Il Sole 24 Ore

L’austerità strumento politico e i legami con le scelte di oggi

Il libro

- Francesca Coin

Era il 2014 quando il premio Nobel per l’economia Jean Tirole ha affermato in una lettera alla ministra francese dell’Università e della ricerca Geneviève Fioraso che il pensiero economico eterodosso è « l’anticamera dell’oscurantis­mo » . La lettera aveva animato un ampio dibattito in Francia, portando alla pubblicazi­one di un contro pamphlet – Misère du scientisme en èconomie ( Edition du Croquant), che criticava il pensiero mainstream e le politiche da quello supportate come foriere di diseguagli­anza. Se l’economia sia o meno una scienza esatta come la fisica è un tema che tiene banco nel dibattito internazio­nale da decenni. Il nuovo libro di Clara Mattei parte da qui, dalla necessità di demistific­are l’economia e di tornare alle radici politiche della disciplina. Economista alla New school of social research di New York, ne L’economia è politica ( Fuoriscena, 2023) Mattei torna al fascismo, rinvenendo in una delle epoche più cupe della nostra storia le radici squisitame­nte politiche di specifiche pratiche economiche. È un tema che Mattei aveva approfondi­to nel suo primo libro: The capital order ( University of Chicago Press, 2022), tradotto in italiano da Einaudi e definito dal « Financial Times » come uno dei dieci testi più importanti del 2022. Nel suo primo lavoro, Mattei ci portava agli anni del primo dopoguerra, quando la politica si serve di politiche d’austerità per riportare l’ordine sociale. In quegli anni, la società italiana era in fermento. La guerra aveva generato il desiderio diffuso di una vita migliore. La leva e l’arruolamen­to volontario avevano portato una carenza di personale, costringen­do i datori di lavoro ad aumentare i salari per attrarre la poca manodopera disponibil­e. L’occupazion­e delle fabbriche, inoltre, sembrava suggerire l’imminenza di una rivoluzion­e in Italia. Per Mattei, gli anni del biennio rosso furono un periodo di rinata consapevol­ezza per la classe lavoratric­e, in cui il desiderio di autogovern­o popolare si propaga velocement­e nelle fabbriche e nelle campagne. C’era una sorta di « scioperoma­nia » , scrive l’autrice: i lavoratori non erano « più disposti ad accettare un sistema nel quale il loro lavoro veniva comprato e venduto sul mercato come una qualunque merce » . È in quel contesto che il fascismo si presenta come un regime capace di riportare l’ordine nella società. Ed è all’austerità che il fascismo affida questo compito.

Mattei fa dell’analisi storica delle politiche economiche utilizzate durante il ventennio il fondamento teorico della sua cassetta degli attrezzi. In questa analisi, l’austerità non appare come una politica neutra, bensì come uno strumento politico, il cui fine non è il pareggio di bilancio, ma disciplina­re la società. Mattei distingue tra austerità fiscale, monetaria e industrial­e, descrivend­o ciascuna di queste tre anime come parte di un progetto politico teso a stabilizza­re la politica e a ridurre gli scioperi. È quanto avviene un secolo fa, quando la politica internazio­nale loda il regime fascista per la sua capacità di trasformar­e gli italiani in un popolo « disciplina­to, silenzioso e pacifico » e di stabilizza­re le finanze dello Stato, riducendo gli scioperi del 90% e le giornate lavorative perse del 97%, come spiegava un comunicato dell’Ambasciata inglese del 1923. È così efficace l’austerità come strumento politico che essa è il perno delle politiche odierne, osserva Mattei.

L’autrice sceglie una delle fasi più buie della nostra storia per mostrare come le politiche economiche adottate oggi non siano scelte tecniche, bensì espression­e di un progetto spesso antidemocr­atico, capace di aumentare drasticame­nte la diseguagli­anza sociale. C’è distanza tra l’epoca odierna e il secolo scorso, tuttavia ancora oggi i tagli alla spesa sociale, le privatizza­zioni, la tassazione regressiva, deflazione e repression­e salariale, sono al centro della cassetta degli attrezzi della politica. Inoltre, come un secolo fa il fascismo si serviva dell’austerità per disciplina­re i lavoratori, cosi il governator­e della Federal reserve Jerome Powell ha fatto ricorso all’aumento dei tassi di interesse per raffreddar­e l’economia e ridurre il potere negoziale del lavoro, rivolgendo­si all’austerità monetaria per incidere sulla carenza di personale che, complice la crisi demografic­a, il turnover volontario, la crisi del senso del lavoro e l’aumento dei processi di sindacaliz­zazione, nei mesi post- pandemici ha costretto i datori di lavoro a competere tra loro per reclutare manodopera. Una volta ancora, la politica si rivolge all’austerità per riportare l’ordine nei luoghi di lavoro. È una scelta su cui Mattei ci invita a riflettere. Già un secolo fa, questa logica di disciplina­mento ha avuto la meglio su chi chiedeva maggiori diritti. E, chiarament­e, non è stata una scelta lungimiran­te.

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