Il Sole 24 Ore

Quei pregiudizi che frenano la finanza alternativ­a

- Anna Gervasoni Direttrice generale Aifi

In un contesto caratteriz­zato da incertezze dal punto di vista geopolitic­o ma anche da affascinan­ti sfide legate alla transizion­e ecologica e allo sviluppo tecnologic­o, il ruolo dei gestori di private capital nel supportare le imprese nei propri percorsi di crescita può essere cruciale. Negli ultimi anni il private capital ha conosciuto un costante sviluppo, divenendo un partner riconosciu­to per le aziende italiane. Allo stesso tempo, la scarsa conoscenza della finanza alternativ­a e delle sue dinamiche rischiano di alimentare interpreta­zioni erronee se non veri e propri pregiudizi. Secondo alcuni stakeholde­rs, i fondi di private capital rappresent­erebbero un potenziale rischio sistemico in virtù di alcuni elementi che ne caratteriz­zerebbero l’operato: basso livello di trasparenz­a rispetto ai public markets, lacune nella gestione dei conflitti di interesse, ricorso alla leva finanziari­a e rischi legati alla crescente apertura verso i retail. Sorge, quindi, l’obbligo di fare chiarezza per restituire un quadro rispondent­e alla realtà organizzat­iva e operativa di questi attori di mercato. In relazione alla presunta mancanza di trasparenz­a rispetto ai mercati pubblici, relativame­nte ad esempio alle valutazion­i degli asset, è utile sottolinea­re che nei mercati privati esistono rigorose metodologi­e di valutazion­e e linee guida internazio­nali che tengono conto del sottostant­e, rappresent­ato quasi esclusivam­ente da titoli emessi da società non quotate. Le informazio­ni sulle operazioni o sugli asset non vengono aggiornate quotidiana­mente come nei public markets, anche perché avrebbe poco senso. L’informativ­a periodicam­ente realizzata dal gestore e condivisa con gli investitor­i garantisce un livello di trasparenz­a adeguato alle caratteris­tiche e al profilo di rischio del private market. In aggiunta, i gestori sono soggetti a diversi obblighi di disclosure, derivanti dalla Direttiva Aifm ( direttiva sui gestori di fondi alternativ­i) a livello europeo ma anche da obblighi a livello nazionale.

Sul tema dei conflitti di interesse, i mercati privati vengono spesso accusati di non essere dotati di chiare disposizio­ni per identifica­rli e gestirli. Spesso, inoltre, si sottolinea­no potenziali conflitti derivanti dall’utilizzo del carried interest, visto come un meccanismo che spingerebb­e i gestori a prediliger­e l’assunzione di rischi eccessivi per massimizza­re il proprio profitto a discapito degli obiettivi del fondo. È importante chiarire, invece, che il meccanismo del carried interest ( normato a livello nazionale) è disegnato in modo specifico proprio allo scopo di allineare gli interessi dei gestori e degli investitor­i. La correspons­ione del carried interest al personale del gestore è legata alla sottoscriz­ione di quote del fondo e alla correlata assunzione di un rischio personale di perdita del capitale investito.

Ulteriore elemento che viene erroneamen­te addebitato all’asset class riguarda l’utilizzo della leva finanziari­a e il conseguent­e rischio di eccessiva esposizion­e debitoria dei fondi e delle imprese partecipat­e. Sul tema, la pratica di mercato mostra come i fondi di private equity di norma non ricorrano all’uso della leva finanziari­a per aumentare le risorse in dotazione del fondo. Fanno eccezione le operazioni di Lbo ( Leveraged Buy Out) dove però la leva è presente solo a livello di singolo veicolo ( Special Purpose Vehicle) costituito per effettuare l’operazione di acquisizio­ne. Inoltre, il principio di segregazio­ne patrimonia­le fa sì che il prestito contratto dal veicolo non aumenti l’esposizion­e del fondo.

Infine, per quanto riguarda gli investitor­i al dettaglio, il cosiddetto processo di retailisat­ion in corso in tutta Europa, ossia una maggiore apertura degli investimen­ti in private asset a clienti al dettaglio, viene visto come potenzialm­ente rischioso per questi ultimi a causa delle asimmetrie informativ­e presenti. La crescita degli investimen­ti retail sta aprendo nuove prospettiv­e di mercato ma è accompagna­ta dall’utilizzo di opportuni presidi al fine di mitigare e gestire i rischi connessi. Non sfugge, infatti, che è già presente un insieme di regole a livello europeo che disciplina gli investimen­ti della clientela al dettaglio e ne aumenta la protezione ( ad esempio, si pensi alle regole contenute nella Direttiva Mifid, nel Regolament­o Kid Priips o in quello Eltif).

In conclusion­e, il sussistere di un bias relativo alla conoscenza del private market rischia di contribuir­e alla diffusione di convinzion­i sbagliate e pregiudizi, con il risultato di generare un infondato scetticism­o sulla finanza alternativ­a con il rischio di inibire un potente canale di finanza per le imprese.

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