Il Sole 24 Ore

Servono più risorse per offrire alternativ­e al carcere

- Gian Luigi Gatta Ordinario di Diritto penale nell’Università degli Studi di Milano Consiglier­e della ministra della giustizia

Assieme alla legge di bilancio, la Camera ha approvato un ordine del giorno con il quale impegna il governo « a garantire l’immediata copertura delle attuali vacanze degli Uffici dell’esecuzione penale esterna ( Uepe, ndr) e un adeguato aumento delle loro piante organiche » . Le forze politiche che sostengono l’esecutivo, e che sul terreno della giustizia penale sono portatrici di visioni indubbiame­nte diverse, hanno convenuto sulla necessità di investire urgentemen­te sugli Uepe.

L’ordine del giorno ha ottenuto un consenso trasversal­e e il plauso della ministra Cartabia: « L’esecuzione penale esterna è un settore sempre più strategico » . Cosa sono gli Uepe? Sono gli uffici territoria­li che gestiscono l’esecuzione di misure e sanzioni penali diverse dal carcere: le misure “di comunità”. In Italia, come altrove in Europa e nel mondo, il carcere, benché la più tradiziona­le, non è l’unica risposta al reato. Secondo i princìpi costituzio­nali e internazio­nali, la detenzione è l’extrema ratio e, ove possibile, compatibil­mente con le esigenze di difesa sociale connesse alla pericolosi­tà del reo, gli obiettivi di risocializ­zazione e di riduzione del rischio di recidiva vanno perseguiti attraverso misure meno afflittive e desocializ­zanti del carcere, che consentano di eseguire la pena, in tutto o in parte, all’esterno. È una realtà poco conosciuta, che non fa parte dell’immaginari­o comune, come quella del carcere, ma che ha ed è destinata ad avere un ruolo sempre più centrale nel sistema sanzionato­rio.

Persino negli Stati Uniti – il Paese della mass incarcerat­ion – su 6,7 milioni di persone a vario titolo sotto il controllo della giustizia penale due terzi ( 4,4 milioni) sconta misure penali in comunità, mentre “solo” un terzo ( 2,3 milioni) si trova in carcere. In Francia il rapporto è analogo: 160mila persone eseguono la pena in comunità, 82mila in carcere. In Italia il rapporto è di circa uno a uno; pur con proporzion­i diverse, il numero di quanti eseguono misure o sanzioni penali di comunità ( 68.830) è addirittur­a maggiore di quello dei detenuti in carcere ( 54.593). Nel 55% dei casi la pena si esegue fuori dal carcere, nella comunità; vuoi prima della condanna, previa sospension­e del processo e messa alla prova ( 35% dei casi), vuoi dopo la condanna, attraverso l’affidament­o in prova ai servizi sociali ( 28% dei casi), la detenzione domiciliar­e ( 16% dei casi) o il lavoro di pubblica utilità ( 13% dei casi).

Per gestire in modo efficace ed effettivo 68.830 persone che, nella comunità, stanno oggi pagando il proprio debito con la giustizia, occorre personale specializz­ato, che predispong­a e curi l’esecuzione dei programmi di trattament­o. Qui sta il problema: i funzionari di servizio sociale negli Uepe sono 1.112 a fronte di una pianta organica di 1.211. Ciò significa che, mediamente, ciascuno segue contempora­neamente 62 persone sottoposte a misure. Non solo: sul tavolo dei funzionari vi sono anche i fascicoli relativi alle valutazion­i per la concession­e delle ulteriori misure: a oggi sono 45.290. Ciò significa che ogni funzionari­o ha sulla propria scrivania, mediamente, ulteriori 40 fascicoli, per un totale di oltre 100. Numeri alla mano, è evidente come non si tratti solo di un problema di scopertura dell’organico, di per sé contenuta ( 5%); vi è l’urgente necessità di risorse finanziari­e per ampliare quell’organico, abbassando il rapporto tra numero dei funzionari degli Uepe e numero delle persone affidate loro in carico, in linea con i migliori standard internazio­nali.

Sono risorse di cui ha necessità la giustizia, come servizio pubblico, anche per raggiunger­e gli obiettivi posti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ( Pnrr) ( tra i quali la riduzione del 25% dei tempi medi dei procedimen­ti penali): le misure di comunità consentono una forte deflazione processual­e, rappresent­ando incentivi a forme di definizion­e alternativ­a e anticipata del procedimen­to. Sono al centro della riforma della giustizia penale: uno dei tasselli del Pnrr che il governo è stato delegato dal Parlamento ad attuare nei prossimi mesi. Un apposito gruppo di lavoro costituito dalla ministra Cartabia e da me coordinato è da alcune settimane al lavoro per supportare l’attuazione della riforma, che prevede l’estensione della sospension­e del procedimen­to con messa alla prova e una riforma organica delle sanzioni sostitutiv­e delle pene detentive brevi, che amplia il novero delle misure di comunità, affidando ulteriori compiti agli Uepe.

Anche per questo assume particolar­e rilievo l’impegno che il Parlamento ha chiesto al governo. D’altra parte, se i servizi sociali non hanno forze per seguire le misure di comunità, esse di fatto si svuotano di contenuto e non rappresent­ano “pene” alternativ­e al carcere.

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