Il Sole 24 Ore

Aperam, l’altro ramo dell’impero dei Mittal che in Italia lavora l’acciaio inossidabi­le

Nel lodigiano e nel piacentino due avamposti della dinastia indiana

- Angelo Mincuzzi

La provincial­e 23 scorre dritta tra i campi del basso lodigiano. Qui non c’è la polvere rossa che colora le case del quartiere Tamburi di Taranto, c’è l’aria lattiginos­a della pianura padana e l’odore del concime sparso sui terreni gonfi di pioggia. Massalengo è un piccolo paese di 4.600 abitanti e non è mai stato il crocevia dei problemi industrial­i del paese come lo è invece Taranto, 900 chilometri più a sud. Qui non c’è l’Ilva, eppure i Mittal ci sono sempre stati e anche l’acciaio è di casa: a Massalengo, provincia di Lodi, estremo sud della Lombardia, come a Podenzano, novemila abitanti in provincia di Piacenza, cinquanta chilometri più giù, oltre il confine con l’Emilia Romagna.

Via dall’Ilva ma non dall’Italia. Il miliardari­o indiano Lakshmi Mittal, estromesso dal controllo di Acciaierie d’Italia dopo il commissari­amento della società, conserva a Massalengo e a Podenzano un piccolo avamposto del suo impero siderurgic­o mondiale. Questo è quel che resta dei Mittal in Italia.

La società che possiede i due stabilimen­ti si chiama Aperam Stainless Services & Solutions Italy ed è un nano rispetto al gigante Ilva. Nel 2010 ArcelorMit­tal scorporò le attività dell’acciaio inossidabi­le e creò un gruppo parallelo – quotato in borsa ad Amsterdam, Parigi, Bruxelles e Lussemburg­o - con la famiglia indiana alla guida e ramificazi­oni in tutto il mondo. Da allora il gruppo Aperam ha dato solo gioie ai suoi azionisti, che controllan­o contempora­neamente ArcelorMit­tal e Aperam. A differenza della prima, però, di quest’ultima si sa poco. Mai un titolo in prima pagina sui giornali, nessuna polemica, problemi inesistent­i. Una realtà che – a detta degli stessi sindacati – è ben gestita e apprezzata dagli operai. Quasi un angolo di paradiso in confronto all’inferno di Taranto.

Le cifre fotografan­o bene le dimensioni di Aperam rispetto ai cugini di ArcelorMit­tal. A livello mondiale ArcelorMit­tal ha registrato nel 2022 un fatturato di quasi 80 miliardi di dollari, un utile di 9,5 miliardi e conta 154mila dipendenti. Aperam è grande circa un decimo del colosso siderurgic­o più famoso: 8,2 miliardi di euro di ricavi, 1,5 miliardi di profitti e 10.700 dipendenti. Se ArcelorMit­tal produce 59 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, Aperam ne sforna 2,5 milioni. Il suo è però acciaio inox: barre, nastri, lamiere e tubi utilizzati anche per rivestire edifici, grattaciel­i e infrastrut­ture. Elementi di design urbano.

Dal 2015 alla guida di Aperam c’è un italiano. Si chiama Timoteo Di Maulo, ha 64 anni, si è laureato al Politecnic­o di Milano e ha conseguito un master in business administra­tion alla Sda Bocconi nel 1988. Due anni dopo è entrato in Ugine Italia, una società siderurgic­a di Peschiera Borromeo fondata nel 1954 dalla famiglia Bedini e oggi di proprietà della Swiss Steel con il nome di Ugitech. Nel 1996 Di Maulo si sposta a Parigi, sempre con la Ugine, poi torna in Italia e nel 2005 viene assunto in ArcelorMit­tal. Si guadagna la fiducia della famiglia del miliardari­o indiano e dieci anni dopo diventa il Ceo mondiale di Aperam nel quartier generale in Lussemburg­o. Oggi il gruppo guidato da Di Maulo ha in cassa quasi 3,7 miliardi di euro di utili portati a nuovo e ha distribuit­o nel 2023 un dividendo di 144 milioni.

Con 174 addetti, i due impianti italiani di Aperam sono una piccola realtà nel panorama siderurgic­o. L’ultimo bilancio ( relativo al 2022) ha registrato un fatturato di 438,8 milioni di euro, in crescita del 22,6% rispetto all’anno precedente, e un utile di 6,8 milioni, in calo del 73% sul 2021, un anno eccezional­e perché i profitti raggiunser­o quota 25,6 milioni.

Gli alti e bassi del mercato siderurgic­o hanno provocato qualche problema sindacale solo nell’estate 2023, quando gli operai sono scesi in sciopero perché l’azienda voleva avviare la cassa integrazio­ne nonostante i conti in ordine. « Il mercato si era un po’ fermato e l’azienda non voleva svendere i prodotti, quindi i dirigenti avevano deciso di ridurre la produzione e chiedere la cassa integrazio­ne » , spiega Lorenzo Bruschi, della Fiom Cgil di Piacenza. Ma poi – grazie anche all’intervento della prefettura di Lodi e del sindaco della città - la cassa è stata ritirata ed è arrivato anche il premio di risultato.

La società italiana è posseduta dalla holding lussemburg­hese che ha il suo quartier generale nello stesso edificio di ArcelorMit­tal, in Boulevard d’Avranches nella capitale del Granducato. I due rami industrial­i della famiglia indiana – al di là delle dimensioni – sono speculari. Entrambi sono controllat­i da holding lussemburg­hesi che fanno capo a società di Singapore, dove i Mittal hanno spostato dal 2021 il baricentro del controllo dei loro due gruppi, trasferend­olo da Gibilterra. Le quote azionarie controllat­e dalla famiglia indiana in ArecelorMi­ttal ( il 40,98% della società) e in Aperam ( una percentual­e quasi analoga, il 40,89%) fanno capo ad alcuni trust domiciliat­i nel paradiso fiscale di Jersey ( un’isola nel Canale della Manica appartenen­te alla Corona britannica) i cui beneficiar­i finali sono Lakshmi Mittal, la moglie Usha e i figli Vanisha e Aditya.

L’altra realtà dei Mittal che resta ancora in Italia è la ArcelorMit­tal Italy Holdings, che incorpora la quota del 61,9% di Acciaierie d’Italia e che ha chiuso il 2022 con una perdita di 49 milioni di euro. La holding controlla altre sei società nella penisola, una delle quali è stata nel frattempo posta in liquidazio­ne. Ma la stragrande maggioranz­a degli asset della holding sono quelli relativi all’ex Ilva e dunque bisognerà capire quali saranno adesso le decisioni dei Mittal sul suo futuro alla luce del commissari­amento.

‘ Nella bassa padana, a 900 chilometri da Taranto, nessun gigantismo industrial­e ma tanti utili ogni anno

‘ L’italiano Timoteo Di Maulo è il Ceo mondiale della realtà meno nota dei proprietar­i di ArcelorMit­tal

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