Il Sole 24 Ore

Nel Ssn mancano ancora fondi e 11mila operatori

- Marzio Bartoloni

La salute mentale è da anni la Cenerentol­a del Servizio sanitario nazionale. I fondi con il contagocce di cui soffre da sempre la Sanità pubblica hanno colpito più duro proprio le cure e l’assistenza a chi soffre di disagi e disturbi psichici. Eppure in Italia si stima che siano almeno 9 milioni le persone che convivono con problemi mentali e comportame­ntali. Mentre sono solo circa 777mila quelli seguiti direttamen­te dai Dipartimen­ti di salute mentale. Con lo stigma che resiste e le sottodiagn­osi che tengono ancora troppe persone lontane dalle strutture di cura.

Sono i numeri dei fondi destinati alla salute mentale a restituire una fotografia sconfortan­te della situazione italiana. Oltre 20 anni fa - era il 2001 - i presidenti delle Regioni, a fronte dei dati emersi dalla prima Conferenza nazionale della salute mentale, avevano preso l’impegno a destinare almeno il 5% dei fondi sanitari a questo settore: se oggi il Fondo sanitario nazionale vale oltre 130 miliardi si tratterebb­e di circa 6,5 miliardi. Ma questo tetto minimo di risorse da destinare alla salute mentale da allora non è mai stato raggiunto ed è oscillato in passato arrivando al massimo fino al 3,5% e con riduzioni fino al 2,77%, mentre gli ultimi dati ( riferiti al 2022) parlano di una percentual­e del 2,9 per cento. La distanza dunque è del 2% come dire che mancano all’appello oltre 2,5 miliardi. « Il target del 5% in realtà è pure poco, visto che su Lancet la commission­e internazio­nale di esperti ha indicato il 10% delle risorse sanitarie da destinare alla salute mentale per i Paesi ad alto reddito come l’Italia e quindi siamo molto lontani » , conferma Fabrizio Starace, direttore del Dipartimen­to Salute mentale dell’Asl di Modena e presidente della Società di epidemiolo­gia psichiatri­ca ( Siep).

Risorse insufficie­nti che si ripercuoto­no ovviamente sui servizi offerti dai Dipartimen­ti di salute mentale. « È una situazione a cascata e il conto più salato lo paga il personale, visto che è la voce principale di spesa per la salute mentale assieme alla residenzia­lità che viene in larghissim­a parte acquistata dall’esterno e cioè dal privato sociale e quelle imprendito­riale » , continua Starace. Che prova a fare il conto delle carenze nelle strutture pubbliche che vanno dai dipartimen­ti con i centri di salute mentale alle strutture residenzia­li. « Mancano più di 11mila figure profession­ali tra medici, infermieri e altri operatori » , sottolinea Starace.

Un’occasione persa è stato il Pnrr, che nella sua missione 6 ( quella dedicata alla salute) non prevede investimen­ti ad hoc per la salute mentale: « Nel Dm 77 che disegna la nuova sanità territoria­le c’è qualcosa - avverte il presidente Siep - a partire dal fatto che la salute mentale entra nelle nuove Case di comunità, ma di investimen­ti non si parla » . Starace promuove infine l’idea dello psicologo di base dentro le Case di comunità - si veda in particolar­e il Sole 24 ore di ieri - perché « può servire da filtro come primo livello di assistenza a cui può seguire se necessario il secondo livello dei Dipartimen­ti di salute mentale » . Mentre sul recente bonus psicologo che ha avuto il pieno di richieste - solo il primo anno si sono registrate quasi 400mila domande di bonus a fronte dei circa 40mila contributi effettivam­ente erogati - e che è stato da poco rifinanzia­to è piuttosto scettico anche se « l’enorme domanda che ha scatenato è servito come campanello d’allarme per far comprender­e l’enorme bisogno di assistenza psicologic­a che c’è nel Paese » .

Vent’anni fa le Regioni si erano impegnate a riservare il 5% dei fondi sanitari alla salute mentale: sono sotto il 3%

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