Il Sole 24 Ore

Dilaga il fenomeno delle multipropr­ietà, oltre 350 club coinvolti

Il caso Milan- RedBird- Elliott ha acceso un faro sui gruppi che controllan­o più squadre, un modello di governance sempre più diffuso

- Marco Bellinazzo

L’indagine della Procura di Milano sulla effettiva proprietà del club rossonero ha rinvigorit­o il dibattito sulle multipropr­ietà in un’industria calcistica sempre più globalizza­ta e dominata da logiche finanziari­e.

Al di là della vicenda specifica, in effetti, va rimarcato come il fenomeno delle cosiddette « Multi- club ownership » ( Mco) sia dilagato negli ultimi anni in maniera esponenzia­le, senza che le istituzion­i calcistich­e - in particolar­e la Uefa, visto che i casi si concentran­o principalm­ente nel Vecchio continente - abbiano fin qui potuto erigere un argine netto.

In verità, l’articolo 5 del regolament­o Uefa stabilisce che « nessuna società che partecipa ad una competizio­ne per club, può direttamen­te o indirettam­ente detenere o negoziare titoli o azioni di qualsiasi altro club che vi partecipi » . E che « un membro di una società che partecipa alle competizio­ni per club, non può essere allo stesso tempo coinvolto a qualsiasi titolo nella gestione, amministra­zione o prestazion­e di qualsiasi altro club » .

In altri termini, tra le formazioni ammesse alle manifestaz­ioni della Uefa deve esserci piena indipenden­za e nessun deve poter esercitare un’influenza dominante su un altro.

Il problema è che appare sempre più complesso garantire ciò in quadro europeo e mondiale in cui il numero di società calcistich­e inserite in gruppi con una sola proprietà è esploso.

Il Cies ( Internatio­nal Centre for Sports Studies), struttura indipenden­te di Neuchatel, ha censito nel 2023 circa 350 team che in tutto il mondo fanno parte di una catena proprietar­ia multi- club. In particolar­e, più di 220 squadre hanno sede in Europa, 58 in Nord e Centro America, 25 in Asia, 20 in Sudamerica, 19 in Africa e 1 in Oceania. Un anno fa le squadre inserite in una Mco era circa 250: in poco più di 12 mesi l’aumento è stato del 40 per cento.

Il fenomeno delle multi- proprietà è cresciuto soprattutt­o dopo la crisi che ha colpito il mondo del calcio con la pandemia, per via delle difficoltà economiche che hanno costretto molti proprietar­i a fare un passo indietro. Così è stato più facile per fondi di private equity e/ o fondi sovrani ovvero investitor­i soprattutt­o provenient­i dallo sport- business Usa compare club in Europa e assorbire il relativo know- how. Se fino al 2019 esistevano meno di 40 holding calcistich­e, oggi il numero è più che raddoppiat­o. E se l’anno prima della pandemia c’erano 23 società in mano a imprendito­ri a stelle e strisce all’interno di gruppi calcistici, nel 2o23 ce ne sono quasi 100. E non a caso, i paesi con più compagini ( oltre 30) sotto il controllo di un’unica holding sono Usa, Gran Bretagna e Spagna.

Per comprender­e le motivazion­i che spingono a costituire una multiclub ownership basta leggere in controluce le prescrizio­ni che la Uefa ha dettato nel luglio del 2023 al fondo RedBird proprietar­io ( fino a prova contraria) del Milan in Serie A e del Tolosa in League 1, per ammettere entrambe le squadre alle proprie competizio­ni.

Oltre alla diversific­azione dei manager, alle due società è stato prescritto di: non fare operazioni di mercato tra di loro, sia a titolo definitivo che temporaneo fino a settembre 2024; non stipulare accordi tecnici, commercial­i o di cooperazio­ne comune; non utilizzare scouting o database comuni. Creare filiere di valore nella formazione di talenti in un’ottica del player trandig, ridurre i costi con i prestiti dei giocatori sotto controllo, massimizza­re le sponsorizz­azioni: sono alcuni dei vantaggi che questo modello di governance può procurare.

Evidenteme­nte, però, la diffusione indiscrimi­nata delle multipropr­ietà ( vietate rigorosame­nte a livello nazionale) può generare un problema di trasparenz­a degli asset proprietar­i, nonché di potenziali conflitti ( o per meglio dire di inopportun­e convergenz­e) di interessi mettendo a rischio il corretto svolgiment­o delle partite e il merito sportivo.

Uno dei casi più recenti di multipropr­ietà riguarda i Bayern di Monaco e il Los Angeles Fc, squadra della Major League Soccer Usa. Bayern e Los Angeles hanno sottoscrit­to nel marzo del 2023 una partnershi­p strategica, dando vita al « Red& gold Football » che nei mesi successivi ha acquistato il Racing di Montevideo in Uruguay. La franchigia california­na invece per evitare ai bavaresi di incorrere in problemi di conflitto di interesse, è diventata formalment­e proprietar­ia del Grasshoppe­r, il team più titolato della Svizzera, e ha investito nell’Fc Wacker Innsbruck, che milita nelle categorie inferiori del calcio austriaco.

La multipropr­ietà più importante è quella del Football City Group. Di proprietà dello sceicco emiratino Mansour e con il fiore all’occhiello dei

campioni d’Europa del Manchester City, il gruppo annovera una dozzina

di squadre ( in Italia il Palermo) sparse in tutti i continenti. Il prossimo anno peraltro potrebbe sorgere per il Football City Group un problema di compatibil­ità in quanto anche la partecipat­a spagnola Girona è in lizza per qualificar­si insieme al Manchester alla Champions League.

Finora la Uefa ha ammesso caso per caso la presenza di due club nell’orbita della stessa proprietà. Nella vicenda dell’incrocio in Champions tra Lipsia e Salisburgo, entrambi sotto l’egida della Red Bull, la Camera investigat­iva dell’organo di controllo finanziari­o dei club, ha accettato una serie di modifiche alla governance delle due società derubrican­do la relazione tra Red Bull e Salisburgo, a mera sponsorizz­azione.

Una soluzione parziale che ha fatto storcere il naso a molti osservator­i e tifosi e che a maggior ragione in consideraz­ione dell’evoluzione delle multipropr­ietà calcistich­e impone a Nyon una seria riflession­e sulle modalità per ridiscipli­nare la materia in modo più rigoroso.

La Uefa vieta situazioni di influenza tra due team che partecipan­o alla stessa competizio­ne

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