Servono più risorse per offrire alternative al carcere
Assieme alla legge di bilancio, la Camera ha approvato un ordine del giorno con il quale impegna il governo « a garantire l’immediata copertura delle attuali vacanze degli Uffici dell’esecuzione penale esterna ( Uepe, ndr) e un adeguato aumento delle loro piante organiche » . Le forze politiche che sostengono l’esecutivo, e che sul terreno della giustizia penale sono portatrici di visioni indubbiamente diverse, hanno convenuto sulla necessità di investire urgentemente sugli Uepe.
L’ordine del giorno ha ottenuto un consenso trasversale e il plauso della ministra Cartabia: « L’esecuzione penale esterna è un settore sempre più strategico » . Cosa sono gli Uepe? Sono gli uffici territoriali che gestiscono l’esecuzione di misure e sanzioni penali diverse dal carcere: le misure “di comunità”. In Italia, come altrove in Europa e nel mondo, il carcere, benché la più tradizionale, non è l’unica risposta al reato. Secondo i princìpi costituzionali e internazionali, la detenzione è l’extrema ratio e, ove possibile, compatibilmente con le esigenze di difesa sociale connesse alla pericolosità del reo, gli obiettivi di risocializzazione e di riduzione del rischio di recidiva vanno perseguiti attraverso misure meno afflittive e desocializzanti del carcere, che consentano di eseguire la pena, in tutto o in parte, all’esterno. È una realtà poco conosciuta, che non fa parte dell’immaginario comune, come quella del carcere, ma che ha ed è destinata ad avere un ruolo sempre più centrale nel sistema sanzionatorio.
Persino negli Stati Uniti – il Paese della mass incarceration – su 6,7 milioni di persone a vario titolo sotto il controllo della giustizia penale due terzi ( 4,4 milioni) sconta misure penali in comunità, mentre “solo” un terzo ( 2,3 milioni) si trova in carcere. In Francia il rapporto è analogo: 160mila persone eseguono la pena in comunità, 82mila in carcere. In Italia il rapporto è di circa uno a uno; pur con proporzioni diverse, il numero di quanti eseguono misure o sanzioni penali di comunità ( 68.830) è addirittura maggiore di quello dei detenuti in carcere ( 54.593). Nel 55% dei casi la pena si esegue fuori dal carcere, nella comunità; vuoi prima della condanna, previa sospensione del processo e messa alla prova ( 35% dei casi), vuoi dopo la condanna, attraverso l’affidamento in prova ai servizi sociali ( 28% dei casi), la detenzione domiciliare ( 16% dei casi) o il lavoro di pubblica utilità ( 13% dei casi).
Per gestire in modo efficace ed effettivo 68.830 persone che, nella comunità, stanno oggi pagando il proprio debito con la giustizia, occorre personale specializzato, che predisponga e curi l’esecuzione dei programmi di trattamento. Qui sta il problema: i funzionari di servizio sociale negli Uepe sono 1.112 a fronte di una pianta organica di 1.211. Ciò significa che, mediamente, ciascuno segue contemporaneamente 62 persone sottoposte a misure. Non solo: sul tavolo dei funzionari vi sono anche i fascicoli relativi alle valutazioni per la concessione delle ulteriori misure: a oggi sono 45.290. Ciò significa che ogni funzionario ha sulla propria scrivania, mediamente, ulteriori 40 fascicoli, per un totale di oltre 100. Numeri alla mano, è evidente come non si tratti solo di un problema di scopertura dell’organico, di per sé contenuta ( 5%); vi è l’urgente necessità di risorse finanziarie per ampliare quell’organico, abbassando il rapporto tra numero dei funzionari degli Uepe e numero delle persone affidate loro in carico, in linea con i migliori standard internazionali.
Sono risorse di cui ha necessità la giustizia, come servizio pubblico, anche per raggiungere gli obiettivi posti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ( Pnrr) ( tra i quali la riduzione del 25% dei tempi medi dei procedimenti penali): le misure di comunità consentono una forte deflazione processuale, rappresentando incentivi a forme di definizione alternativa e anticipata del procedimento. Sono al centro della riforma della giustizia penale: uno dei tasselli del Pnrr che il governo è stato delegato dal Parlamento ad attuare nei prossimi mesi. Un apposito gruppo di lavoro costituito dalla ministra Cartabia e da me coordinato è da alcune settimane al lavoro per supportare l’attuazione della riforma, che prevede l’estensione della sospensione del procedimento con messa alla prova e una riforma organica delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, che amplia il novero delle misure di comunità, affidando ulteriori compiti agli Uepe.
Anche per questo assume particolare rilievo l’impegno che il Parlamento ha chiesto al governo. D’altra parte, se i servizi sociali non hanno forze per seguire le misure di comunità, esse di fatto si svuotano di contenuto e non rappresentano “pene” alternative al carcere.