LE MOSSE CONTRO L’ASSALTO ALLA DILIGENZA
Da un lato, le tensioni politiche e le conseguenze del caro energia e dell’impennata dell’inflazione sul potere di acquisto di salari e pensioni. Dall’altro, le preoccupazioni su quel che avverrà in autunno, quando andrà in scena l’ultima manovra della legislatura che dovrebbe avere al suo centro il taglio del cuneo fiscale e contributivo. Da Palazzo Chigi al ministero dell’Economia si cominciano a delineare le contromosse per prevenire quello che si annuncia come il rischio più immediato: una sorta di “assalto alla diligenza” in stile anni Ottanta, alimentato dalle richieste che proverranno dai partiti man mano che si avvicinerà l’appuntamento con le urne nella primavera del prossimo anno. Un tempo lo si definiva il “ciclo elettorale” di spesa. Questa volta i margini paiono molto stretti. Si potrà far conto per finanziare gli interventi della prossima legge di Bilancio sul buon andamento delle entrate. Qualche sforbiciata nelle pieghe del bilancio, non certo una vera e propria spending review resa alquanto complicata proprio dall’avvicinarsi delle elezioni, e poco altro. L’argine che s’intende frapporre alle richieste di spesa ( anche in deficit) che certamente non mancheranno quando la manovra approderà in Parlamento è costituito dall’” invarianza complessiva” dei saldi di finanza pubblica. Il quadro che sarà definito con la Nota di aggiornamento al
Def del prossimo settembre dovrà essere sostanzialmente blindato. Nessun nuovo scostamento di bilancio, dunque, che sarebbe percepito dai mercati e dai partner europei come una sorta di
“rompete le righe”, favorito in qualche modo dalla proroga a tutto il 2023 dei vincoli di bilancio scolpiti nel Patto di stabilità. Lo spread è in agguato e occorrerà valutare l’impatto sul versante della spesa per interessi degli annunciati aumenti dei tassi da parte della Bce. E in autunno vi sarà comunque un check da parte della Commissione Ue sull’andamento della finanza pubblica nei paesi, tra cui l’Italia, che evidenziano squilibri macroeconomici eccessivi a causa dell’alto debito pubblico. Sarà tutt’altro che semplice, per il presidente del Consiglio Mario Draghi e per il ministro dell’Economia Daniele Franco, far fronte alle spinte concentriche che proverranno dai partiti che compongono la maggioranza. A patto naturalmente di superare indenni le tensioni originate dalla scissione del M5S, e dai persistenti distinguo di Giuseppe Conte da un lato e della Lega dall’altro, dallo “ius scholae” alle armi all’Ucraina, per finire con le nuove misure che si renderanno necessarie per arginare l’impennata dell’inflazione. Vi sarà a disposizione della prossima manovra una “mini dote” per finanziare le modifiche che verranno introdotte in sede parlamentare, ma non molto di più, tanto che non si esclude in via di principio che alla fine si debba ricorrere – come del resto è avvenuto negli ultimi anni – al rituale voto di fiducia. Modifiche che dovranno essere il più possibile concordate in via preventiva a livello politico, e poi monitorate nel corso del dibattito parlamentare. Un percorso che potrà contare sulla vigilanza del Colle. L’alternativa, vale a dire elezioni anticipate in autunno, in pieno svolgimento della sessione di bilancio con il rischio che si scivoli verso l’esercizio provvisorio, è vista come un’extrema ratio da evitare in ogni modo.
‘ Il quadro che sarà definito con la Nota di aggiornamento al Def di settembre dovrà essere blindato