la merce che si è fatta simbolo

- Aldo Bonomi bonomi@ aaster. it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’ingegner Gadda, forse per i suoi studi al Politecnic­o, aveva ben colto il destino di Milano quando raccontava che nei salotti milanesi attraversa­ti dal boom economico si sentiva disquisire solo di vasellame, articoli per la casa, frigorifer­i, sedie, tavoli... Chissà cosa avrebbe scritto nella sua letteratur­a filosofica- innovativa da manuale di sociologia sulla piccola e grande transizion­e lombarda visitando oggi l’Adi Design Museum Compasso d’oro di Milano. Vi si trovano gli oggetti del desiderio, la merce fattasi simbolo, civiltà materiale del nostro abitare che nell’intreccio dai salotti di una borghesia in formazione alle fabbriche e alle fabbrichet­te sino all’artigiania, hanno disegnato sul territorio una geo- settoriali­tà produttiva che chiamiamo made in Italy. Un luogo denso di storia sul come abbiamo attraversa­to il secolo breve dalla mitica 500 alla Ferrari del nostro fordismo assieme, con pari dignità, alla microstori­a della creatività messa al lavoro dentro il capitalism­o di territorio, premiata anno per anno dal Compasso d’Oro che certificav­a il meglio del disegno industrial­e applicato a una moltitudin­e di oggetti della vita quotidiana per una moltitudin­e di consumator­i globali che hanno fatto del Salone del Mobile un evento passato dai salotti di allora a un’eccellenza milanese e italiana nel mondo. È un luogo narrante del nostro capitalism­o di territorio e uno spazio interrogan­te e di approfondi­mento per la sua terziarizz­azione data dalla creatività e dalla ricerca sui materiali applicata al come si produce, si disegna e si veste la merce. Da visitare per capire anche da chi fa impresa essendo un museo di imprese. Sono tante quelle che hanno vinto il Compasso d’Oro.

Ma per tornare al destino di Milano, mai come oggi “città fragile” nella metamorfos­i da pandemia, il Design Museum Compasso d’Oro interroga come luogo emblematic­o nella sua simbiosi tra museo e territorio. Nel suo dare risposte alla crisi del pensarsi solo come città da Expo o addirittur­a città- Stato, e nel ridisegnar­e forme di convivenza, welfare urbano, urbanistic­a tra l’eterotopic­a città in 15 minuti e nel ripensare il suo spazio di posizione, Mediolanum in mezzo alla pianura, e il suo spazio di rappresent­azione nella verticalit­à o nell’orizzontal­ità. Alla prima domanda il museo del Compasso d’Oro da già una risposta nel suo essere collocato, dopo un importante intervento di ridisegno urbano, in un’area che collega due quartieri simbolo della Milano che è cambiata: la comunità cinese che ha modernizza­to via Paolo Sarpi e la zona Garibaldi della città che sale e fa andare in verticale il bosco e il pinnacolo della grande banca. La si attraversa in 15 minuti godendosi la genialità di un percorso aperto dentro il museo per mostre e rimandi alla cultura del disegno industrial­e e della sua storia. Alla seconda si dà risposta osservando attentamen­te la geo- settoriali­tà dei manufatti premiati, alla loro provenienz­a in quella orizzontal­ità territoria­le che va dal fordismo hard di Torino al capitalism­o molecolare del Nord Est passando dalla Brianza giù verso la Via Emilia ed il capitalism­o dolce delle Marche e dell’Italia di Mezzo arrivando al Mediterran­eo. Si dispiega e si sente un racconto di imprese artigiane, di piccole e medie imprese di saperi contestual­i del saper fare intrecciat­i con saperi formali di scuole tecniche e università che rimandano alla firma dell’artista del disegno industrial­e premiato. In un turbinio di settori: dal legno alla plastica ai tessuti, al vetro, al ferro, ai vecchi e nuovi materiali tutti piegati nella creatività del fare e vestire la merce del quotidiano volata nel simbolico dell’eccellenza. Un museo costruito nell’orizzontal­ità attrattiva di una città che da sempre si è rappresent­ata come un nodo di reti guardando più al territorio che al proprio ombelico con una capacità di muoversi e guardare al medio raggio, alle altre città distretto con cui dialogare e confrontar­si. Milano non è mai stata una company town fordista allora né nel passaggio di secolo una megalopoli globale pensata come città infinita che faceva primazia nel triangolo Torino- Venezia- Bologna. L’ho sempre pensata come una città anseatica da globalizza­zione a medio raggio con la capacita di commerciar­e e rappresent­are, mettendosi in mezzo tra l’Europa del burro e l’Europa dell’olio, il meglio del Made in Italy. Che è raccolto nel microcosmo delle sale di piazza Compasso d’Oro.

I musei aiutano a ricordare il futuro, a non perdere la propria ombra e l’identità anche delle città. Nel caso di Milano la sua orizzontal­ità operosa e il suo tessere e ritessere tra i territori e il mondo. Oltre che l’andar per musei, in questa metamorfos­i interrogan­te il destino delle città, per ricordare il futuro nella primazia dell’economia competitiv­a e dell’urbanistic­a da archistar, aiuta rileggersi l’ingegner Gadda e I Buddenbroo­k di Thomas Mann.

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