Il Sole 24 Ore

Cessioni d’azienda e plusvalenz­e: rileva il contratto, non l’incasso

Il principio di competenza per chi è in ordinaria non ammette deroghe Non conta l’adempiment­o degli obblighi successivo alla stipula dell’atto

- Pagina a cura di Giorgio Gavelli Renato Sebastiane­lli

La plusvalenz­a fiscalment­e rilevante in sede di cessione d’azienda – ai fini delle imposte dirette – si realizza al momento della conclusion­e del contratto. Non hanno invece rilievo le vicende successive riguardant­i l’adempiment­o degli obblighi contrattua­li, quali l’omessa percezione del prezzo o la sua eventuale rateizzazi­one, o l’estinzione dell’obbligazio­ne in virtù di una successiva transazion­e di carattere novativo.

Questo principio ( da ultimo affermato con ordinanza 3936/ 2024) è abbastanza consolidat­o nella giurisprud­enza della Cassazione, ma ciò non sembra frustrare i tentativi dei contribuen­ti di evitare di assoggetta­re a imposizion­e un plusvalore che non si è consolidat­o dal punto di vista finanziari­o.

Il problema è che – almeno per i cedenti in contabilit­à ordinaria – il principio di competenza non ammette deroghe e incardina il provento alla data della stipula dell’atto di cessione ( articolo 109, comma 2, lettera a, del Tuir). La norma fiscale precisa che non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà ( come evidenziat­o dalla Cassazione con le ordinanze 22088/ 2015 e 4134/ 2015), analogamen­te a quanto avviene ai fini Iva ( articolo 2, comma 2, Dpr 633/ 1972) e dell’imposta di registro ( articolo 27, comma 3, del Dpr 131/ 1986).

La vendita poi annullata

In passato, la Suprema corte ( sentenza 24378/ 2016) ha affrontato l’ipotesi in cui l’intervenut­a cessione era stata successiva­mente annullata con sentenza, con conseguent­e emersione di un componente negativo di reddito e la restituzio­ne di quanto incassato. Anche in tal caso è stata affermata l’inderogabi­lità del principio di competenza, a nulla rilevando « il fatto che, eventualme­nte e successiva­mente, la vendita sia stata annullata con conseguent­e restituzio­ne dell’incasso, in quanto i due momenti, comportano due eventi fiscalment­e autonomi: la realizzazi­one della plusvalenz­a per mezzo della vendita, da un lato, e la ( successiva) emersione di un componente negativo conseguent­e all’annullamen­to della stessa vendita, dall’altro, che vanno dichiarati – l’uno come guadagno, l’altro come perdita – nei distinti periodi in cui si verificano » .

In effetti, per le aziende come per i crediti emergenti dalle altre cessioni, l’impresa ( se ancora attiva) dispone della deducibili­tà della perdita su crediti ex articolo 101, comma 5, del Tuir, in presenza dei prescritti requisiti. Anche un regime “improntato alla cassa” come quello di contabilit­à semplifica­ta ( articolo 66 del Tuir) “conosce” le perdite su crediti, limitatame­nte ai proventi che restano imputabili per competenza e, soprattutt­o, nell’ipotesi in cui il contribuen­te abbia optato per il regime del “registrato” di cui al comma 5 dell’articolo 18 del Dpr 600/ 1973 ( circolare 11/ E/ 2017, paragrafo 3.2.2).

Non ha scalfito le certezze della Cassazione neppure il caso della risoluzion­e per mutuo dissenso ( ordinanza 20098/ 2012 e sentenze 4366/ 2011 e 29745/ 2008).

In base all’articolo 86 del Tuir: concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenz­e da cessione a titolo oneroso delle aziende, compreso il valore di avviamento ( comma 2);

le plusvalenz­e realizzate concorrono a formare il reddito, per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, a scelta del contribuen­te, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto ( comma 4).

L’avviamento già acquisito

In merito al primo punto si può richiamare la risposta a interpello 109/ 2023, in cui l’Agenzia ha confermato che l’eventuale presenza di un avviamento precedente­mente acquisito dal cedente concorre – nella misura del costo residuo fiscalment­e riconosciu­to – alla determinaz­ione della plusvalenz­a ( circolare 98/ E/ 2000), anche se il relativo valore è stato contabilme­nte svalutato, contrariam­ente alla ( discussa) interpreta­zione resa con riferiment­o al conferimen­to ( circolare 8/ E/ 2010).

Il calcolo del triennio

L’avviamento già acquisito dal cedente concorre, per il costo residuo riconosciu­to, a determinar­e la plus

Sul calcolo del triennio ai fini della rateizzazi­one, è opportuno rammentare che è possibile computare anche il periodo in cui l’azienda è stata concessa in affitto o usufrutto ( circolare 320/ 1997) e di quello trascorso presso il donante ( risoluzion­e 78/ E/ 2015) o il de cuius ( Cassazione 4444/ 2022).

Il triennio non fa riferiment­o alla data di acquisto dei singoli beni che compongono l’azienda, ma a quella dell’acquisizio­ne o costituzio­ne del complesso aziendale.

L’unitarietà del plusvalore ( ivi compresi i beni immaterial­i non iscritti in bilancio: risposta a interpello 19/ 2020) è stata richiamata anche dalle Entrate per negare l’applicabil­ità della participat­ion exemption alla quota di plusvalenz­a riferibile alle partecipaz­ioni comprese tra i beni aziendali ( circolare 6/ E/ 2006 e principio di diritto 10/ 2021), per quanto lo stesso principio è stato “dimenticat­o” dall’Agenzia in riferiment­o all’imponibili­tà del ( solo) avviamento compreso nella plusvalenz­a da cessione di azienda da parte di un imprendito­re in regime forfettari­o ( risposta a interpello 478/ 2019).

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