E le attese sulla Fed Usa mandano le Borse in stallo
I dati statunitensi escono sopra le stime a 0,3% Tagli dei tassi più lontani
Sembrava un tranquillo venerdì, con le Borse che viaggiavano serene in rialzo più per forza d’inerzia che per reali motivi. Poi, nel primo pomeriggio italiano, ecco la doccia fredda: negli Stati Uniti i prezzi alla produzione sono saliti a gennaio più di quanto fosse atteso: + 0,3% su base mensile e + 0,9% su base annuale. Per gli investitori è stata un’altra sorpresa negativa, dopo il dato sull’inflazione Usa superiore alle attese di martedì scorso: significa che la Federal Reserve potrebbe aspettare più del previsto prima di tagliare i tassi d’interesse, come sperano i mercati. Il mercato sa che la Fed si muoverà quando il ribasso del costo della vita sarà oltre ogni ragionevole dubbio. E, dopo questi dati, i dubbi aumentano.
Così i mercati hanno reagito nell’immediato nel modo più coerente a questa sorpresa negativa: le Borse hanno perso i guadagni precedenti e sono scese in territorio negativo. Ma la sbandata è durata poco: alla fine Milano ha chiuso a + 0,12%, Parigi a + 0,34%, Francoforte a + 0,39% e Londra a + 1,50%. Deboli ma intorno alla parità, invece, le Borse Usa. Perché la turbolenza è stata così limitata? Perché la liquidità è ancora abbondante e cresce la speranza che la Fed possa presto smettere di drenarla con il « quantitative tightening » . In rialzo per una parte della giornata invece il dollaro, che ha chiuso la quinta settimana di fila in positivo sulle principali valute mondiali grazie proprio al possibile rinvio del taglio dei tassi. In rialzo, inoltre, i rendimenti dei titoli di Stato, con quelli statunitensi intorno ai massimi da due mesi.
L’inflazione dura a morire
Che l’inflazione negli Stati Uniti, come in Europa, sia drasticamente calata è fuori di dubbio. Il problema sta nell’ultimo miglio: il timore è insomma che sia stato più facile portarla dal 9% al 3%, piuttosto che dal 3% all’obiettivo del 2%. E i dati di questi giorni sembrano confermare le preoccupazioni dei mercati. Martedì l’inflazione Usa è uscita superiore alle attese al 3,1%. Dunque è calata rispetto a dicembre ( quando si era fermata al 3,4%) ma non è scesa al 2,9% come il mercato si aspettava. E ieri l’indice dei prezzi alla produzione ha lanciato lo stesso identico messaggio. Il mercato si aspettava una crescita dello 0,1%, mentre invece i prezzi sono saliti dello 0,3%.
Questo ha un unico significato: la Fed verosimilmente temporeggerà prima di tagliare i tassi d’interesse. Infatti le aspettative si continuano a ridimensionare: ormai un taglio dei tassi a marzo è considerato altamente improbabile dal mercato dei futures, mentre per maggio le probabilità stimate dal mercato sono scese dal 45% di giovedì al 3035%. Anche a giugno, per la prima volta, non è più scontato al 100% il primo taglio dei tassi. L’ipotesi è stata spostata più verso luglio.
La reazione dei mercati
Come detto le Borse hanno sbandato. Ma per poco. E il motivo lo ha dato, tra le righe, Michael Barr, vicepresidente della Federal Reserve: « La vigilanza sta monitorando da
Borse europee e Usa poco mosse alla fine, dopo cambi di rotta. Salgono il dollaro e i rendimenti dei bond
Il mercato teme il rinvio dei tagli dei tassi, ma spera nello stop del drenaggio di liquidità
vicino l’esposizione delle banche sui prestiti al settore degli immobili commerciali » . Cosa capisce il mercato da queste parole? Che la Fed è preoccupata per l’impatto della crisi degli immobili non residenziali sul sistema delle medie banche Usa e che presto potrebbe smettere di drenare liquidità. Cioè: la Fed - pensano in tanti sul mercato - potrebbe bloccare il « quantitative tightening » , con cui ogni mese ritira 90 miliardi di liquidità.
Perché a furia di togliere liquidi, c’è il rischio che qualche banca resti davvero a secco. Così alla preoccupazione che i tassi possano tardare a scendere, si associa la speranza che la Fed possa smettere di togliere liquidità ai mercati. Due forze opposte, che ieri hanno alla fine hanno fatto chiudere le Borse in pari.
Il problema è che la crisi delle banche Usa ha contorni ancora non definiti. E si sta allargando ad alcune banche europee, soprattutto quelle regionali tedesche che sono particolarmente esposte sul mercato degli immobili commerciali Usa. L’incertezza, insomma, non manca.