Il Sole 24 Ore

CON IL FILTRO RAFFORZATO L’ISTITUTO PERDE INCISIVITÀ

- di Fabio Fiorentin

Con la decisione della Cassazione, contraria all’impugnabil­ità dell’ordinanza di diniego di accesso alla giustizia riparativa, si rafforza il filtro all’ammissione ai programmi di riparazion­e, già fissato dalla giurisprud­enza che ha sancito la non obbligator­ietà dell’avviso alle parti della facoltà di accedere alla giustizia riparativa.

Peraltro, l’inquadrame­nto sistematic­o operato dalla Cassazione nella sentenza 6595/ 2024 appare non del tutto persuasivo laddove nega la natura giurisdizi­onale all’attività del giudice nella verifica dei presuppost­i per l’accesso ai programmi riparativi. Questo sia perché l’attività è esercitata a fini di giustizia, implicando valutazion­i inerenti a profili di sicurezza delle parti e di risoluzion­i delle questioni derivanti dal fatto- reato; sia per le dirette ricadute dell’attività riparativa sul trattament­o sanzionato­rio e sulle modalità di esecuzione della pena e sulla libertà personale dell’imputato.

Va detto che l’impugnabil­ità del provvedime­nto previsto dall’articolo 129- bis del Codice di procedura penale e, in generale, la tutela di una persona – sia la vittima, sia colui che è indicato come autore dell’offesa – di fronte alle decisioni del giudice ( compreso il suo silenzio) circa l’interesse a partecipar­e a un programma riparativo dipendono non solo dalla natura del procedimen­to che si svolge innanzi ai mediatori. È decisiva la natura dell’aspettativ­a riconosciu­ta alle persone coinvolte. In questo senso, le norme hanno qualificat­o l’aspettativ­a all’accesso al programma riparativo come una “facoltà” e non come un “diritto”, tanto che l’articolo 129- bis del Codice di procedura penale e l’articolo 15- bis dell’ordinament­o penitenzia­rio non prevedono l’obbligo di sentire la vittima.

Se però si costruisse l’impianto del programma riparativo come un diritto dell’imputato/ indagato e non come interesse della persona indicata come autore dell’offesa non avrebbe più senso parlare di una disciplina organica della giustizia riparativa, perché saremmo di fronte a un sub procedimen­to giurisdizi­onale di cui la vittima sarebbe parte eventuale.

D’altro canto, l’esclusione di ogni profilo di nullità connesso all’eventuale mancato avviso alle parti della facoltà di accedere alla giustizia riparativa e la natura discrezion­ale del vaglio giudiziale sull’accesso alla restorativ­e justice, sottratto alla possibilit­à di impugnazio­ne, in una con l’impermeabi­lità della giustizia riparativa alle garanzie proprie del processo penale, disegnano il volto di un sistema che pare disincenti­vante rispetto alle pratiche riparative, evidenzian­do una vera e propria “crisi di rigetto” di quello che – a detta di autorevoli commentato­ri – avrebbe dovuto costituire il vero fiore all’occhiello della riforma Cartabia.

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