Moody’s, fiducia sulle società italiane Prospettive stabili sul merito di credito
Per tre quarti delle 63 società seguite in Italia il giudizio ha orientamento « stabile » I tassi d’interesse elevati freneranno il miglioramento della qualità del credito
« Stabili » . Non poteva forse essere differente l’idea che Moody’s ha delle prospettive sul merito di credito delle società non finanziarie italiane per i prossimi mesi. Giusto lo scorso novembre l’agenzia aveva migliorato da « negativo » a « stabile » l’outlook sul rating « Baa3 » per il debito pubblico italiano, allontanandolo così dallo spettro junk , e la previsione sul mondo corporate riflette questa decisione: con qualche patema in meno per la mole del debito stesso ( imparagonabile a quello del Tesoro), ma anche incognite per la crescita asfittica del Paese e la dinamica dei consumi.
Per tre quarti delle 63 società seguite da Moody’s in Italia il giudizio viene infatti accompagnato da un orientamento « stabile » : non era così prima del pronunciamento favorevole al rating sovrano di 5 mesi fa, quando la quota era di poco superiore alla metà ( 52%). Dopo quella decisione gli analisti hanno migliorato in modo analogo anche le prospettive per 13 società, prevalentemente del settore utility « la cui qualità creditizia è strettamente correlata a quella del Paese » come Hera, Acea, Terna e Snam.
Ma se la situazione è tornata simile all’agosto dell’anno precedente ( 67% « stabili » ) quando sul rating italiano era scattata la minaccia dell’outlook « negativo » , le prospettive per un ulteriore progresso sembrano ora limitate per Moody’s. « I tassi d’interesse ancora elevati e il debole clima di fiducia dei consumatori freneranno il miglioramento della qualità del credito » , scrive l’agenzia in un report che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare. Una crescita contenuta, attesa intorno all’ 1% quest’anno e nel 2025, oltre il peso che l’aumento dei costi di finanziamento e il potere d’acquisto più limitato eserciterà sulla fiducia dei consumatori, restano le incognite principali. Su questo l’Italia non si differenzia molto dal resto d’Europa, anche se Moody’s riconosce alle nostre aziende un’esposizione media a settori « meno rischiosi e più stabili » .
L’appartenenza a diversi settori può in ogni caso fare anche da noi la differenza. « L’indebolimento del reddito disponibile e l’aumento dei costi di finanziamento per i consumatori peseranno sui settori dei beni durevoli e dell’automotive » , avvertono gli analisti, che puntano al tempo stesso anche il dito sul comparto immobiliare, dove « i tassi elevati eroderanno i flussi di cassa e spingeranno le valutazioni al ribasso » . Qualche dubbio anche sui settori ad alta intensità energetica, quello degli imballaggi per esempio, a causa dei prezzi elevati dei fattori produttivi, rischio che tuttavia appare « attenuato grazie alla forte azione del governo nel 2023 » .
Messi insieme, questi settori più vulnerabili, rappresentano circa il 20% delle aziende valutate da Moody’s in Italia. Di contro, ricorda l’agenzia, circa un quarto delle aziende seguite nel nostro Paese opera nell’ambito dei servizi a imprese e consumatori, « ha ricavi stabili e prevedibili grazie a contratti pluriennali con i clienti » e potrebbe mantenere intatta la qualità creditizia nei prossimi 1218 mesi « anche in caso di crollo della spesa di consumatori e imprese » .
Va detto che se nell’ultimo anno le banche sono diventate più selettive sui prestiti e l’aumento dei tassi ha reso più costoso il ricorso al credito, Moody’s riconosce alla maggior parte delle aziende italiane il merito di aver « già affrontato le proprie esigenze di rifinanziamento sulle scadenze 202425 » . Se infatti si scorpora il dato di Telecom Italia ( il cui rating « B1 » è in fase di revisione per un possibile rialzo) che costituisce da solo il 40% del debito high- yield valutato da Moody’s, il resto delle società italiane con rating speculativo non dovrà affrontare scadenze rilevanti fino al 2026, anno in cui maturerà circa il 22% del debito bancario e obbligazionario in essere per un totale di 8,2 miliardi di euro.
Dopo lo « zero » in casella per il 2023, il rischio di insolvenza resta in ogni caso « basso » , con poche società valutate « B3 negativo » o inferiore. Unica eccezione Pro- Gest, declassata a « Caa2 negativo » lo scorso ottobreper problemi di liquidità con un’obbligazione senior non garantita da 250 milioni di euro in scadenza nel dicembre 2024. Il default sarebbe in questo caso un’eventualità da non sottovalutare, ma certo ben lontana dal costituire un rischio sistemico.