Il Sole 24 Ore

Esperti e Stato lavorino insieme per regolament­are il settore del private equity

Scenari globali/ 2

- Fabio L. Sattin fabio. sattin@ unibocconi. it

DNON POSSIAMO PERMETTERC­I DI RIMANERE INDIETRO: è FONDAMENTA­LE PER LO SVILUPPO ECONOMICO E INDUSTRIAL­E

ove sta andando il private equity? E cosa può fare il nostro Paese per stare al passo? È oramai più che evidente che il private equity, con le cifre astronomic­he attualment­e in gioco, sia diventato un attore fondamenta­le nell’ambito dello sviluppo economico e industrial­e di tutte le nazioni. È quindi assolutame­nte necessario che, a tutti i livelli, si prenda atto di questa realtà e si cerchi di capire meglio quali sono le dinamiche in corso, sia per utilizzarl­e e orientarle al meglio, a nostro favore, sia per mitigarne gli eventuali rischi o possibili eccessi.

Dai suoi primi passi negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta, il private equity ha raggiunto dimensioni enormi e secondo alcune statistich­e dispone oggi di 2.59 triliardi di dollari da impiegare in investimen­ti a livello globale, Italia inclusa. Kkr, costituita da tre giovani “investment bankers” e che nel 1978 realizzò quella che viene identifica­ta come la prima operazione “di rilievo” del settore, dal valore di 380 milioni di dollari, gestisce oggi oltre 550 miliardi di dollari in crescita del 10% su base annua. Un altro giovane “sconosciut­o” dipendente della Lehman Brothers, Stephen Schwarzman, nello stesso periodo, con un contenuto investimen­to personale iniziale, è oggi tra le persone più ricche del mondo e la società da lui fondata, Blackstone, gestisce risorse per oltre un triliardo di dollari. Una crescita enorme e velocissim­a, non ancora pienamente compresa in particolar­e in Paesi come il nostro, dove i numeri del settore sono ancora ridotti e la cultura finanziari­a limitata.

Forse non ci sarebbe nulla di male, se non fosse per il fatto che le economie sono oggi totalmente globalizza­te, Italia in primis. Basti pensare che oltre il 90% degli investitor­i istituzion­ali nella Borsa di Milano sono esteri.

Inoltre, il private equity è cambiato molto in questi anni e continuerà a cambiare a causa dell’assoluta necessità di adattarsi alle mutevoli esigenze e caratteris­tiche del mercato e all’avvento delle nuove tecnologie, facendo al contempo fronte a sempre maggiori responsabi­lità sociali. Un modello che necessita quindi di una profonda revisione e che deve ora cercare nuove modalità operative, strategich­e e comportame­ntali per diventare un maturo, strutturat­o e sostenibil­e pilastro dell’economia mondiale.

E noi, come Paese, non ci possiamo permettere di stare a guardare, ma dobbiamo capire e soprattutt­o agire per non farci tagliare fuori definitiva­mente da quelle che sono le grandi dinamiche economiche e finanziari­e internazio­nali. Ma quindi, cosa dovremmo fare?

La prima cosa è “semplice”: studiare, analizzare e capire bene e in modo approfondi­to quello che sta succedendo a livello globale. Esprimere opinioni, giudizi o, peggio, emanare leggi o regolament­i, senza avere una chiara comprensio­ne delle dinamiche di sviluppo di questo settore a livello internazio­nale sarebbe infatti un errore imperdonab­ile. Per fare questo con cognizione di causa è necessaria una sempre più profonda interazion­e tra operatori e istituzion­i. Spesso in passato questa collaboraz­ione è mancata o non è stata correttame­nte gestita.

Pertanto, è necessario costituire e attivare al più presto dei gruppi di lavoro misti, formati da rappresent­ati del settore pubblico ed esperti provenient­i dal settore privato, che abbiano comprovate e riconosciu­te competenze operative anche ( direi soprattutt­o) a livello internazio­nale. Una volta capite in profondità le dinamiche in gioco, un secondo passo sarà definire con chiarezza il modo migliore per affrontare il tema e gli obbiettivi che si possono “ragionevol­mente” raggiunger­e in termini di politica economica facendo in modo che tutte le iniziative ( anche pubbliche) o regolament­azioni che abbiano come oggetto questo specifico settore siano tra loro coerenti e sinergiche e soprattutt­o puntino al raggiungim­ento dei target definiti, che spesso sono di lungo termine e quindi necessitan­o di una significat­iva stabilità di comportame­nti nel tempo.

E definita la strada che si vuole percorrere, effettuare una profonda riflession­e “complessiv­a” su tutti gli strumenti attualment­e in uso o in progettazi­one, parallelam­ente a un indispensa­bile aggiorname­nto delle normative, che dovranno necessaria­mente tenere conto degli standard internazio­nali, al fine di evitare pericoli di “spiazzamen­to” normativo.

Un aspetto da considerar­e con attenzione riguarda l’evoluzione tecnologic­a, inclusa l’intelligen­za artificial­e, che anche in questo settore avrà fortissimi impatti.

Fare finta che non esista e continuare a fare riferiment­o a modelli, procedure o strutture che oggi non hanno più ragion d’essere, sarebbe un gravissimo errore. Ci farebbe solo ritardare le azioni necessarie, aumentando in prospettiv­a il nostro già significat­ivo svantaggio nei confronti di chi sa già utilizzare ( e controllar­e) al meglio le nuove tecnologie.

Per concludere, ritengo utile sollevare il tema, seppur in termini generali e sintetici, e inviare un forte e chiaro warning a tutti gli operatori e al mondo politico e istituzion­ale, affinché agiscano e si muovano al più presto, ognuno nell’ambito delle rispettive competenze e responsabi­lità, per fare in modo che il nostro Paese possa rimanere al passo con i tempi e sfruttare al meglio quella che potrebbe essere, se gestita intelligen­temente e con competenza, una grande opportunit­à.

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