Gli effetti del grave ritardo di reazione delle banche centrali
TDOPO ESSERE STATE PRESE IN CONTROPIEDE NON HANNO VALUTATO BENE L’INFLAZIONE EUROPEA
radizione vuole che i mercati finanziari anticipino di sei mesi le vicende dell’economia. E anche nel caso degli interventi dell’americana Federal Reserve e della Banca centrale europea sta accadendo. Lo confermano i record macinati da Wall Street e dalle Borse europee anticipando l’inversione di tendenza nelle decisioni di politica monetaria. Il passaggio previsto è dagli interventi drastici di aumento dei tassi d’interesse dell’ultimo paio d’anni a scelte di segno opposto. La data in calendario è l’estate 2024. Verrebbe da commentare citando il proverbio « meglio tardi che mai » , perché le economie degli Stati europei sono in difficoltà evidente e non possono permettersi altri rinvii.
La Germania, principale industria manifatturiera d’Europa, è in recessione. La Francia sconta difficoltà gravi e anche l’Italia non si sente troppo bene. La realtà però, come spesso accade, è molto più complessa ed è bene tenerne conto prima di sommare errori ad altri errori.
Il libro dell’economista Masciandaro – che dal 2017 segue settimanalmente le vicende della politica monetaria e finanziaria dalle pagine del « Sole 24 Ore » con la sua rubrica Falchi e Colombe – presenta il conto alle banche centrali, senza reticenze e senza fare sconti.
Punto di partenza l’incredibile ritardo con cui è scattata la consapevolezza che era cambiata l’aria. Vero è che nei lunghi anni della globalizzazione e dell’inflazione scesa perfino sotto zero nessuno immaginava il ritorno ad aumenti del costo della vita a due cifre. Ma certo i banchieri centrali sono pagati per governare le valute, per controllare e gestire le politiche monetarie.
Nel caso specifico si sono fatti prendere in contropiede, con effetti significativamente negativi sulle economie degli
Stati europei, perfino disastrosi. Loro non hanno pagato dazio, mentre ai popoli di rispettiva pertinenza è andata meno bene. Poi però, come spiega lo stesso Masciandaro, al primo errore ne è seguito un altro: gli aumenti drastici dei tassi, perché la situazione era sfuggita di mano e l’inflazione risultava incontrollabile.
Secondo errore grave, soprattutto perché la Bce è andata a rimorchio della Fed trascurando un aspetto fondamentale: l’inflazione in Europa è una inflazione da aumento dei costi delle materie prime, aggravata dalla guerra in Ucraina, mentre negli Stati Uniti è una inflazione da impetuoso sviluppo economico. La verità è che lo scontro con la Russia di Putin e il meccanismo delle sanzioni hanno penalizzato le economie europee. Del tutto diverso lo scenario americano, dove, come accade tradizionalmente, proprio la guerra in Europa ha dato un contributo decisivo come motore dello sviluppo economico. Ecco perché gli aumenti dei tassi a ripetizione decisi dalla Fed sono stati tardivi ma inevitabili per contrastare aumenti dei prezzi formidabili.
Al contrario in Europa, soprattutto per alcune economie come la Germania e la stessa Italia, un contributo fondamentale all’inflazione è arrivato proprio dalle sanzioni, a partire dall’aumento dei costi del gas, tradizionalmente importato dalla Russia a prezzi assai convenienti. Basta pensare, tanto per fare un esempio, che l’importazione del gas liquefatto dagli Stati Uniti è costata all’Europa cinque volte più dei prezzi precedenti alle sanzioni. Scenari così diversi rendevano necessarie politiche monetarie diverse, mentre la Bce si è distinta per seguire la scia delle decisioni prese dalla Fed. Cosa accadrà ora?
L’impressione, anzi la certezza, è che la lezione non sia bastata nonostante la famosa battuta « errare è umano, ma perseverare è diabolico » . Vedremo come finirà. Di sicuro, almeno finora, le scelte della Bce non hanno contribuito a rafforzarne la credibilità.