SE IL DEBITO USA AUMENTA DI 1.000 MILIARDI OGNI 100 GIORNI
« Mi rifiuto di lasciare i nostri figli con un debito pubblico che non potranno ripagare » , disse nel 2013 il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama. Ma nei dieci anni successivi, secondo i dati elaborati da Fidelity, il rapporto tra debito e Pil negli Usa è passato dal 60% al 120% e ha ormai superato in valore assoluto i 34.000 miliardi di dollari.
La progressione del suo aumento negli ultimi tempi, è impressionante. Per accumulare i primi 10 trilioni di dollari di debito, secondo quanto ricostruito da Fidelity, gli Usa hanno impiegato 232 anni. Poi altri 10 trilioni in nove anni ed altri 10 trilioni nei successivi 5 anni. Al ritmo attuale di 1.000 nuovi miliardi ogni 100 giorni, basteranno 3 anni per aggiungere altri 10 trilioni. L’esplosione del debito Usa, e del suo costo dati gli alti tassi di interesse, può diventare un fattore di rischio per la finanza mondiale? Il tema è dibattuto da tempo dagli economisti ma sta entrando anche tra le preoccupazioni degli investitori istituzionali ( americani compresi). Il forte incremento del debito pubblico negli ultimi anni ha consentito di garantire crescita economica e occupazione negli anni della pandemia, dell’aumento delle spese militari post guerra in Ucraina e dell’Inflation Reduction Act che ha sussidiato gli investimenti green. Ma una crescita spinta dai maxidebiti fino a che punto è sostenibile? E soprattutto, dato il nuovo contesto geopolitico da “guerra fredda” che si è creato negli ultimi anni con la Cina e i suoi nuovi Paesi alleati, c’è il rischio di un futuro “boicottaggio” strategico nei confronti del debito Usa? Il tema inizia a essere dibattuto tra gli stessi analisti finanziari americani che - pur considerando tuttora gli Usa una superpotenza economica, commerciale, tecnologica e militare - iniziano a intravedere nel colossale debito pubblico Usa l’anello debole del sistema. D’altra parte la tendenza all’autarchia nella nazionalità dei detentori dei titoli sovrani è un fenomeno che va avanti da tempo e si sta manifestando ora con più forza dopo la fine dei Quantitative easing delle Banche Centrali del mondo occidentale. Secondo dati relativi al 2023 di First Trust Advisors, la quota del debito Usa detenuta da investitori di Paesi esteri è scesa al 25%- 30% soprattutto a causa delle scelte che, per motivi diversi, hanno effettuato la Cina e il Giappone che negli ultimi dieci anni hanno dimezzato la loro esposizione ai Treasuries Usa. E anche i ricchi Paesi arabi, che sono stati tra i grandi finanziatori del debito
Usa, stanno riducendo la loro esposizione ai Treasury. « Non vediamo un rischio nel breve - commentano da Algebris - ma un enorme rischio potenziale nel medio- lungo termine » . Ma, per ora, la nave va. Si vedrà fino a quando resterà valida la convinzione espressa negli anni ‘ 80 dal presidente Usa Ronald Reagan: « Il debito pubblico è abbastanza grande da badare a sé stesso » .