Margini d’inviduazione ristretti per le categorie di dipendenti
Tassato l’incentivo per lavoratrici madri dopo l’astensione obbligatoria
Il recente interpello 57/ E/ 2024 con cui le Entrate hanno ritenuto inapplicabile la disciplina agevolata del welfare aziendale a erogazioni rivolte alle lavoratrici madri ( si veda « Il Sole 24 Ore » del 2 marzo), presenta alcuni spunti di riflessione.
Nel documento la società istante ha rappresentato di voler riconoscere a tutte le lavoratrici madri, al termine del periodo di astensione obbligatoria per maternità, una somma pari alla differenza tra l’indennità di congedo di maternità facoltativa o di congedo parentale a carico dell’Inps e il 100% della retribuzione spettante alle dipendenti. Tale importo sarebbe stato riconosciuto durante i tre mesi di astensione facoltativa per maternità, successivi al periodo di astensione obbligatoria non come retribuzione monetaria, ma in forma di beni e servizi detassati di cui all’articolo 51, commi 2 e 3 del Tuir, attraverso la partecipazione delle lavoratrici al piano di welfare aziendale in essere.
L’Agenzia conclude la propria analisi in senso restrittivo, evidenziando come, da un lato, le lavoratrici madri in astensione facoltativa destinatarie di tale credito welfare non possano rappresentare una categoria di dipendenti e, dall’altro, riconoscendo a tali erogazioni natura reddituale in base all’articolo 51, comma 1, del Tuir, poiché « rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive » .
Proprio il chiarimento riguardante la nozione di categorie di dipendenti è quello che ha attirato maggiormente l’attenzione, in particolare nella parte in cui si specifica che non è possibile individuare una categoria di dipendenti basata su « caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente » ; l’Agenzia chiarisce, infatti, che il tratto in grado di accomunare i dipendenti deve essere collegato alla prestazione lavorativa.
Nel caso specifico, la chiusura che le Entrate oppongono alla possibilità di considerare come categoria quella della lavoratrici madri ( basata sicuramente su uno status personale e/ o familiare), si sarebbe potuta probabilmente superare - anche aderendo all’interpretazione espressa nell’interpello - tenendo a mente che il piano prevedeva l’erogazione del credito welfare alle lavoratrici che avrebbero fruito del periodo di astensione facoltativa per maternità ( per integrare la corrispondente indennità erogata dall’Inps); in tale ultimo aspetto, in particolare, potrebbe ravvisarsi un collegamento con la « prestazione lavorativa » idoneo - come sostenuto dall’Agenzia - a individuare una categoria di dipendenti.
La posizione espressa nell’interpello 57, peraltro, sembrerebbe in contrasto con un passaggio della circolare 5/ E/ 2018 in cui l’Agenzia ha chiarito che « nel particolare contesto dei premi di risultato agevolabili, può peraltro configurarsi quale “categoria di dipendenti” l’insieme di lavoratori che avendo convertito, in tutto o in parte, il premio di risultato in welfare ricevono una “quantità” di welfare aggiuntivo rispetto al valore del premio, in ragione del risparmio contributivo di cui a seguito di tale scelta beneficia il datore di lavoro » . In questo caso, si rileva che la caratteristica utile a individuare una categoria di dipendenti ( la scelta di conversione del premio in welfare) non appare collegata alla prestazione lavorativa, ma a una decisione personale dei lavoratori, che scelgono di percepire con diverse modalità un premio monetario attribuito.
Seppur condivisibile l’interpretazione secondo cui la categoria non possa essere individuata in base a caratteristiche personali e/ o familiari del dipendente ( ciò, infatti, potrebbe prestarsi a comportamenti distorsivi o al limite della discriminazione), tuttavia forse andrebbe meglio circostanziata per evitarne un’applicazione troppo rigida che potrebbe comprimere la finalità sociale che i piani di welfare intendono perseguire.
L’altro elemento di valutazione che porta l’Agenzia a esprimere parere negativo sulla possibilità di considerare detassabile il credito welfare riconosciuto alle lavoratrici madri riguarda la natura retributiva di detta erogazione, essendo sostitutiva della componente fissa e/ o variabile della retribuzione non percepita dalle dipendenti durante l’astensione facoltativa. Questa argomentazione, probabilmente maggiormente solida rispetto a quella riguardante la nozione di categoria, rafforza il concetto più volte espresso che vede stringenti limitazioni alla possibilità di sostituire componenti retributive con benefit detassati al di fuori delle ipotesi previste per legge, che potrebbero tradursi in un’alterazione degli ordinari criteri di tassazione del reddito di lavoro dipendente.
Per l’Agenzia la classificazione non può far perno su status soggettivi o familiari