SOSTEGNO A NETANYAHU: IL CALCOLO ELETTORALE DI BIDEN
Benjamin Netanyahu sembra determinato a ordinare l’operazione su Rafah, la città nel Sud della Striscia, ora una gigantesca tendopoli abitata da più di un milione di palestinesi. Solo la liberazione degli ostaggi israeliani potrebbe fermare il prossimo massacro: fermare ma non del tutto cancellare. Il premier israeliano una volta di più non intende ascoltare gli ammonimenti di Joe Biden.
È una costante di questi sette mesi di guerra. Pochi giorni dopo l’aggressione di Hamas, il presidente Usa aveva esortato Israele a non commettere gli stessi errori americani dopo l’ 11 settembre. Netanyahu li ha ripetuti, trasformando la guerra in una vendetta sui civili e senza un piano per il dopo. Biden aveva chiesto di ridurre le vittime innocenti: inascoltato. Quando aveva previsto la soluzione politica di uno stato per i palestinesi, Netanyahu lo aveva irriso: in questi giorni il suo governo ha approvato la confisca di altre terre.
Ora c’è Rafah con l’orrore che può significare l’evacuazione di oltre un milione di persone già evacuate da altre parti di Gaza. In realtà nessun presidente degli Stati Uniti è stato così duro con Israele come Joe Biden: almeno dal 1973, quando iniziò l’aiuto militare ed economico americano che da allora è continuato, crescendo sempre di più. Ma sono state critiche e ammonizioni verbali senza conseguenze concrete. Concreti sono invece i 26,4 miliardi approvati in Campidoglio pochi giorni fa. Sono parte di un pacchetto più ampio da 95 miliardi - 60,8 all’Ucraina, 8,1 a Taiwan – previsto prima della guerra di Gaza.
Ma sono sempre 26 miliardi, in gran parte aiuto militare, mentre Netanyahu sta organizzando l’assalto a Rafah contro il parere di Biden. Ai palestinesi andranno un miliardo sotto forma di aiuto umanitario. La ragione dell’abissale differenza fra le parole e i fatti del presidente, è il voto di novembre. Se non fosse un anno elettorale probabilmente Biden sarebbe più coerente. In questo modo rischia di perdere il voto di 3,7 milioni di arabi americani, molti dei quali vivono in Michigan, uno stato incerto. Ma gli ebrei americani sono quasi il doppio: più integrati, più influenti e affluenti. Nel 2020 Joe Biden era stato il primo candidato della storia americana a raccogliere più di un miliardo di dollari dai donatori, superando anche in questo Donald Trump. Sommando presidenziali ed elezioni al Congresso, i democratici avevano raccolto 6,9 miliardi.
Se non sceglieranno Biden, gli arabi delusi certamente non voteranno Trump. La comunità ebraica è in gran parte democratica e liberal su diritti umani, integrazione razziale, aborto. Ma chiunque governi a Gerusalemme, per la gran parte di loro Israele è intoccabile. Delusi da Biden, loro sì potrebbero votare Trump.
C’è tuttavia una variabile imprevista: le manifestazioni anti- israeliane e pro- palestinesi in un numero incalcolabile di campus universitari. L’ondata è globale: Usa, Australia, Italia, Francia e molti altri. L’antisemitismo non perde mai l’occasione di manifestarsi. Ma
La Casa Bianca cerca ma non riesce a fermare Netanyahu, stretta tra il voto di ebrei e arabi americani
Variabile imprevista sono le proteste nei campus che stanno dilagando negli Usa e nel mondo
ridurre una protesta giovanile così globale a una questione di razzismo, come fanno Israele e molte comunità ebraiche occidentali, è falso e ingiusto. L’antisemitismo è una cosa seria: usarlo in ogni occasione politicamente utile è come banalizzarne la gravità. Sarebbe più utile chiedersi perché stia accadendo una protesta così vasta contro Israele.
Molte delle università israeliane che i giovani vogliono boicottare sono in realtà le ultime avanguardie del paese, favorevoli a una soluzione politica del conflitto con i palestinesi. Diverso però è il fenomenale successo dell’Hi- Tech israeliano. Il lato oscuro della “Startup Nation” sono le tecnologie militari, di sorveglianza, di repressione, vendute ad autocrazie e democrazie. Per alcune di queste aziende i Territori palestinesi occupati sono il terreno di prova dei loro prodotti. Il figlio di scampati all’Olocausto, Antony Lowenstein, lo racconta dettagliatamente nel libro “The Palestine Laboratory” ( Verso, London & New York).