CRISI TRASCURATA E TROPPI RITARDI:
ORA NON VA SPRECATA LA CARTA PNRR
La disattenzione delle politiche pubbliche per la perdita di popolazione delle aree interne ha origini lontane, rintracciabili in quel processo di inurbamento intorno ai grandi centri produttivi che è stato narrato dalla letteratura e dal cinema prima ancora di tradursi nei grandi progetti di investimento pubblico del secondo dopoguerra. L’abbandono dei paesi è sembrato a tutti il naturale prezzo da pagare all’ammodernamento del paese.
È così che si è ereditato, fino all’epoca più recente, un approccio al governo della spesa pubblica guidato da criteri di efficienza complessiva – imperniato quindi su logiche di risparmio in una prospettiva nazionale – e sostanzialmente sordo alla questione dei divari territoriali. Una sordità che si è approfondita con riferimento alla diseguaglianza tra centri e aree interne ( diversa è stata, come è noto, la parabola della questione meridionale). Si pensi, per fare un esempio vicino nel tempo, alle cosiddette politiche di razionalizzazione che hanno accompagnato l’austerity degli ultimi decenni, dove si è proceduto, senza troppe preoccupazioni, a tagliare la spesa per i servizi sottodimensionati ( attraverso l’accorpamento o la soppressione dei centri di fornitura). Senza alcuna attenzione all’impatto su zone già depopolate, si sono privati così interi territori di presidi pubblici essenziali.
Che si tratti di una questione nazionale è emerso con chiarezza con la Strategia Nazionale per le Aree Interne ( SNAI) avviata da Fabrizio Barca nel biennio 20122014, a cui si deve il ribaltamento dell’approccio allo sviluppo delle aree marginalizzate, perché il tema del divario civile relativo ai servizi di cittadinanza ( in primis sanità, scuola, mobilità) è stato ritenuto prioritario rispetto a quello dell’investimento sulle attività economiche. La strategia ha consentito pertanto di avviare un processo di riconoscimento delle aree interne e delle loro specificità ( grazie anche all’identificazione dal basso delle esigenze dei territori con il metodo place- based) che ha finalmente imposto alla nostra attenzione la questione aree interne.
Ora che il tema è ormai ineludibile, è indispensabile non disperdere questo patrimonio di consapevolezza, sfruttando al meglio l’occasione offerta dal Next Generation EU. In altre parole, occorre porre la massima attenzione all’orientamento delle risorse del PNRR, che, tra l’altro, identifica nella coesione territoriale una delle assi trasversali di questo irripetibile piano di ripresa ( riprendendo, tra l’altro, l’orientamento europeo di attenzione per le aree marginali). I risultati intermedi del piano, uniti a quelli della seconda fase della programmazione SNAI ( quella relativa agli anni 2021- 2027, che segue il primo periodo 2014- 2020) segnalano alcuni dati positivi – si pensi, ad esempio, all’attivismo dei comuni annessi di recente alla Strategia – i quali, uniti ai 300 milioni stanziati dal Fondo complementare PNRR per la manutenzione straordinaria delle strade delle aree interne, possono infondere un certo ottimismo.
Restano però ancora inespresse molte potenzialità dei territori marginali, come dimostra lo scarso accesso alle risorse europee da parte dei comuni ultra- periferici, dato che del resto non sorprende considerato il metodo del finanziamento, che, procedendo per bandi, richiede massa critica e piena strutturazione tecnica anche solo per presentare una candidatura. Purtroppo i piccoli comuni, a maggior ragione dopo la lunga stagione di dimagrimento degli organici, scarseggiano sia dell’una che dell’altra.
Manca ancora dunque la piena consapevolezza della natura emergenziale del processo di spopolamento delle aree interne, dove la perdita di popolazione, in caduta libera, rischia di lasciare in stato di vero e proprio abbandono più della metà del suolo nazionale. Si è assistito in questi anni ad alcune sperimentazioni virtuose, come puntare sulle politiche migratorie o investire sull’organizzazione del lavoro da remoto reso possibile dalle nuove tecnologie, che però non hanno finora invertito la rotta. La questione, purtroppo, non è più rinviabile e non solo per le aree interne, ma per concepire un equilibrio sostenibile tra dinamiche della popolazione, cura del territorio, valorizzazione delle risorse ambientali e, non ultimo, conservazione dell’identità del nostro paese, che proprio nelle aree interne custodisce alcune delle sue radici più profonde.