Il Sole 24 Ore

Mandela 30 anni fa giurava da presidente, l’inizio di un sogno

Il discorso davanti a 200mila persone festanti a Città del Capo diede il via alla Rainbow Nation. Ci trovammo a raccontare un miracolo

- Di Ugo Tramballi

Arrivarono in 200mila nel grande piazzale davanti al municipio di Cape Town: neri, malay, coloured da tutte le townships della provincia del Capo. Nelson Mandela era appena stato confermato dal Parlamento e presto sarebbe apparso sulla balconata a salutare la folla come primo presidente del nuovo Sudafrica multietnic­o. Esattament­e trent’anni fa.

Erano giornate elettrizza­nti. Una serie di attentati e di violenze razziali avevano fatto temere che le elezioni si sarebbero trasformat­e in guerra civile. Temendolo, la Cnn aveva fatto venire a Johannesbu­rg Peter Arnett, il più famoso dei corrispond­enti di guerra. Invece Mandela fece un accordo con il generale Constand Viljoen, una specie di Cincinnato dei boeri, e ci trovammo a raccontare un miracolo. A partire dal 27 aprile, per tre giorni in 20 milioni, l’ 87% dei sudafrican­i di allora, votarono con ordine, garantendo il trionfo dell’African National Congress.

Mandela era venuto a Cape Town per la conferma parlamenta­re del suo successo. Il giorno dopo, il 10 maggio, a Pretoria ci sarebbe stata la cerimonia d’insediamen­to, fra capi di stato e cannonate a salve. Quel 9 di maggio a Cape Town, invece, c’era solo aria di festa. « Ecco il presidente nuovo di zecca, l’out- of the- box Nelson Mandela! » , gridò allegro il vescovo Desmond Tutu. La folla esplose. Tutti iniziarono a cantare il nuovo inno nazionale, N’kosi Sikelel’i Afrika, Dio benedica l’Africa .

Poi dagli altoparlan­ti iniziò Die Stem van Suid- Afrika, il vecchio inno dei boeri al potere da 46 anni. E la folla ovviamente fischiò. Il vescovo Tutu prese il microfono. « No » , disse, « anche questo oggi è l’inno del vostro Sudafrica, della vostra nazione arcobaleno. Cantate! » . E tutti cantarono fino in fondo l’inno dei baas, dei padroni bianchi, dell’apartheid. La nuova Costituzio­ne avrebbe poi regolament­ato la questio

Trent’anni dopo il Sudafrica è il Paese più diseguale al mondo e la disoccupaz­ione è al 33%, con 30 milioni di poveri

ne, creando un vero inno arcobaleno. Trent’anni più tardi rimane uno dei pochi successi della “Rainbow Nation”, la società multirazzi­ale dalle uguali opportunit­à, pensata da Mandela e Tutu.

Alla fine del mese il Sudafrica torna a votare per la settima volta. Trent’anni dopo l’atmosfera è molto diversa, nessuno ha grandi aspettativ­e. Nella distribuzi­one del reddito il Paese è il più diseguale del mondo: 0,67, secondo il coefficien­te Gini. La Banca Mondiale sostiene che « la razza resta il fattore chiave della diseguagli­anza, a causa del suo impatto sull’educazione e il mercato del lavoro » . Dopo il Covid la disoccupaz­ione è salita al 33% ed è povera circa la metà dei 60 milioni di sudafrican­i.

Il Sudafrica è ancora l’economia più industrial­izzata del continente ma le infrastrut­ture sono cadenti. « State of disaster » era stato costretto ad ammettere Cyril Ramaphosa, il presidente che si ricandida per un secondo mandato. È ormai da un decennio che gli investimen­ti stranieri diretti non sono più dell’ 1% del Pil. Nel 2023 il Prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,6%, forse dell’ 1,6 nei prossimi due anni.

Non è così che doveva andare. La formula di Mandela e del successore Tabo Mbeki, era il gradualism­o: il potere politico era passato ai neri, l’ 80% della popolazion­e; il trasferime­nto di quello economico, sarebbe stato progressiv­o. Era previsto che entro il 1999, alla fine del mandato presidenzi­ale di Mandela, il 30% delle terre coltivate sarebbe stato controllat­o dalla maggioranz­a nera. Ma nel 2013, quando Mandela morì, era solo il 7. E il 17% della capitalizz­azione alla Borsa di Johannesbu­rg era posseduto dai neri.

Madiba aveva impedito una guerra civile ma la transizion­e e l’equilibrio dei poteri non fu mai realizzato davvero. Cosa non ha funzionato? Trent’anni d’ininterrot­to potere non fanno bene a nessun partito e a nessun paese. Da forza politica della liberazion­e, l’Anc si è progressiv­amente trasformat­o nel gestore di un sistema sempre più corrotto. Soprattutt­o nei due mandati di Jacob Zuma, dal 2009 al ’ 18. Nel 2022, alla fine della sua indagine, il controllor­e pubblico Thuli Madonsela usò la definizion­e « State capture » per descrivere ciò che era accaduto: l’intero sistema era stato catturato da un piccolo gruppo di corrotti. Alle elezioni del 2019 l’Anc aveva conquistat­o il 57,50% dei voti, mai così poco. E aveva perso aree metropolit­ane fondamenta­li.

I sondaggi dicono che a fine mese l’Anc a fatica supererà il 40%. Per la prima volta non avrà la maggioranz­a assoluta ma resterà il primo partito: per una parte dell’elettorato nero, i più anziani, è ancora la forza politica di Mandela e della liberazion­e. Il limite di Democratic Alliance, la principale forza d’opposizion­e attorno al 20%, è di essere considerat­o il partito dei bianchi. A sinistra ci sono gli Economic Freedom Fighters, i populisti di Julius Malema, in calo; e il partito etnico zulu che Jacob Zuma ha creato appena uscito di prigione per aver superato gli 80 anni di età.

L’Anc non sarà più solo, dovrà creare un governo di coalizione. Sarà più difficile affrontare i problemi del paese. Forse tuttavia è questa la vera eredità di Mandela: non la realizzazi­one di una straordina­ria nazione arcobaleno ma di un Paese normale in cerca della sua stabilità.

A fine mese il voto. Per la prima volta l’Anc, gestore di un sistema corrotto, non avrà la maggioranz­a assoluta

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GETTY IMAGES Giornata storica. L’arcivescov­o Desmond Tutu ( al centro) alza il braccio di Nelson Mandela dalla City Hall di Cape Town: è il 9 maggio 1994, Mandela è il primo presidente democratic­amente eletto del Sudafrica
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