Cessioni d’azienda e plusvalenze: rileva il contratto, non l’incasso
Il principio di competenza per chi è in ordinaria non ammette deroghe Non conta l’adempimento degli obblighi successivo alla stipula dell’atto
La plusvalenza fiscalmente rilevante in sede di cessione d’azienda – ai fini delle imposte dirette – si realizza al momento della conclusione del contratto. Non hanno invece rilievo le vicende successive riguardanti l’adempimento degli obblighi contrattuali, quali l’omessa percezione del prezzo o la sua eventuale rateizzazione, o l’estinzione dell’obbligazione in virtù di una successiva transazione di carattere novativo.
Questo principio ( da ultimo affermato con ordinanza 3936/ 2024) è abbastanza consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, ma ciò non sembra frustrare i tentativi dei contribuenti di evitare di assoggettare a imposizione un plusvalore che non si è consolidato dal punto di vista finanziario.
Il problema è che – almeno per i cedenti in contabilità ordinaria – il principio di competenza non ammette deroghe e incardina il provento alla data della stipula dell’atto di cessione ( articolo 109, comma 2, lettera a, del Tuir). La norma fiscale precisa che non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà ( come evidenziato dalla Cassazione con le ordinanze 22088/ 2015 e 4134/ 2015), analogamente a quanto avviene ai fini Iva ( articolo 2, comma 2, Dpr 633/ 1972) e dell’imposta di registro ( articolo 27, comma 3, del Dpr 131/ 1986).
La vendita poi annullata
In passato, la Suprema corte ( sentenza 24378/ 2016) ha affrontato l’ipotesi in cui l’intervenuta cessione era stata successivamente annullata con sentenza, con conseguente emersione di un componente negativo di reddito e la restituzione di quanto incassato. Anche in tal caso è stata affermata l’inderogabilità del principio di competenza, a nulla rilevando « il fatto che, eventualmente e successivamente, la vendita sia stata annullata con conseguente restituzione dell’incasso, in quanto i due momenti, comportano due eventi fiscalmente autonomi: la realizzazione della plusvalenza per mezzo della vendita, da un lato, e la ( successiva) emersione di un componente negativo conseguente all’annullamento della stessa vendita, dall’altro, che vanno dichiarati – l’uno come guadagno, l’altro come perdita – nei distinti periodi in cui si verificano » .
In effetti, per le aziende come per i crediti emergenti dalle altre cessioni, l’impresa ( se ancora attiva) dispone della deducibilità della perdita su crediti ex articolo 101, comma 5, del Tuir, in presenza dei prescritti requisiti. Anche un regime “improntato alla cassa” come quello di contabilità semplificata ( articolo 66 del Tuir) “conosce” le perdite su crediti, limitatamente ai proventi che restano imputabili per competenza e, soprattutto, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia optato per il regime del “registrato” di cui al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/ 1973 ( circolare 11/ E/ 2017, paragrafo 3.2.2).
Non ha scalfito le certezze della Cassazione neppure il caso della risoluzione per mutuo dissenso ( ordinanza 20098/ 2012 e sentenze 4366/ 2011 e 29745/ 2008).
In base all’articolo 86 del Tuir: concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze da cessione a titolo oneroso delle aziende, compreso il valore di avviamento ( comma 2);
le plusvalenze realizzate concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto ( comma 4).
L’avviamento già acquisito
In merito al primo punto si può richiamare la risposta a interpello 109/ 2023, in cui l’Agenzia ha confermato che l’eventuale presenza di un avviamento precedentemente acquisito dal cedente concorre – nella misura del costo residuo fiscalmente riconosciuto – alla determinazione della plusvalenza ( circolare 98/ E/ 2000), anche se il relativo valore è stato contabilmente svalutato, contrariamente alla ( discussa) interpretazione resa con riferimento al conferimento ( circolare 8/ E/ 2010).
Il calcolo del triennio
L’avviamento già acquisito dal cedente concorre, per il costo residuo riconosciuto, a determinare la plus
Sul calcolo del triennio ai fini della rateizzazione, è opportuno rammentare che è possibile computare anche il periodo in cui l’azienda è stata concessa in affitto o usufrutto ( circolare 320/ 1997) e di quello trascorso presso il donante ( risoluzione 78/ E/ 2015) o il de cuius ( Cassazione 4444/ 2022).
Il triennio non fa riferimento alla data di acquisto dei singoli beni che compongono l’azienda, ma a quella dell’acquisizione o costituzione del complesso aziendale.
L’unitarietà del plusvalore ( ivi compresi i beni immateriali non iscritti in bilancio: risposta a interpello 19/ 2020) è stata richiamata anche dalle Entrate per negare l’applicabilità della participation exemption alla quota di plusvalenza riferibile alle partecipazioni comprese tra i beni aziendali ( circolare 6/ E/ 2006 e principio di diritto 10/ 2021), per quanto lo stesso principio è stato “dimenticato” dall’Agenzia in riferimento all’imponibilità del ( solo) avviamento compreso nella plusvalenza da cessione di azienda da parte di un imprenditore in regime forfettario ( risposta a interpello 478/ 2019).