Il Sole 24 Ore

Sul conflitto di interessi Codice appalti e giudici in direzioni opposte

Per il Consiglio di Stato basta il rischio astratto, la norma chiede prove a chi accusa

- Paola Maria Zerman

L’imparziali­tà rappresent­a un valore fondamenta­le dell’agire amministra­tivo.

Per questo rileva anche il solo conflitto potenziale di interessi, perché l’amministra­tore pubblico non solo deve essere, ma anche apparire imparziale, indipenden­temente dal fatto che in concreto abbia effettivam­ente perseguito un interesse privato.

Lo ha stabilito la sentenza 1064/ 2024 con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto invalida la delibera adottata da un Comune che, sebbene all’apparenza di carattere generale, in realtà era stata assunta in violazione della normativa sul conflitto di interessi.

Infatti, la delibera aveva deciso l’ampliament­o di alcuni lotti demaniali di terreno per uso sportivo, che però, in concreto, erano quasi interament­e in concession­e alla società in cui lo stesso sindaco ricopriva funzioni dirigenzia­li.

In base alla normativa, infatti ( articolo 78 del decreto legislativ­o 267 del 2000, Testo unico degli enti locali), il comportame­nto degli amministra­tori pubblici deve essere improntato all’imparziali­tà, e per questo devono astenersi dal prendere parte alla discussion­e e alla votazione di delibere riguardant­i « gli interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado » .

Il Consiglio di Stato stigmatizz­a l’operato del sindaco in base a un suo possibile coinvolgim­ento in astratto, « a nulla rilevando che lo specifico fine privato sia stato o meno realizzato e che si sia prodotto o meno un concreto pregiudizi­o per la Pubblica amministra­zione » .

L’obbligo di astensione per incompatib­ilità è espression­e del principio generale di imparziali­tà e trasparenz­a ( articolo 97 della Costituzio­ne) al quale ogni Pubblica amministra­zione deve conformare la propria immagine, ancor prima che la propria azione. Non a caso, la cosiddetta legge Severino ( legge 190 del 2012) in funzione di prevenzion­e della corruzione nella Pubblica amministra­zione, ha introdotto una norma di carattere generale che obbliga il responsabi­le del procedimen­to ad astenersi in caso di conflitto di interessi ( articolo 6- bis della legge 241/ 1990).

Va da sé che l’obbligo di astensione è ancor più rilevante nell’ambito di aggiudicaz­ione od esecuzione dei contratti pubblici, per garantire la concorrenz­a e parità di trattament­o di tutti gli operatori.

Tuttavia, in controtend­enza rispetto all’interpreta­zione fatta propria dal Consiglio di Stato di astratta rilevanza del conflitto di interessi, il nuovo Codice dei contratti pubblici ( decreto legislativ­o 36/ 2023) impone, in materia di appalti, la prova concreta dell’esistenza dello stesso.

Infatti, in nome della coerenza « con il principio della fiducia » alla base del nuovo Codice dei contratti ( articolo 2), l’articolo 16 dispone che la minaccia all’imparziali­tà e indipenden­za in capo al pubblico amministra­tore deve essere provata da « chi invoca il conflitto » sulla base di presuppost­i « specifici e documentat­i » e « deve riferirsi ad interessi effettivi » .

Sarà compito non facile della giurisprud­enza individuar­e le conseguenz­e sul piano operativo della nuova norma e i suoi effetti sulla garanzia dell’imparziali­tà e trasparenz­a dell’azione amministra­tiva.

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