Dilaga il fenomeno delle multiproprietà, oltre 350 club coinvolti
Il caso Milan- RedBird- Elliott ha acceso un faro sui gruppi che controllano più squadre, un modello di governance sempre più diffuso
L’indagine della Procura di Milano sulla effettiva proprietà del club rossonero ha rinvigorito il dibattito sulle multiproprietà in un’industria calcistica sempre più globalizzata e dominata da logiche finanziarie.
Al di là della vicenda specifica, in effetti, va rimarcato come il fenomeno delle cosiddette « Multi- club ownership » ( Mco) sia dilagato negli ultimi anni in maniera esponenziale, senza che le istituzioni calcistiche - in particolare la Uefa, visto che i casi si concentrano principalmente nel Vecchio continente - abbiano fin qui potuto erigere un argine netto.
In verità, l’articolo 5 del regolamento Uefa stabilisce che « nessuna società che partecipa ad una competizione per club, può direttamente o indirettamente detenere o negoziare titoli o azioni di qualsiasi altro club che vi partecipi » . E che « un membro di una società che partecipa alle competizioni per club, non può essere allo stesso tempo coinvolto a qualsiasi titolo nella gestione, amministrazione o prestazione di qualsiasi altro club » .
In altri termini, tra le formazioni ammesse alle manifestazioni della Uefa deve esserci piena indipendenza e nessun deve poter esercitare un’influenza dominante su un altro.
Il problema è che appare sempre più complesso garantire ciò in quadro europeo e mondiale in cui il numero di società calcistiche inserite in gruppi con una sola proprietà è esploso.
Il Cies ( International Centre for Sports Studies), struttura indipendente di Neuchatel, ha censito nel 2023 circa 350 team che in tutto il mondo fanno parte di una catena proprietaria multi- club. In particolare, più di 220 squadre hanno sede in Europa, 58 in Nord e Centro America, 25 in Asia, 20 in Sudamerica, 19 in Africa e 1 in Oceania. Un anno fa le squadre inserite in una Mco era circa 250: in poco più di 12 mesi l’aumento è stato del 40 per cento.
Il fenomeno delle multi- proprietà è cresciuto soprattutto dopo la crisi che ha colpito il mondo del calcio con la pandemia, per via delle difficoltà economiche che hanno costretto molti proprietari a fare un passo indietro. Così è stato più facile per fondi di private equity e/ o fondi sovrani ovvero investitori soprattutto provenienti dallo sport- business Usa compare club in Europa e assorbire il relativo know- how. Se fino al 2019 esistevano meno di 40 holding calcistiche, oggi il numero è più che raddoppiato. E se l’anno prima della pandemia c’erano 23 società in mano a imprenditori a stelle e strisce all’interno di gruppi calcistici, nel 2o23 ce ne sono quasi 100. E non a caso, i paesi con più compagini ( oltre 30) sotto il controllo di un’unica holding sono Usa, Gran Bretagna e Spagna.
Per comprendere le motivazioni che spingono a costituire una multiclub ownership basta leggere in controluce le prescrizioni che la Uefa ha dettato nel luglio del 2023 al fondo RedBird proprietario ( fino a prova contraria) del Milan in Serie A e del Tolosa in League 1, per ammettere entrambe le squadre alle proprie competizioni.
Oltre alla diversificazione dei manager, alle due società è stato prescritto di: non fare operazioni di mercato tra di loro, sia a titolo definitivo che temporaneo fino a settembre 2024; non stipulare accordi tecnici, commerciali o di cooperazione comune; non utilizzare scouting o database comuni. Creare filiere di valore nella formazione di talenti in un’ottica del player trandig, ridurre i costi con i prestiti dei giocatori sotto controllo, massimizzare le sponsorizzazioni: sono alcuni dei vantaggi che questo modello di governance può procurare.
Evidentemente, però, la diffusione indiscriminata delle multiproprietà ( vietate rigorosamente a livello nazionale) può generare un problema di trasparenza degli asset proprietari, nonché di potenziali conflitti ( o per meglio dire di inopportune convergenze) di interessi mettendo a rischio il corretto svolgimento delle partite e il merito sportivo.
Uno dei casi più recenti di multiproprietà riguarda i Bayern di Monaco e il Los Angeles Fc, squadra della Major League Soccer Usa. Bayern e Los Angeles hanno sottoscritto nel marzo del 2023 una partnership strategica, dando vita al « Red& gold Football » che nei mesi successivi ha acquistato il Racing di Montevideo in Uruguay. La franchigia californiana invece per evitare ai bavaresi di incorrere in problemi di conflitto di interesse, è diventata formalmente proprietaria del Grasshopper, il team più titolato della Svizzera, e ha investito nell’Fc Wacker Innsbruck, che milita nelle categorie inferiori del calcio austriaco.
La multiproprietà più importante è quella del Football City Group. Di proprietà dello sceicco emiratino Mansour e con il fiore all’occhiello dei
campioni d’Europa del Manchester City, il gruppo annovera una dozzina
di squadre ( in Italia il Palermo) sparse in tutti i continenti. Il prossimo anno peraltro potrebbe sorgere per il Football City Group un problema di compatibilità in quanto anche la partecipata spagnola Girona è in lizza per qualificarsi insieme al Manchester alla Champions League.
Finora la Uefa ha ammesso caso per caso la presenza di due club nell’orbita della stessa proprietà. Nella vicenda dell’incrocio in Champions tra Lipsia e Salisburgo, entrambi sotto l’egida della Red Bull, la Camera investigativa dell’organo di controllo finanziario dei club, ha accettato una serie di modifiche alla governance delle due società derubricando la relazione tra Red Bull e Salisburgo, a mera sponsorizzazione.
Una soluzione parziale che ha fatto storcere il naso a molti osservatori e tifosi e che a maggior ragione in considerazione dell’evoluzione delle multiproprietà calcistiche impone a Nyon una seria riflessione sulle modalità per ridisciplinare la materia in modo più rigoroso.
La Uefa vieta situazioni di influenza tra due team che partecipano alla stessa competizione