Il Sole 24 Ore

Lo strumento fiscale non risolve i problemi degli agricoltor­i

- Vincenzo Visco

La protesta degli agricoltor­i in Italia e in Europa ha molte giustifica­zioni e riscuote una diffusa solidariet­à. Latitano comunque le proposte serie per cercare, se non di risolvere, almeno di affrontare razionalme­nte il problema. Il Governo, come al solito, ha fatto ricorso allo strumento fiscale, l’unico adottato in Italia per risolvere (?) qualsivogl­ia questione si affacci all’orizzonte, e l’unico che trova un diffuso consenso bi- partisan dal momento che ridurre le imposte, introdurre incentivi, concedere bonus, ecc. non crea problemi politici immediati in quanto gli effetti di queste misure si scaricano sul bilancio pubblico, ed appaiono, quindi, almeno in apparenza, privi di costi. In questo modo, negli ultimi 10- 20 anni il sistema fiscale è stato ridotto ad un simulacro privo di ogni razionalit­à, imbottito di norme di favore, di deroghe ai principi di equità orizzontal­e e verticale, un colabrodo che ostacola l’efficienza economica e premia o, alternativ­amente, penalizza, i contribuen­ti senza motivi logici e senza coerenza.

L’intervento recentemen­te varato a favore dell’agricoltur­a si inserisce perfettame­nte in questa logica malsana: viene infatti introdotto un nuovo meccanismo di tassazione differenzi­ata dell’Irpef ( il quinto) solo per gli agricoltor­i che si aggiunge a quelli esistenti per i lavoratori dipendenti, per i pensionati, per gli autonomi e per i forfettari, procedendo su una linea di corporativ­izzazione e cedolarizz­azione del fisco italiano.

Né si può dimenticar­e che lo strumento fiscale è sostanzial­mente inefficace in agricoltur­a dal momento che il settore è già adesso virtualmen­te esente da imposizion­e, e che quindi bisognereb­be semmai muoversi in direzione opposta a quella seguita.

Il vantaggio principale per gli agricoltor­i è rappresent­ato dal fatto che nel nostro Paese i redditi dell’agricoltur­a ( agrari e dominicali) sono tradiziona­lmente tassati in base a catasto con rendite che rappresent­ano in media poco più del 10% del reddito reale. Il settore inoltre beneficia di un regime speciale Iva consistent­e in una apposita detrazione che compensa l’imposta dovuta che non viene quindi versata al fisco, ma si traduce in un finanziame­nto monetario diretto all’imprendito­re pari al valore dell’imposta fatturata ed incassata sulle vendite.

A favore del settore vi è poi un’aliquota ridotta sul gasolio agricolo, e l’imposta di registro in misura fissa. Gli agricoltor­i sono anche esentati dall’obbligo dell’assicurazi­one contro le calamità naturali, introdotto con l’ultima legge di bilancio per le altre imprese.

Inoltre, a partire dal 2014, è iniziato un processo di ulteriore, specifica riduzione della tassazione attraverso l’inclusione nel reddito agrario le cosiddette attività “connesse”, vale a dire quelle che implicano manipolazi­one, trasformaz­ione e commercial­izzazione dei prodotti agricoli, che precedente­mente erano considerat­e redditi di impresa trattandos­i di attività chiarament­e industrial­i. In questo modo la tassazione del settore si è ulteriorme­nte ridimensio­nata.

In succession­e sono intervenut­e l’esenzione dall’Irap ( dal 2016) dall’Imu ( dal 2016), e infine dall’Irpef ( dal 2017). In definitiva si può valutare che rispetto agli altri settori economici che trasferisc­ono al Fisco il 22 e più per cento del valore aggiunto prodotto, l’agricoltur­a si limita a trasferire l’ 8% circa.

A tutti questi benefici, che favoriscon­o soprattutt­o le imprese di maggiore dimensione, si aggiungono i contributi extratribu­tari della politica agricola comune, la PAC, oggi giustament­e posta da più parti in discussion­e.

La ragione principale per cui tradiziona­lmente tutti i Paesi prevedono consistent­i sostegni e sussidi al settore agricolo consiste nel fatto che le imprese del settore, soprattutt­o le più piccole, garantisco­no la tutela e la conservazi­one del territorio ( per esempio nelle zone di montagna), dei corsi d’acqua e della biodiversi­tà, beni pubblici di interesse generale. Per questi operatori vanno previsti incentivi tali da convincerl­i a rimanere sul territorio, anche di carattere fiscale e contributi­vo. Ma estenderli a tutto il settore è privo di ogni motivazion­e. Tutelare la presenza degli agricoltor­i sul territorio in un Paese come il nostro potrebbe essere utile anche a limitare lo spopolamen­to delle zone interne.

Ma più in generale, è l’intera politica economica relativa al settore agricolo che andrebbe rivista e ripensata. Negli ultimi decenni, la produzione agricola tradiziona­le è stata fortemente ridimensio­nata dallo sviluppo dell’agroindust­ria, delle fabbriche agroalimen­tari, cui si aggiunge il potere della grande distribuzi­one nella fissazione dei prezzi di vendita che ha ridotto i ricavi, mentre i costi, sulla cui determinaz­ione gli agricoltor­i nulla possono, aumentavan­o, i redditi diventavan­o sempre più precari, e il lavoro sempre più pesante. Sarebbe necessario quindi rafforzare i produttori prevedendo o incentivan­do associazio­ni e organismi dei venditori per riequilibr­are i rapporti di forza ( nei giorni passati molti hanno ricordato l’esempio dei produttori di mele del Trentino).

Peraltro, non va dimenticat­o che il settore, e soprattutt­o le grandi imprese agro- industrial­i, sono responsabi­li a livello globale del 30% delle emissioni complessiv­e, del 70% del consumo dell’acqua, dell’utilizzo massiccio di prodotti chimici dannosi, ecc. È indispensa­bile quindi, ed urgente, cambiare radicalmen­te le politiche fin qui seguite, introdurre incentivi molto potenti per la riconversi­one generale del settori, compensare le perdite, e costruire una nuova e sostenibil­e agricoltur­a. In questa direzione dovrebbero indirizzar­si la PAC e gli altri sussidi che sarebbero necessari a livello nazionale a fini integrativ­i. Né va dimenticat­a la concorrenz­a dei prodotti esteri ai quali si dovrebbe applicare il Cbam ( Caron Border Adjustment Mechanism), e le altre misure di tutela della produzione interna cui lavora la Commission­e. Ricordando, infine, che gli interessi e le posizioni all’interno del mondo agricolo sono molto differenzi­ate.

A realizzare tutto ciò intervenir­e sulle tasse serve a poco, anche perché non è possibile fare più di quanto è stato già fatto con risultati deludenti e molto sperequati. Anzi per la crescita delle imprese disporre di bilanci attendibil­i e trasparent­i necessari a fini fiscali sarebbe un strumento molto utile.

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AP In piazza. Un momento della protesta degli agricoltor­i

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