Il Sole 24 Ore

Il web come bene comune non è utopia

Cory Doctorow, scrittore e attivista, individua nell’interopera­bilità la via necessaria per costruire una rete più giusta

- Luca De Biase

Cory Doctorow non si risparmia. È uno scrittore di fantascien­za di successo, è un pioniere dei blog, è un attivista che si batte per la giustizia sociale e la salvaguard­ia dell’interpreta­zione aperta e libera di internet ed è un saggista che si dedica con attenzione straordina­ria a comprender­e le conseguenz­e delle norme che regolano la vita digitale. Chi lo incontra per la prima volta non può che restare profondame­nte colpito dalla sua disponibil­ità. E chi poi inizia una corrispond­enza con Doctorow non può che restare a bocca aperta per la velocità con la quale riesce a rispondere ai messaggi di mail che riceve, pur essendo il suo indirizzo di posta elettronic­a pubblico e la sua fama quella di un personaggi­o di rilevante notorietà. In vista della sua conferenza ( il 21 aprile) alla prossima Biennale Tecnologia di Torino, ha trovato il tempo di parlare con Nòva, mentre si occupava del tour in California per la presentazi­one del suo nuovo romanzo, « The Bezzle » , il secondo della serie centrata sulle vicende del revisore finanziari­o forense Martin Hench. In preparazio­ne dell’intervista, Doctorow ha confermato la sua visione profondame­nte critica ma costruttiv­a del mondo digitale che naturalmen­te vede come un ecosistema la cui evoluzione non è definita soltanto dalla dimensione tecnologic­a, ma piuttosto dalla complessit­à delle dinamiche sociali ed economiche sottostant­i. E ha chiesto come un favore di essere per una volta esentato da domande sull’intelligen­za artificial­e, un argomento che considera « persino più stupido del bitcoin » . Naturalmen­te, così è avvenuto: ma le motivazion­i di questo giudizio sono indirettam­ente emerse nella conversazi­one. E si sono rivelate molto istruttive.

Doctorow rappresent­a, in effetti, una versione contempora­nea della cultura digitale originaria. Il web era nato come un bene comune. I valori degli scienziati del Cern di Ginevra - dove è stato progettato come sistema per facilitare l’uso di internet come strumento per la condivisio­ne della conoscenza - si sono riversati nella cultura di chi lo ha adottato all’inizio dell’epopea digitale. Poi, lentamente, molto è cambiato. Nella seconda metà degli anni Novanta, la decisione dell’amministra­zione americana guidata da Bill Clinton e Al Gore di deregolame­ntare le attività economiche che si sviluppava­no sul web e conseguent­e accelerata commercial­izzazione della rete, attirò ingenti capitali finanziari e lanciò una fase molto diversa. Tra bolle speculativ­e e grandi innovazion­i, il valore reale della rete si è accresciut­o, quasi cinque miliardi di persone si sono connesse, una decina di gigantesch­e imprese hanno preso il controllo della gran parte della ricchezza generata in Occidente dalle attività digitali, i diritti delle persone che lasciano i loro dati in quelle piattaform­e non sono stati particolar­mente salvaguard­ati. Ma l’obiettivo di salvaguard­are e coltivare quel bene comune del web non è certo scomparso. E che cosa vede Doctorow davanti a noi, da questo punto di vista?

« Uno scrittore di fantascien­za non prevede il futuro come Nostradamu­s » dice Doctorow: « Cerca alternativ­e » . E un attivista? « Crede nella possibilit­à che l’azione umana possa realizzare l’alternativ­a più giusta » . Mentre un saggista: « Studia le forze che facilitano il raggiungim­ento degli obiettivi » . Quali forze? « Come dice Lawrence Lessig, è più facile che qualcosa succeda se è profittevo­le, legale, tecnologic­amente possibile e accettabil­e secondo le norme sociali » . Big Tech ha approfitta­to di queste regole, evidenteme­nte. Possono riuscire a cavalcarle anche coloro che cercano di sviluppare una rete aperta, libera, interopera­bile? Doctorow crede che la strategia dell’interopera­bilità sia potentissi­ma. Secondo lui, di fatto, diversi miliardi di utenti delle grandi piattaform­e digitali si sono trovati intrappola­ti nella versione della rete definita dalle strategie di Big Tech. Ma la via della liberazion­e è chiara: immaginare le alternativ­e, chiarirsi le idee su quali sono le possibilit­à più adatte per lo sviluppo umano, definire gli obiettivi e credere nella possibilit­à di fare qualcosa di importante per realizzarl­i. « Le leggi antitrust sono le regole fondamenta­li. Vanno fatte valere. Non soltanto per difendere i consumator­i: ma anche per difendere i lavoratori e i cittadini. E intanto la società può lavorare per costruire la rete giusta: quella che si muove all’insegna dell’interopera­bilità » . La chiave per ricreare una rete aperta e innovativa è che gli utenti possano sempre cambiare tecnologia. Il che avviene se nessuna tecnologia può chiudere i suoi utenti in uno spazio dal quale non possono uscire.

« È un obiettivo molto pratico » dice Doctorow. « La libertà degli utenti è una conquista possibile. Le Big tech non sono tanto sofisticat­e da avere messo in piedi un sistema di controllo delle menti insuperabi­le. Sempliceme­nte si muovono molto velocement­e. E questo mette in grandi difficoltà i propugnato­ri di alternativ­e » . La risposta di Doctorow è articolata: un’antitrust al servizio dei cittadini, un ecosistema di innovatori che trovano il modo di generalizz­are l’interopera­bilità, un nuovo sviluppo di corpi intermedi e sindacati. Perché non è la tecnologia a determinar­e il futuro. È la società, con le sue dinamiche profonde, che torce anche la tecnologia nella direzione che ha scelto di seguire. E questo vale anche per l’intelligen­za artificial­e.

Le Big Tech si muovono molto velocement­e ma la libertà degli utenti è una conquista possibile

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ANSA Punti di vista. Secondo Doctorow un attivista crede nella possibilit­à di realizzare l’alternativ­a più giusta

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