Quei pregiudizi che frenano la finanza alternativa
In un contesto caratterizzato da incertezze dal punto di vista geopolitico ma anche da affascinanti sfide legate alla transizione ecologica e allo sviluppo tecnologico, il ruolo dei gestori di private capital nel supportare le imprese nei propri percorsi di crescita può essere cruciale. Negli ultimi anni il private capital ha conosciuto un costante sviluppo, divenendo un partner riconosciuto per le aziende italiane. Allo stesso tempo, la scarsa conoscenza della finanza alternativa e delle sue dinamiche rischiano di alimentare interpretazioni erronee se non veri e propri pregiudizi. Secondo alcuni stakeholders, i fondi di private capital rappresenterebbero un potenziale rischio sistemico in virtù di alcuni elementi che ne caratterizzerebbero l’operato: basso livello di trasparenza rispetto ai public markets, lacune nella gestione dei conflitti di interesse, ricorso alla leva finanziaria e rischi legati alla crescente apertura verso i retail. Sorge, quindi, l’obbligo di fare chiarezza per restituire un quadro rispondente alla realtà organizzativa e operativa di questi attori di mercato. In relazione alla presunta mancanza di trasparenza rispetto ai mercati pubblici, relativamente ad esempio alle valutazioni degli asset, è utile sottolineare che nei mercati privati esistono rigorose metodologie di valutazione e linee guida internazionali che tengono conto del sottostante, rappresentato quasi esclusivamente da titoli emessi da società non quotate. Le informazioni sulle operazioni o sugli asset non vengono aggiornate quotidianamente come nei public markets, anche perché avrebbe poco senso. L’informativa periodicamente realizzata dal gestore e condivisa con gli investitori garantisce un livello di trasparenza adeguato alle caratteristiche e al profilo di rischio del private market. In aggiunta, i gestori sono soggetti a diversi obblighi di disclosure, derivanti dalla Direttiva Aifm ( direttiva sui gestori di fondi alternativi) a livello europeo ma anche da obblighi a livello nazionale.
Sul tema dei conflitti di interesse, i mercati privati vengono spesso accusati di non essere dotati di chiare disposizioni per identificarli e gestirli. Spesso, inoltre, si sottolineano potenziali conflitti derivanti dall’utilizzo del carried interest, visto come un meccanismo che spingerebbe i gestori a prediligere l’assunzione di rischi eccessivi per massimizzare il proprio profitto a discapito degli obiettivi del fondo. È importante chiarire, invece, che il meccanismo del carried interest ( normato a livello nazionale) è disegnato in modo specifico proprio allo scopo di allineare gli interessi dei gestori e degli investitori. La corresponsione del carried interest al personale del gestore è legata alla sottoscrizione di quote del fondo e alla correlata assunzione di un rischio personale di perdita del capitale investito.
Ulteriore elemento che viene erroneamente addebitato all’asset class riguarda l’utilizzo della leva finanziaria e il conseguente rischio di eccessiva esposizione debitoria dei fondi e delle imprese partecipate. Sul tema, la pratica di mercato mostra come i fondi di private equity di norma non ricorrano all’uso della leva finanziaria per aumentare le risorse in dotazione del fondo. Fanno eccezione le operazioni di Lbo ( Leveraged Buy Out) dove però la leva è presente solo a livello di singolo veicolo ( Special Purpose Vehicle) costituito per effettuare l’operazione di acquisizione. Inoltre, il principio di segregazione patrimoniale fa sì che il prestito contratto dal veicolo non aumenti l’esposizione del fondo.
Infine, per quanto riguarda gli investitori al dettaglio, il cosiddetto processo di retailisation in corso in tutta Europa, ossia una maggiore apertura degli investimenti in private asset a clienti al dettaglio, viene visto come potenzialmente rischioso per questi ultimi a causa delle asimmetrie informative presenti. La crescita degli investimenti retail sta aprendo nuove prospettive di mercato ma è accompagnata dall’utilizzo di opportuni presidi al fine di mitigare e gestire i rischi connessi. Non sfugge, infatti, che è già presente un insieme di regole a livello europeo che disciplina gli investimenti della clientela al dettaglio e ne aumenta la protezione ( ad esempio, si pensi alle regole contenute nella Direttiva Mifid, nel Regolamento Kid Priips o in quello Eltif).
In conclusione, il sussistere di un bias relativo alla conoscenza del private market rischia di contribuire alla diffusione di convinzioni sbagliate e pregiudizi, con il risultato di generare un infondato scetticismo sulla finanza alternativa con il rischio di inibire un potente canale di finanza per le imprese.