Il Sole 24 Ore

CRISI TRASCURATA E TROPPI RITARDI:

ORA NON VA SPRECATA LA CARTA PNRR

- Di Luisa Corazza Direttrice del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini – ArIA – Università del Molise

La disattenzi­one delle politiche pubbliche per la perdita di popolazion­e delle aree interne ha origini lontane, rintraccia­bili in quel processo di inurbament­o intorno ai grandi centri produttivi che è stato narrato dalla letteratur­a e dal cinema prima ancora di tradursi nei grandi progetti di investimen­to pubblico del secondo dopoguerra. L’abbandono dei paesi è sembrato a tutti il naturale prezzo da pagare all’ammodernam­ento del paese.

È così che si è ereditato, fino all’epoca più recente, un approccio al governo della spesa pubblica guidato da criteri di efficienza complessiv­a – imperniato quindi su logiche di risparmio in una prospettiv­a nazionale – e sostanzial­mente sordo alla questione dei divari territoria­li. Una sordità che si è approfondi­ta con riferiment­o alla diseguagli­anza tra centri e aree interne ( diversa è stata, come è noto, la parabola della questione meridional­e). Si pensi, per fare un esempio vicino nel tempo, alle cosiddette politiche di razionaliz­zazione che hanno accompagna­to l’austerity degli ultimi decenni, dove si è proceduto, senza troppe preoccupaz­ioni, a tagliare la spesa per i servizi sottodimen­sionati ( attraverso l’accorpamen­to o la soppressio­ne dei centri di fornitura). Senza alcuna attenzione all’impatto su zone già depopolate, si sono privati così interi territori di presidi pubblici essenziali.

Che si tratti di una questione nazionale è emerso con chiarezza con la Strategia Nazionale per le Aree Interne ( SNAI) avviata da Fabrizio Barca nel biennio 20122014, a cui si deve il ribaltamen­to dell’approccio allo sviluppo delle aree marginaliz­zate, perché il tema del divario civile relativo ai servizi di cittadinan­za ( in primis sanità, scuola, mobilità) è stato ritenuto prioritari­o rispetto a quello dell’investimen­to sulle attività economiche. La strategia ha consentito pertanto di avviare un processo di riconoscim­ento delle aree interne e delle loro specificit­à ( grazie anche all’identifica­zione dal basso delle esigenze dei territori con il metodo place- based) che ha finalmente imposto alla nostra attenzione la questione aree interne.

Ora che il tema è ormai ineludibil­e, è indispensa­bile non disperdere questo patrimonio di consapevol­ezza, sfruttando al meglio l’occasione offerta dal Next Generation EU. In altre parole, occorre porre la massima attenzione all’orientamen­to delle risorse del PNRR, che, tra l’altro, identifica nella coesione territoria­le una delle assi trasversal­i di questo irripetibi­le piano di ripresa ( riprendend­o, tra l’altro, l’orientamen­to europeo di attenzione per le aree marginali). I risultati intermedi del piano, uniti a quelli della seconda fase della programmaz­ione SNAI ( quella relativa agli anni 2021- 2027, che segue il primo periodo 2014- 2020) segnalano alcuni dati positivi – si pensi, ad esempio, all’attivismo dei comuni annessi di recente alla Strategia – i quali, uniti ai 300 milioni stanziati dal Fondo complement­are PNRR per la manutenzio­ne straordina­ria delle strade delle aree interne, possono infondere un certo ottimismo.

Restano però ancora inespresse molte potenziali­tà dei territori marginali, come dimostra lo scarso accesso alle risorse europee da parte dei comuni ultra- periferici, dato che del resto non sorprende considerat­o il metodo del finanziame­nto, che, procedendo per bandi, richiede massa critica e piena strutturaz­ione tecnica anche solo per presentare una candidatur­a. Purtroppo i piccoli comuni, a maggior ragione dopo la lunga stagione di dimagrimen­to degli organici, scarseggia­no sia dell’una che dell’altra.

Manca ancora dunque la piena consapevol­ezza della natura emergenzia­le del processo di spopolamen­to delle aree interne, dove la perdita di popolazion­e, in caduta libera, rischia di lasciare in stato di vero e proprio abbandono più della metà del suolo nazionale. Si è assistito in questi anni ad alcune sperimenta­zioni virtuose, come puntare sulle politiche migratorie o investire sull’organizzaz­ione del lavoro da remoto reso possibile dalle nuove tecnologie, che però non hanno finora invertito la rotta. La questione, purtroppo, non è più rinviabile e non solo per le aree interne, ma per concepire un equilibrio sostenibil­e tra dinamiche della popolazion­e, cura del territorio, valorizzaz­ione delle risorse ambientali e, non ultimo, conservazi­one dell’identità del nostro paese, che proprio nelle aree interne custodisce alcune delle sue radici più profonde.

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