Il Sole 24 Ore

Allarme stretta Fed, soffre il Nasdaq Il 40% dei titoli giù del 50% dai massimi

Dal record il listino tech perde il 9,5%, ma alcuni titoli sono in profondo rosso Pesa l’aumento dei tassi: i Treasury decennali Usa ai livelli pre Covid di 1,8%

- Borse Vito Lops

Gli operatori che si aspettavan­o un rimbalzo del Nasdaq nella prima seduta della settimana post- vacanze sono rimasti delusi. Perché proprio ieri le vendite sul listino tecnologic­o statuniten­se si sono fatte più intense, con un calo che a inizio seduta ha raggiunto il 2% amplifican­do la portata della correzione al 9,5% rispetto ai massimi storici toccati il 22 novembre ( in chiusura, registrata una leggera crescita, dello 0,05% ).

Da allora il Nasdaq 100 è salito sulle montagne russe scendendo per due volte in area 15.600 punti per poi rimbalzare. Nel periodo natalizio sono tornati gli acquisti riportando l’indice oltre i 16.600 punti. In questo 2022 però non c’è stata pace e gli “orsi” hanno preso per ora il comando. La notizia tecnica rilevante dell’ultima seduta è che stata sfondata al ribasso la soglia dei 15.600 punti, toccata per la terza volta in un mese. A questo giro il triplo minimo non ha retto e saranno le prossime sedute a svelarci se tornerà domanda. Ci focalizzia­mo sul Nasdaq perché in questo momento è diventato il sistema solare di Wall Street. Non solo perché include, al pari del più grande S& P 500, le sei più grandi aziende per capitalizz­azione ( Apple, Microsoft, Google, Amazon, Facebook e Tesla) ma anche perché è in questo momento il paniere più vulnerabil­e alla violenta rotazione dei portafogli in atto da parte dei gestori. La traccia che stanno seguendo i mercati - che amano fino a prova contraria portarsi avanti nell’andare a scontare uno scenario - è che la variante Omicron, più trasmissiv­a ma meno pericolosa della Delta, potrebbe rappresent­are l’ultimo stadio del ciclo pandemico, quello che porterebbe all’immunità di gregge. In questo caso le banche centrali non avrebbero più scuse per proseguire nell’espansione monetaria smisurata condotta sinora, la stessa che ha portato in poco più di un anno il bilancio della Federal Reserve da 3mila a 8.800 miliardi di dollari. Quindi chi ha un portafogli­o sbilanciat­o in titoli growth - che danno il massimo con tassi reali bassi e soffrono per primi un’inversione di questo movimento - sta correndo ai ripari. Vendendo titoli “growth” ( di cui il Nasdaq è il più grande rappresent­ante globale) e comprando settori che guardano oltre la pandemia. Questo spiega perché non sta scendendo tutto. Da inizio anno ad esempio a Wall Street i titoli energetici sono in rialzo del 9%, quelli bancari del 4,5% e gli industrial­i non hanno perso nulla. Quelli che stanno pagando più dazio sono i titoli dei settori tech, real estate, consumi discrezion­ali e sanitari. Il Nasdaq sta soffrendo, per la sua natura, più di tutti l’attuale rotazione dei portafogli innescato dal rialzo dei rendimenti ( ieri i Treasury a 10 anni hanno superato l’ 1,8%, come non accadeva da gennaio 2020, prima della pandemia). Osservando poi i numeri e le statistich­e non si può escludere che gli attuali livelli non nascondano lo scoppio in atto di una bolla. Perché se è vero che a livello di indice il ribasso dai massimi è intorno al 10% ( e quindi siamo ancora ben lontani dal quel - 20% che di solito segna l’ingresso in un mercato ribassista), invece a livello di singoli titoli è tutt’altra storia. Il 40% dei titoli del Nasdsaq composite ha perso il 50% dai suoi rispettivi massimi. Quindi per quasi la metà della aziende tech di Wall Street i grafici raccontano che si è già andati oltre il concetto di semplice, salutare, correzione. Per intenderci, tra il 2000 e il 2002, gli anni dell’implosione della bolla dei titoli della new economy, il numero delle società del Nasdaq che perse il 50% non superò il 55%. I numeri attuali ( 40%) non sono poi così lontani.

La grande differenza rispetto al passato è che l’indice è oggi distorto dall’andamento delle “big six” e dal fatto che il meccanismo di calcolo è ponderato in base alla capitalizz­azione di mercato. Per intenderci, la sola performanc­e di Apple incide per il 15% nel determinar­e l’andamento di tutto il Nasdaq 100. Se poi aggiungiam­o anche Microsoft, Amazon, Facebook e Tesla arriviamo al 55% del totale. Ciò vuol dire che se questi pochi colossi perdono poco nelle fasi ribassiste la performanc­e del Nasdaq risulterà ovattata ma non racconterà tutta la storia. E la storia che oggi viene scritta dietro le quinte è, come dimostra anche il grafico in pagina, che quasi una società su due quotate nel listino ha perso metà del valore rispetto ai massimi recenti. Un tempo un fenomeno del genere veniva senza dubbio catalogato nel capitolo “bolle finanziari­e scoppiate”. Oggi invece parliamo di correzioni. Ma per chi nell’ultimo anno ha detenuto titoli in portafogli­o come Paypal (- 42% dai massimi di luglio), Twitter (- 52 da febbraio), Peloton (- 82% da gennaio), Zoom (- 80% in 14 mesi), sarebbe più giusto parlare di bolla. O comunque di sonori schiaffi in faccia presi da un mercato che, per quanto drogato dalle banche centrali, riesce ancora a lasciare delle cicatrici.

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