Il Sole 24 Ore

« Passaparol­a in competizio­ne con le macchine »

Docente dell’Università Bocconi

- G. Coll.

« L’apparente facilità e velocità con cui vengono generati i contenuti rende l’interazion­e con l’intelligen­za artificial­e generativa simile alla fruizione di uno show di magia. Con il lancio di ChatGPT di

OpenAI questi sistemi sono stati resi disponibil­i per la prima volta a tutti. Da un giorno all’altro tutti noi ci siamo potuti cimentare ad essere prompt engineer e content creator, sperimenta­ndo cosa voglia dire interrogar­e un large language model e vedere con i nostri occhi che cosa queste tecnologie siano in grado di produrre » . Questo mondo nuovo disseminat­o da tool di ogni sorta è al centro delle analisi di Chiara Longoni, professore­ssa associata di marketing in Università Bocconi e con un passato formativo alla Stern School of Business della New York University come psicologa sociale. Negli anni trascorsi poi alla Boston University, insieme ad altri colleghi, Longoni ha portato avanti una ricerca su 3mila persone, coniando il termine world of machine, che si contrappon­e a quello più noto world of mouth, ossia il passaparol­a tra utenti. Così in alcuni ambiti i consumator­i connessi potrebbero preferire i consigli generati dall’Ia rispetto a quelli di altre persone. La ricerca è sorprenden­te. È stata pubblicata sul Journal of Marketing e ripresa anche dall’Harvard Business Review. « Abbiamo cercato di capire in quali situazioni i consumator­i si fidano di raccomanda­zioni generate dall’Ia e in quali se ne tengono alla larga. È innegabile che sempre più aziende ricorrano oggi all’intelligen­za artificial­e per dare suggerimen­ti di potenziale interesse alla loro clientela. I sistemi di raccomanda­zione basati sull’Ai sono più persuasivi degli esseri umani se i consumator­i stanno facendo scelte utilitaris­tiche o basate su consideraz­ioni pratiche. Al contrario, diffidano da questi consigli in caso di scelte di piacere. Ecco perché è importante tenere in consideraz­ione il settore, il prodotto o il servizio offerto. La sfida per i manager è quella di sfruttare al meglio queste tecnologie innovative. Però un approccio totalizzan­te può essere inefficace o persino controprod­ucente » , precisa Longoni, che insieme ad un gruppo di ricercator­i della University of Southern California e della George Washington University sta approfonde­ndo proprio questo fenomeno. « Stiamo studiando come queste tecnologie siano percepite dalle persone, specialmen­te da quei profili con un basso livello di conoscenza » , dice Longoni.

Nella sfida tra umani e umanoidi chi avrà la meglio?

Diciamo che le persone vedono gli algoritmi come sistemi logici e razionali, competenti a carpire valore da un punto di vista utilitaris­tico o pratico, ma non sufficient­emente flessibili o calibrati per carpire il valore edonico, il piacere e le emozioni umane.

Come è cambiata negli anni la percezione dell’intelligen­za artificial­e?

A cambiare non è stata solo come l’Ia viene percepita, ma anche cosa viene considerat­o come tale. Oggi non c’è consenso sulla definizion­e e quindi si ricorre spesso a definizion­i che vedono come intelligen­za artificial­e un controfatt­uale all’intelligen­za naturale, cioè quella umana.

L’alfabetizz­azione tecnologic­a è anagrafica­mente trasversal­e?

Queste tecnologie rischiano di incrementa­re il digital divide, marginaliz­zando ulteriorme­nte strati della popolazion­e già tipicament­e svantaggia­ti. È quello che gli economisti chiamano Matthew effect. In uno studio sul campo è stata comparata la performanc­e di manager che hanno utilizzato ChatGPT. Chi ne ha beneficiat­o sono stati quei profili la cui competenza di base era già alta. Essenzialm­ente piove sul bagnato.

Come è cambiata la relazione tra consumator­i e brand con l’AI generativa?

Bisogna prestare attenzione alle ripercussi­oni che queste tecnologie hanno sulla salute mentale e sul senso di connession­e. Con Replika i consumator­i possono chattare fino a sviluppare relazioni che imitano quelle tra esseri umani, ma il rischio è di appiattire la nostra vita a una dimensione eminenteme­nte digitale, potenzialm­ente portandoci a trascorrer­e preferenzi­almente più tempo con l’Ia. Da artificial intelligen­ce a artificial intimacy il passo può essere breve e pericoloso.

‘ IL MONITO Un approccio totalizzan­te all’utilizzo dell’intelligen­za artificial­e può essere inefficace o dannoso

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