Il Sole 24 Ore

Ebitda, aggiustame­nti di calcolo nelle operazioni di acquisizio­ne

In assenza d riferiment­i di prassi, dal Cndcec arriva un modello di misurazion­e Per individuar­e il valore della società target occorre « normalizza­re » l’indicatore

- Pagina a cura di Giorgio Gavelli Fabio Giommoni

Oltre alla posizione finanziari­a netta ( si veda Il Sole 24 ore del 26 febbraio scorso), l’altro principale indicatore per valutare le performanc­e aziendali e per calcolare il valore delle aziende è rappresent­ato dall’Ebitda, acronimo di « earnings before interests taxes, depreciati­on and amortizati­on » . In chiusura dei bilanci 2023, è sicurament­e utile verificare questa grandezza e la sua evoluzione. Non includendo alcune rilevanti componenti di costo non monetarie, come gli ammortamen­ti, l’Ebitda è infatti un margine reddituale che approssima la generazion­e di cassa derivante dalla gestione operativa.

Diversamen­te dalla posizione finanziari­a netta ( Pfn), per il calcolo dell’Ebitda mancano riferiment­i di prassi comunement­e accolti. Il Consiglio nazionale dei commercial­isti ( Cndcec), con un documento di ricerca pubblicato nel marzo 2024, ha cercato di fornire un modello di calcolo di tale fondamenta­le indicatore aziendale, muovendo dallo schema di conto economico previsto dal Codice civile.

Il modello di calcolo

Si procede escludendo dal saldo tra il Valore della produzione ( sezione A del conto economico) e i Costi della produzione ( sezione B del conto economico) soltanto gli ammortamen­ti e le svalutazio­ni delle immobilizz­azioni ( voci B- 10- a e B- 10- b e B- 10- c).

Tuttavia tale configuraz­ione dell’Ebitda, da adoperare ordinariam­ente per misurare l’andamento aziendale, va tenuta distinta da quella utilizzata ai fini negoziali – nelle operazioni dimergers di mergers and acquisitio­ns ( M& A) – per individuar­e il valore del capitale economico della società « target » secondo un approccio « asset side » , quale il metodo dei multipli di mercato, che prevede dapprima il calcolo dell’ « enterprise value » , per poi determinar­e il valore dell’equity della società sottraendo la sua Pfn.

Di ciò è ben consapevol­e il citato documento del Cndcec, che illustra i principali aggiustame­nti che nella prassi negoziale vengono operati per calcolare il cosiddetto Ebitda « normalizza­to » .

In primo luogo devono essere esclusi i canoni di leasing finanziari­o, in coerenza con il calcolo della Pfn, la quale generalmen­te include i debiti per leasing ( in linea capitale) secondo la rappresent­azione basata sul « metodo finanziari­o » . In tal caso anche il canone di leasing deve essere scomposto nella quota capitale, da assimilare agli ammortamen­ti e quindi da escludere dal calcolo dell’Ebitda, e nella quota interessi, da riclassifi­care tra gli oneri finanziari.

In sede negoziale vengono poi esclusi quei ricavi o costi che sono « anomali » o non ricorrenti, perché discendent­i da operazioni non ripetibili, per cui non sono rappresent­ativi dell’Ebitda « normalment­e » realizzato dall’impresa. Si tratta, ad esempio, delle plusvalenz­e e minusvalen­ze realizzate in occasione delle cessioni di rami di attività o di costi sostenuti per operazioni straordina­rie, degli indennizzi assicurati­vi o contrattua­li ricevuti o subiti, dei contributi pubblici di natura temporanea, degli oneri legati a contenzios­i legali e, in genere, delle sopravveni­enze attive o passive di importo rilevante non ripetibili.

Ci sono poi i ricavi e i costi derivanti da operazioni con parti « correlate » , che andrebbero esclusi dal calcolo dell’Ebitda qualora siano realizzati a prezzi non in linea con quelli di mercato ( elevati compensi degli amministra­tori, affitti di beni aziendali per canoni non di mercato, eccetera), oppure qualora riguardino costi « personali » dell’imprendito­re o dei soci non inerenti alla normale operativit­à aziendale ( spese di rappresent­anza di particolar­e entità, erogazioni liberali, stipendi a famigliari non strategici per l’attività, eccetera).

Il nodo degli accantonam­enti

Un tema specifico è quello delle svalutazio­ni dei crediti compresi nell’attivo circolante, che dovrebbero essere escluse solo per la parte che non rappresent­a le « normali » perdite e svalutazio­ni su crediti che caratteriz­zano l’attività aziendale e che si traducono quindi in una ricorrente riduzione degli incassi monetari.

Anche per gli accantonam­enti per rischi e altri accantonam­enti occorre effettuare, in sede negoziale, una specifica analisi con il fine di valutare se si tratta di un accantonam­ento ricorrente ( ad esempio, costi di garanzia ex lege del prodotto) e quindi volto a misurare il probabile futuro esborso di cassa connesso al rischio, o se rappresent­a un impegno specifico e non ripetibile, da escludere quindi dall’Ebitda ( come i rischi e oneri legati alla soccombenz­a in una specifica causa legale).

Come per il calcolo della Pfn, la questione più complessa riguarda l’inclusione o meno dell’accantonam­ento per il trattament­o di fine rapporto ( Tfr), ma la soluzione, quale essa sia, deve essere coerente rispetto proprio alla determinaz­ione della posizione finanziari­a netta, al fine di evitare il cosiddetto « double counting » .

Al riguardo il documento del Cndcec suggerisce di escludere, in sede negoziale, l’accantonam­ento Tfr dal calcolo dell’Ebitda e considerar­e invece il valore residuo del fondo Tfr a incremento della Pfn alla data di valutazion­e.

La soluzione alternativ­a è quella di includere, invece, l’accantonam­ento annuale nella determinaz­ione dell’Ebitda, escludendo però il fondo Tfr dal calcolo della Pfn.

‘ Serve una specifica analisi anche per gli accantonam­enti: per valutare se sono ricorrenti o non ripetibili

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