Il tempo delle scelte sulla governance dell’Intelligenza artificiale
Èarrivato il tempo delle scelte sulla governance dell’intelligenza artificiale. Sono bastati applicativi come ChatGpt, Gemini, Murf, Claude, Character e altri, docili e al tempo potenti, piccoli oracoli tascabili ( non più necessario andare a Delfi, né dimostrarsi degni dell’oracolo) per renderle improrogabili.
Parola dai molti significati e applicazioni, dentro e fuori alle istituzioni ( basti pensare alla cosiddetta corporate governance), la governance ha essenzialmente a che fare con la nostra capacità di pensare e agire per il bene comune, dando vita a organizzazioni, reti e alleanze comunitarie intelligenti. Una intelligenza, al tempo stesso, politica, dunque visionaria e strategica, e pragmatica, realmente trasformativa, vitale per ogni polis e policy. Certamente vitale quando in gioco c’è l’Ia o, meglio, il nostro vivere con e dentro l’Ia ( la on- life di cui parla Floridi),
La sfida che abbiamo davanti, sul piano della governance dell’Ia, è proprio quella di sviluppare una intelligenza umana di scala comunitaria per l’Ia, capace di design e di un- design sul duplice fronte umano/ artificiale ( Cabitza docet). Un paradosso, forse, in quanto l’Ia promette di estendere le nostre capacità e la nostra intelligenza ( quasi una transizione di fase in senso quantistico). Tuttavia, nella corsa/ rincorsa innescata dall’Ia, il rischio che abbiamo dinanzi è proprio quello di una non intelligenza politica ( prendendo a prestito il titolo del bel volume di Meredith Broussard, Artificial Unintelligence, 2019, The Mit Press). Anzi, un doppio paradosso, poiché l’intelligenza politica e pragmatica richiesta alla super società ( l’espressione è del sociologo Mauro Magatti) e alle organizzazioni complesse in tempi di Ia è, essa stessa, a suo modo, artificiale ( nel significato etimologico, di fatto con arte).
Se questo è l’obiettivo, quale governance per l’Ia?
L’Ai Act disegna una governance europea per l’Ia non meramente funzionale a garantirne l’attuazione, ma a garantirne l’apertura al futuro, assicurando, cioè, un processo dinamico e costante di rilettura politica e regolatoria, delle scelte in esso compiute, contribuendo così al design e un- design dell’Ia e della transizione digitale. Una governance europea per l’Ia capace di catturare i big e mini data ( anche in termini di buone e cattive pratiche, bias, lezioni apprese) costantemente generati dal dialogo tra autorità pubbliche ( nazionali ed europee), operatori di mercato, consumatori, comunità scientifica e società civile nello sviluppo, messa a disposizione e uso di forme di Ia. Questo il ruolo del Board europeo per l’Ia ( art. 65), con i suoi standing groups, anche temporanei e finalizzati alla soluzione di specifiche questioni; con i pool di esperti; con il suo forum consultivo, aperto a tutti i portatori di interessi, al mondo dell’impresa ( anche delle SMEs e delle StartUps), della società civile e dell’accademia. Una governance, quella dell’Ia Act, ulteriormente estesa ( diremmo noi), attraverso l’adattamento del circuito democratico europeo alle sfide dell’Ia ( basti pensare alla Commissione speciale per l’Ia del Parlamento europeo o al Gruppo di esperti di alto livello sulla Ia della Commissione europea).
Vi è spazio per una governancemade governance made in Italy? Certamente, potremmo decidere di affidarci a questa infrastruttura di sicurezza ( così Benanti), iniziando con l’individuare l’autorità nazionale competente per l’Ia ( art. 70). Qualche anticipazione ( e reazione) sui possibili game player di questa “nuova” governance per l’Ia vi è già stata: il Sottosegretario On. Alessio Butti ha indicato il possibile ruolo di due agenzie: Agid e Acn. In proposito, va detto, l’Unione europea richiede un’autorità imparziale, indipendente ed oggettiva, perché lo Stato è regolatore e, al tempo stesso, player della Ia.
Potremmo, però, fare di più, dando vita a una governance italiana per la Ia che contribuisca realmente a sviluppare l’intelligenza di scala comunitaria di cui abbiamo bisogno. Anche qui, alcune anticipazioni vi sono già state: già tre le commissioni attive a livello parlamentare, governativo e ministeriale. Si potrebbe però fare di più, attivando un forum Italiano per l’Ai ( Fit_ AI?), policentrico e distribuito, capace di innescare un percorso di riflessione culturale per un nuovo umanesimo artificiale per l’Ia. Nel farlo, potremmo sperimentare un percorso di open
( e) democracy che coinvolga accademici e ricercatori, imprese e startup, parti sociali e civili, associazioni e rappresentanze in ogni campo del sapere. Insomma, una intelligenza artificiale comunitaria made in Italy.