Internet veloce ma investimenti lenti: al piano banda larga mancano 4,5 milioni di case
Il programma è nato nel 2015 e termina, dopo vari rinvii, il prossimo settembre
La strategia italiana per la banda ultralarga è stata approvata in consiglio dei ministri il 3 marzo 2015. Il 10 agosto dello stesso anno è stato adottato il Piano di investimenti. Il 20 giugno e il 13 novembre del 2017 Open Fiber e Infratel hanno firmato le convenzioni operative per la diffusione dell’infrastruttura nelle cosiddette « aree bianche » , quelle che per ragioni geografiche e demografiche sono meno attraenti per gli operatori di mercato. Queste aree, da connettere con la fibra ( tecnologia Fith) a 100 mbps o, dove questo non è possibile, con un sistema misto che sfrutta le frequenze radio ( Fwa) a 30 mbps. sono state divise in tre gare che prevedevano la chiusura dei lavori rispettivamente entro il giugno 2020, il novembre 2020 e l’aprile 2022, per connettere 8,3 milioni di abitazioni e 29.895 Pa per far viaggiare a velocità “contemporanea” l’economia e la burocrazia di una fetta consistente d’Italia. Di proroga in proroga, il termine è slittato al settembre 2024. Ma al 31 dicembre scorso non è stato completato nemmeno il panorama dei progetti definitivi ed esecutivi: sulla fibra i buchi superano il 20% soprattutto al Sud ( Basilicata, Campania, Lazio, Molise e Sicilia), e sulla tecnologia alternativa l’affanno è anche maggiore. Con queste premesse, è ovvio che il tasso di realizzazione delle opere non sia esaltante: la fibra a fine 2023 aveva raggiunto 3,4 milioni di case, cioè il 54% del target, e 18.616 sedi di amministrazioni pubbliche ( 62%), mentre nel caso della tecnologia radio i lavori hanno arrancato solo fino a raggiungere 409.978, una su cinque fra quelle previste. Mancano all’appello, insomma, circa 4,5 milioni di case.
Cronologia e stato dell’arte di uno dei progetti da sempre considerati strategici soprattutto per la vita economica delle aree interne, e finanziato con 2,97 miliardi tra risorse europee e Fondo di sviluppo e coesione, sono ricostruiti dall’ultima delibera ( la 4/ 2024) del Collegio del controllo concomitante della Corte dei conti. Si tratta della forma di controllo, rilanciata con il Pnrr da cui però è stata presto esclusa dopo gli scontri dell’anno scorso con il Governo, che punta a far luce sull’attuazione delle politiche pubbliche mentre i progetti sono in corso, senza aspettarne la fine per cercare di capire che cosa è andato storto.
Come indicato nel programma di attività stilato a inizio anno, il Collegio presieduto da Massimiliano Minerva dopo l’uscita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ha deciso di concentrare le proprie attenzioni sugli altri programmi di investimento più rilevanti per le loro dimensioni finanziarie e per il carattere strategico degli obiettivi. E sta cominciando a raccogliere storie di ritardi e inciampi ancora più gravi, come prevedibile quando ci si allontana dai riflettori che circondano il Pnrr.
Nel caso della banda larga per le aree bianche i tempi dilatati sono figli di difetti di programmazione e di una governance inefficace oltre che dei rincari che hanno investito tutti gli investimenti. Ora i magistrati contabili chiedono al ministero delle Imprese, attuatore del progetto, di stringere i bulloni del controllo; ma il calendario è impietoso.