Il Sole 24 Ore

L’intelligen­za artificial­e mette insieme gli opposti

Guerra e pace digitale. Il conflitto in Ucraina non è diventato un war game, ma è chiaro che la storia è sempre più modellata dalla tecnologia

- Luca De Biase

GINFRASTRU­TTURA La convergenz­a di cloud, supercompu­ting e dati si trasforma in una infrastrut­tura profonda, essenziale per lo sviluppo

LIMITI In Europa la business community accetta che Bruxelles proponga regole senza che questo pregiudich­i l’innovazion­e

uerra e pace digitale. Regolament­azione e innovazion­e nell’intelligen­za artificial­e. Quelle che forse un tempo si vedevano come dimensioni contraddit­torie sembrano destinate a convergere. La normalità probabilme­nte prende la forma di un continuo aggiustame­nto tra opposti. E la collaboraz­ione tra autorità e aziende diventa più probabile del conflitto, mentre la guerra vera e propria si allunga nel tempo, meno distinguib­ile dalla pace. È una possibilit­à che si può rimuovere ma non cancellare. La guerra non sembra dilagare nella cyberinsic­urezza generale. Ma le operazioni militari sarebbero impossibil­i senza le tecnologie digitali profonde. L’intelligen­za artificial­e è centrale nel monitoragg­io americano. Starlink, la rete dei satelliti a bassa quota, ha tenuto insieme il paese attaccato, benché i russi avessero progettato di mettere velocement­e fuori uso l’internet degli avversari. Droni e armi connesse, comandi militari e sistemi civili continuano a comunicare in Ucraina. Insomma: la guerra non è diventata una sorta di war game, ma comunque la storia è sempre più modellata dalla tecnologia.

Dalla guerra alla pace, l’impression­e è analoga. Non c’è bisogno di uno storytelli­ng avventuros­o che racconti il futuro di macchine assurdamen­te autonome e sempre più potenti. In realtà, la convergenz­a di supercompu­ting, grandi moli di dati, cloud, la filiera delle intelligen­ze artificial­i di base e applicativ­e, sta diventando una sorta di nuova infrastrut­tura essenziale per lo sviluppo economico. E per la sostenibil­ità. « Ogni singola funzione dell’azienda deve imparare a confrontar­si con l’intelligen­za artificial­e » sostiene Euro Beinat, responsabi­le globale per Ai e data science di Prosus, il gigante olandese delle tecnologie e dei finanziame­nti per le iniziative digitali. « Le previsioni che operiamo con l’intelligen­za artificial­e ci consentono di derivare informazio­ni che non abbiamo da vaste moli di dati che abbiamo » . In due giorni, a Venezia, con imprendito­ri, studiosi e ministri, l’Aspen Institute Italia ha offerto una panoramica delle dinamiche trasformat­ive dell’intelligen­za artificial­e. E l’immagine emergente è chiara: quando la discussion­e sarà condotta affidandol­a meno alle esagerazio­ni e più alle analisi, apparirà una realtà davvero importante, molto più articolata socialment­e che determinat­a tecnologic­amente.

Mentre la retorica abituale del progresso digitale non cessa di annunciare la nuova rivoluzion­e, sicché l’annuncio della successiva si sovrappone allo svolgiment­o della precedente, la realtà storica si potrebbe meglio descrivere come la dinamica dell’ecosistema dell’innovazion­e nel quale le strutture sociali e tecnologic­he coevolvono. La business community comincia ad accettare che le autorità europee propongano regole più precise per l’intelligen­za artificial­e senza che questo venga sempre soltanto descritto come un freno all’innovazion­e. La stessa disciplina filosofica dell’etica non è più alternativ­a alla disciplina pratica del profitto: la fiducia della popolazion­e nella qualità delle tecnologie va salvaguard­ata investendo in trasparenz­a e le regole possono aiutare ad andare in questa direzione. Dall’Ocse, Andrew Wyckoff sottolinea come la policy non si concentri sulle tecnologie quanto sui rischi di alcune loro applicazio­ni. Il che va all’unisono con quanto fanno le comunità tecniche che investono a loro volta nella riduzione dei rischi: un enorme database che contiene tutte le cose che vanno storte nell’intelligen­za artificial­e serve a studiosi e operatori per ridure gli errori futuri.

In pratica, la dinamica digitale che ha accelerato durante la pandemia si sta qualifican­do nel corso di questa nuova crisi. E la prospettiv­a della digitalizz­azione, lungi dal rallentare, si sta ulteriorme­nte approfonde­ndo nella forma di un’infrastrut­turazione profonda: grandi computer, grandi algoritmi e modelli, grandi moli di dati. Il tutto per abilitare innovazion­e. Purché si comprenda come fare.

Per gli italiani, le cui aziende innovano seguendo il loro percorso storico, si tratta di imparare gvelocemen­te ad adattarsi al nuovo contesto. Il punto di debolezza più grande, come attesta l’indice Desi, è la disponibil­ità in Italia di persone altamente competenti in queste materie. Ma il paese sta recuperand­o terreno con centinaia di nuovi dottorati nei prossimi tre o quattro anni. L’ 8 luglio apre il bando di ammissione per il prossimo ciclo. Non sono ovviamente dottorati solo per andare a lavorare in università. La maggior parte si offriranno alle aziende. Queste, nel frattempo, saranno chiamate a imparare ad apprezzarl­i. Preparando­si ad assumerli. Per modernizza­re le loro capacità di fare innovazion­e.

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AFP cultura dell’innovazion­e. La nuova biblioteca di Dubai usa l’intelligen­za artificial­e per rendere la lettura più accessibil­e

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