Esperti e Stato lavorino insieme per regolamentare il settore del private equity
Scenari globali/ 2
DNON POSSIAMO PERMETTERCI DI RIMANERE INDIETRO: è FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO ECONOMICO E INDUSTRIALE
ove sta andando il private equity? E cosa può fare il nostro Paese per stare al passo? È oramai più che evidente che il private equity, con le cifre astronomiche attualmente in gioco, sia diventato un attore fondamentale nell’ambito dello sviluppo economico e industriale di tutte le nazioni. È quindi assolutamente necessario che, a tutti i livelli, si prenda atto di questa realtà e si cerchi di capire meglio quali sono le dinamiche in corso, sia per utilizzarle e orientarle al meglio, a nostro favore, sia per mitigarne gli eventuali rischi o possibili eccessi.
Dai suoi primi passi negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta, il private equity ha raggiunto dimensioni enormi e secondo alcune statistiche dispone oggi di 2.59 triliardi di dollari da impiegare in investimenti a livello globale, Italia inclusa. Kkr, costituita da tre giovani “investment bankers” e che nel 1978 realizzò quella che viene identificata come la prima operazione “di rilievo” del settore, dal valore di 380 milioni di dollari, gestisce oggi oltre 550 miliardi di dollari in crescita del 10% su base annua. Un altro giovane “sconosciuto” dipendente della Lehman Brothers, Stephen Schwarzman, nello stesso periodo, con un contenuto investimento personale iniziale, è oggi tra le persone più ricche del mondo e la società da lui fondata, Blackstone, gestisce risorse per oltre un triliardo di dollari. Una crescita enorme e velocissima, non ancora pienamente compresa in particolare in Paesi come il nostro, dove i numeri del settore sono ancora ridotti e la cultura finanziaria limitata.
Forse non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per il fatto che le economie sono oggi totalmente globalizzate, Italia in primis. Basti pensare che oltre il 90% degli investitori istituzionali nella Borsa di Milano sono esteri.
Inoltre, il private equity è cambiato molto in questi anni e continuerà a cambiare a causa dell’assoluta necessità di adattarsi alle mutevoli esigenze e caratteristiche del mercato e all’avvento delle nuove tecnologie, facendo al contempo fronte a sempre maggiori responsabilità sociali. Un modello che necessita quindi di una profonda revisione e che deve ora cercare nuove modalità operative, strategiche e comportamentali per diventare un maturo, strutturato e sostenibile pilastro dell’economia mondiale.
E noi, come Paese, non ci possiamo permettere di stare a guardare, ma dobbiamo capire e soprattutto agire per non farci tagliare fuori definitivamente da quelle che sono le grandi dinamiche economiche e finanziarie internazionali. Ma quindi, cosa dovremmo fare?
La prima cosa è “semplice”: studiare, analizzare e capire bene e in modo approfondito quello che sta succedendo a livello globale. Esprimere opinioni, giudizi o, peggio, emanare leggi o regolamenti, senza avere una chiara comprensione delle dinamiche di sviluppo di questo settore a livello internazionale sarebbe infatti un errore imperdonabile. Per fare questo con cognizione di causa è necessaria una sempre più profonda interazione tra operatori e istituzioni. Spesso in passato questa collaborazione è mancata o non è stata correttamente gestita.
Pertanto, è necessario costituire e attivare al più presto dei gruppi di lavoro misti, formati da rappresentati del settore pubblico ed esperti provenienti dal settore privato, che abbiano comprovate e riconosciute competenze operative anche ( direi soprattutto) a livello internazionale. Una volta capite in profondità le dinamiche in gioco, un secondo passo sarà definire con chiarezza il modo migliore per affrontare il tema e gli obbiettivi che si possono “ragionevolmente” raggiungere in termini di politica economica facendo in modo che tutte le iniziative ( anche pubbliche) o regolamentazioni che abbiano come oggetto questo specifico settore siano tra loro coerenti e sinergiche e soprattutto puntino al raggiungimento dei target definiti, che spesso sono di lungo termine e quindi necessitano di una significativa stabilità di comportamenti nel tempo.
E definita la strada che si vuole percorrere, effettuare una profonda riflessione “complessiva” su tutti gli strumenti attualmente in uso o in progettazione, parallelamente a un indispensabile aggiornamento delle normative, che dovranno necessariamente tenere conto degli standard internazionali, al fine di evitare pericoli di “spiazzamento” normativo.
Un aspetto da considerare con attenzione riguarda l’evoluzione tecnologica, inclusa l’intelligenza artificiale, che anche in questo settore avrà fortissimi impatti.
Fare finta che non esista e continuare a fare riferimento a modelli, procedure o strutture che oggi non hanno più ragion d’essere, sarebbe un gravissimo errore. Ci farebbe solo ritardare le azioni necessarie, aumentando in prospettiva il nostro già significativo svantaggio nei confronti di chi sa già utilizzare ( e controllare) al meglio le nuove tecnologie.
Per concludere, ritengo utile sollevare il tema, seppur in termini generali e sintetici, e inviare un forte e chiaro warning a tutti gli operatori e al mondo politico e istituzionale, affinché agiscano e si muovano al più presto, ognuno nell’ambito delle rispettive competenze e responsabilità, per fare in modo che il nostro Paese possa rimanere al passo con i tempi e sfruttare al meglio quella che potrebbe essere, se gestita intelligentemente e con competenza, una grande opportunità.