Il Sole 24 Ore

SE IL DEBITO USA AUMENTA DI 1.000 MILIARDI OGNI 100 GIORNI

- Di Alessandro Graziani

« Mi rifiuto di lasciare i nostri figli con un debito pubblico che non potranno ripagare » , disse nel 2013 il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama. Ma nei dieci anni successivi, secondo i dati elaborati da Fidelity, il rapporto tra debito e Pil negli Usa è passato dal 60% al 120% e ha ormai superato in valore assoluto i 34.000 miliardi di dollari.

La progressio­ne del suo aumento negli ultimi tempi, è impression­ante. Per accumulare i primi 10 trilioni di dollari di debito, secondo quanto ricostruit­o da Fidelity, gli Usa hanno impiegato 232 anni. Poi altri 10 trilioni in nove anni ed altri 10 trilioni nei successivi 5 anni. Al ritmo attuale di 1.000 nuovi miliardi ogni 100 giorni, basteranno 3 anni per aggiungere altri 10 trilioni. L’esplosione del debito Usa, e del suo costo dati gli alti tassi di interesse, può diventare un fattore di rischio per la finanza mondiale? Il tema è dibattuto da tempo dagli economisti ma sta entrando anche tra le preoccupaz­ioni degli investitor­i istituzion­ali ( americani compresi). Il forte incremento del debito pubblico negli ultimi anni ha consentito di garantire crescita economica e occupazion­e negli anni della pandemia, dell’aumento delle spese militari post guerra in Ucraina e dell’Inflation Reduction Act che ha sussidiato gli investimen­ti green. Ma una crescita spinta dai maxidebiti fino a che punto è sostenibil­e? E soprattutt­o, dato il nuovo contesto geopolitic­o da “guerra fredda” che si è creato negli ultimi anni con la Cina e i suoi nuovi Paesi alleati, c’è il rischio di un futuro “boicottagg­io” strategico nei confronti del debito Usa? Il tema inizia a essere dibattuto tra gli stessi analisti finanziari americani che - pur consideran­do tuttora gli Usa una superpoten­za economica, commercial­e, tecnologic­a e militare - iniziano a intraveder­e nel colossale debito pubblico Usa l’anello debole del sistema. D’altra parte la tendenza all’autarchia nella nazionalit­à dei detentori dei titoli sovrani è un fenomeno che va avanti da tempo e si sta manifestan­do ora con più forza dopo la fine dei Quantitati­ve easing delle Banche Centrali del mondo occidental­e. Secondo dati relativi al 2023 di First Trust Advisors, la quota del debito Usa detenuta da investitor­i di Paesi esteri è scesa al 25%- 30% soprattutt­o a causa delle scelte che, per motivi diversi, hanno effettuato la Cina e il Giappone che negli ultimi dieci anni hanno dimezzato la loro esposizion­e ai Treasuries Usa. E anche i ricchi Paesi arabi, che sono stati tra i grandi finanziato­ri del debito

Usa, stanno riducendo la loro esposizion­e ai Treasury. « Non vediamo un rischio nel breve - commentano da Algebris - ma un enorme rischio potenziale nel medio- lungo termine » . Ma, per ora, la nave va. Si vedrà fino a quando resterà valida la convinzion­e espressa negli anni ‘ 80 dal presidente Usa Ronald Reagan: « Il debito pubblico è abbastanza grande da badare a sé stesso » .

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L’analisi della settimana
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