Dalla meccatronica alla moda le buone pratiche fanno scuola
Dai settori più tradizionali del manifatturiero, come la meccatronica, all’artigiano, come la sartoria, fino ad arrivare alla frontiera tecnologica, ovvero la creazione di reti informatiche. La mappa delle esperienze professionali che hanno visto il mondo dell’impresa varcare l’accesso degli istituti penitenziari ventiquattro anni dopo la Legge Smuraglia è ormai ampia. O meglio lo è per la varietà, ora bisogna renderla tale sul piano del numero di detenuti coinvolti e soprattutto dell’efficacia, ovvero il reinserimento effettivo e la deterrenza. A farne il punto chi è stato protagonista di queste prassi e chi le ha studiate, a cominciare da Filippo Giordano professore di Management alla Lumsa e alla Bocconi che da dieci anni si occupa anche di amministrazione penitenziaria. Giordano pone subito una questione strutturale: più che di recidiva preferisce parlare di riduzione dei comportamenti devianti, introducendo in questo modo una prospettiva che non è solo linguistica. Perché, spiega, la recidiva lancia troppo in avanti nel tempo l’analisi dell’efficacia degli interventi, invece considerare subito la riduzione dei comportamenti devianti permette nell’immediato di capire se le buone pratiche funzionano o meno. Due i nodi da affrontare: la complessità dell’inclusione sociale e la conoscenza inadeguata. In ogni caso, se l’obiettivo è quello di avere la certezza che il lavoro è la strada per un recupero, questa certezza c’è già e arriva da un progetto, partito dal carcere di Bollate e diffuso ora anche ad altri istituti, che ha coinvolto la Cisco Systems Italy. Oggi dopo vent’anni sono 1500 i detenuti con capacità informatiche importanti; alcuni, una cinquantina, con una certificazione delle competenze che segnala il livello più alto, racconta Gianmatteo Manghi, amministratore Delegato Cisco Systems Italy che dice: « Su questi numeri la nostra recidiva è zero » .
Un tema su cui si sofferma pure Gian Guido Naldi, amministratore delegato di Fare impresa in Dozza, azienda di Bologna specializzata nel packaging e nell’automazione industriale. « Attualmente - spiega - sono 15 le persone occupate ma nel tempo ne sono state formate e occupate una settantina, di queste quelle che sono rimaste nel settore del packaging sono una trentina. Tra tutte, considerando che alcune le abbiamo perse di vista, la recidiva si attesta attorno al 15 per cento » . Certo non mancano le criticità: « Per avere una connessione internet adeguata abbiamo dovuto aspettare un anno e anche se potremmo ampliare lo stabilimento l’autorizzazione non arriva » . Mentre, sempre su questo fronte, Flavia Filippi, presidente di Seconda Chance, associazione che a due anni dalla sua nascita, ha trovato lavoro con mansioni diverse a 280 persone, ricorda due nodi strutturali, quello delle risorse per le associazioni e i tempi dei Tribunali di sorveglianza.
Esiste infatti un gap profondissimo tra i tempi dell’amministrazione penitenziaria e quelli dell’impresa, ne parla anche Federica Brancaccio, presidente Ance, che spiega come i tempi di un cantiere non coincidono con quelli degli istituti « così inserire un detenuto in una squadra diventa molto complicato » . Brancaccio poi dettaglia un paradosso: il suo è un settore che ha grande necessità di manodopera eppure non riesce ad occupare questi lavoratori per la difficoltà di svolgere in carcere la formazione necessaria.
Parla invece « di un grande esperimento sociale che ha funzionato » Raffaela Pignetti, presidente Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale ( A. S. I.) di Caserta - 99 persone inserire dopo un primo percorso formativo di 180 ore - al punto che questo progetto sarà studiato alla Nazione Unite. Certo dice Pignetti è stato necessario combattere l’inevitabile pregiudizio: « Oggi però dice sono le stesse imprese, all’inizio timorose, a spingerci ad andare avanti » .
Punta anche sul lavoro come strumento di emancipazione il progetto di Marco Maria Mazio, presidente di Palingen: una sartoria all’interno del carcere Casa Circondariale femminile (“CC”) di Pozzuoli, un secondo laboratorio all’esterno
Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, cita l’impegno della sua federazione nel processo di sensibilizzazione della dirigenza italiana. Mentre Giuliano Zignani, presidente CE. PA. ( Centro Patronati), sottolinea come fondamentale la conoscenza dei contratti nazionali e la formazione in materia di sicurezza sul lavoro. Si sofferma infine sulla necessità di valorizzare la qualità delle relazioni Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa sociale Giotto.
La complessità del mondo carcerario e la scarsa conoscenza sono ostacoli all’azione di inclusione sociale