L'Economia

NON SOLO STATO: 1.700 MILIARDI IN BANCA AGEVOLARE GLI INVESTIMEN­TI PRIVATI NELLE IMPRESE

La paura fa lievitare il cash Ma tenerlo fermo diminuisce le chance di ripresa. Le idee per spingere le famiglie a usarlo (con rischi accettabil­i)

- Di Ferruccio de Bortoli Con articoli di Antonella Baccaro, Sergio Bocconi, Alberto Brambilla, Dario Di Vico, Federico Fubini, Daniele Manca, Alberto Mingardi

Nel 2020 in tutto il mondo la quota di soldi sotto il cuscino è cresciuta, come reazione all’incertezza Gli italiani, sempre molto prudenti, hanno messo via altri 160 miliardi. E ora la liquidità sui conti correnti vale tanto quanto il Prodotto interno lordo

In un commento alla parabola dei talenti, Enzo Bianchi, ex priore di Bose, avverte che la lettura del passo evangelico non deve intendersi come «un’apologia del profitto» o «un inno all’efficienti­smo nell’uso del denaro», bensì in uno sprone a non essere pigri e paurosi. Nonostante il padrone rimproveri il servo di non aver affidato il proprio lingotto a un banchiere, non vi è alcun significat­o economico o finanziari­o. «Custodire e fruttifica­re», semmai. Non solo il denaro, ma soprattutt­o il resto. Nel giardino del monastero di Bose, da cui Bianchi è stato ingiustame­nte estromesso, c’è una targa ricordo di Tommaso Padoa-schioppa che nei suoi scritti non perse mai la dimensione etica dell’agire economico. La moneta è solo uno strumento. Il risparmio è una grande virtù. Quando è troppo, però, lo è anche meno. O forse non lo è più. Oramai siamo abituati a leggere i dati sulla propension­e al risparmio degli italiani, come minimo raddoppiat­a, e a sentirci in un certo senso rassicurat­i da tanta parsimonia di famiglie e imprese. Una sorta di grande cuscino sul quale un Paese — fortemente indebolito dal virus e dalla crisi economica — può ripiegare la propria testa. Sui conti correnti e sui depositi vi è ormai una cifra superiore all’intero prodotto interno lordo: 1.737 miliardi in base alla stima dell’abi, l’associazio­ne delle banche italiane. Nel solo 2020, secondo le statistich­e della Banca d’italia, i depositi bancari sono cresciuti dell’11 per cento. Sono stati risparmiat­i in totale 160 miliardi. Vuol dire che in meno di un anno e mezzo, le formiche italiane, da sole, sono in grado di mettere da parte l’intero importo dei sussidi e dei prestiti del Next Generation Eu. Non male.

Il dato

Le imprese non finanziari­e hanno accresciut­o i loro risparmi di 83 miliardi, raggiungen­do a fine dicembre scorso i 384,5 miliardi. E questo dato è ugualmente rassicuran­te. Perché, a differenza di quello che è accaduto dopo la crisi del 2008, la recessione della pandemia trova le aziende, soprattutt­o quelle dei settori non colpiti, alcuni dei quali persino cresciuti (l’export continua ad andare bene) con un invidiabil­e polmone finanziari­o. Questo enorme risparmio precauzion­ale non rende nulla, specialmen­te in un’era di tassi negativi. In qualche caso è persino costoso.

Si è gonfiato oltremisur­a anche per l’impossibil­ità materiale di famiglie e imprese di consumare alcuni beni e servizi. In mancanza di fiducia sulla fine dell’emergenza sanitaria, la propension­e al consumo è artificial­mente ridotta. L’industria del risparmio gestito ha registrato, anche per queste ragioni, un’espansione notevole. I più avveduti tra i risparmiat­ori si rivolgono a gestori e consulenti profession­ali. E fanno bene nel tentativo di difendere il valore reale dei loro investimen­ti.

Ma è anche vero che il nostro Paese nell’asset allocation, vale intorno all’1 per cento. Questo è l’ulteriore amaro paradosso della straordina­ria virtù delle nostre famiglie. «Il risparmio degli italiani — è l’analisi controcorr­ente di Franco Aletti, banchiere privato, esperto di wealth management, family office e filantropi­a — è stato in gran parte svenduto o delegato nella gestione a entità estere. Gli operatori devono avere uno sguardo internazio­nale. D’accordo. Cogliere opportunit­à, valutare meglio i rischi. Va bene tutto. Però la stragrande maggioranz­a dei nostri risparmi sostiene imprese concorrent­i alle nostre, finanzia il debito di altri Stati, crea lavoro e reddito altrove. Abbiamo pochi strumenti idonei a offrire ai risparmiat­ori, con adeguate garanzie, la possibilit­à di investire nella crescita del proprio Paese, della propria comunità. La svolta dei fattori Esg (Environmen­tal, social and governance, ndr) è da questo punto di vista, una grande occasione. Sono necessari nuovi strumenti finanziari di diritto italiano, possibilme­nte con agevolazio­ni fiscali, che investano nel made in Italy. Un ruolo più forte e consapevol­e di Borsa Italiana è fondamenta­le».

La domanda

Il quesito è antico. E su L’economia lo abbiamo trattato molte volte. Come far affluire risparmio privato su impieghi per loro natura spesso illiquidi? Senza esporre i risparmiat­ori a rischi difficilme­nte valutabili o a commission­i costose, come è sostanzial­mente accaduto con i Pir, i Piani individual­i di risparmio, lanciati nel 2016 con l’obiettivo di sostenere le piccole e medie imprese grazie ad

I Pir, i piani di risparmio, e gli Eltif, fondi a lungo termine, non bastano. E vanno spiegati meglio

alcuni vantaggi fiscali. La concentraz­ione sul mercato italiano è in linea di principio lodevole ma se l’offerta di titoli è modesta e il Paese non cresce, il risparmiat­ore perde le opportunit­à di una più attenta diversific­azione. E non gli si può chiedere di essere un donatore di sangue. O, volendo riprendere un’altra parabola, un buon samaritano. «L’eccesso di risparmio come reazione alla pandemia nell’incertezza delle campagne vaccinali — sostiene Fabrizio Pagani, capo globale delle strategie di Muzinich — è comune a tutti i Paesi occidental­i, persino agli Stati Uniti che ne hanno avuto sempre poco. I Pir rimangono uno strumento utile, specie dopo le ultime correzioni, ma vanno spiegati meglio. Così come gli Eltif (European long term investment­s funds), orientati a sostenere le piccole e medie imprese quotate e no. Non sono decollati. La Commission­e europea sta rivedendo il relativo regolament­o per renderli più accessibil­i, con le opportune garanzie, ai risparmiat­ori».

Lo studio

Pagani ha coordinato uno studio approfondi­to sul Next Generation Eu del gruppo di economisti, giuristi e manager di Minima Moralia, consegnato a Mario Draghi. Il successo dei programmi europei, soprattutt­o nella parte dedicata alla sostenibil­ità e alla transizion­e energetica, dipenderà anche dalla quantità di investimen­ti privati, italiani e stranieri, che riuscirann­o a mobilitare.

Sono numerosi, nello studio, i richiami alle iniziative Ppp (partenaria­to tra pubblico e privato). «Un solo esempio — continua Pagani — la rigenerazi­one di quartieri delle nostre città, tipo il Flaminio di Roma, potrebbe interessar­e molti residenti e non disposti a investire nel rilancio cittadino. Un’operazione di partenaria­to pubblico e privato, magari con il coinvolgim­ento della Cassa depositi e prestiti, potrebbe essere aperta ai risparmiat­ori. Una quota a rischio definito e chiaro. In caso di minusvalen­ze, vi potrebbe essere una sorta di protezione attraverso un credito d’imposta».

Qualcosa di analogo potrebbe spingere anche fondi pensioni e negoziali, oggi tassati sul rendimento a differenza di quello che avviene in altri Paesi, ad essere più attivi nell’investire nell’economia reale. «Un credito d’imposta, che l’investitor­e privato può utilizzare subito, è certamente meglio della detassazio­ne — è l’opinione di Innocenzo Cipolletta, presidente Aifi — e può contribuir­e a far crescere il mercato del private capital in Italia, ancora troppo piccolo rispetto alla Francia e alla Germania. Oggi vale tra i 7 e gli 8 miliardi, ma offre rendimenti medi intorno al 15 per cento».

Le cautele

L’apertura al piccolo risparmiat­ore deve essere però cauta e trasparent­e, con gli opportuni vantaggi fiscali. L’illiquidit­à è un rischio ma assai minore se le proporzion­i del mercato crescono, se vi è un efficiente mercato secondario, se si sviluppano fondi di fondi dedicati a progetti mirati, per esempio allo sviluppo dei territori, alla sostenibil­ità economica e ambientale. In un cartone animato del 1934, regia di Wilfred Jackson — ricordato da Gustavo Piga ne L’interregno (Hoepli) — la cavalletta, che ha passato l’intera estate a cantare e suonare, viene poi soccorsa dalla formica in pieno inverno. Riavutasi dal freddo e dagli stenti ringrazia e domanda che cosa debba fare. «Suona» è la risposta. Piga cita la favola per sostenere la sua tesi di un’europa solidale, che aiuta chi è in difficoltà. Le cavallette o le cicale agli occhi dei Paesi cosiddetti frugali siamo noi, italiani. Peccato non ci riconoscan­o mai come formiche. Formidabil­i e meglio di loro. In ogni caso, la formica dovrebbe dire alla cavalletta o alla cicala. «Canta pure, ma fallo bene». Vale anche per chi investe con i soldi nostri.

Accumulare in modo infruttife­ro, però, non è una virtù Soprattutt­o quando la crescita dell’economia stenta Dal credito d’imposta di utilizzo immediato a prodotti semplici e adatti ai privati per finanziare le piccole imprese: ecco che cosa ci manca

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Giovanni Sgariboldi presidente di Euroitalia
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Aifi Innocenzo Cipolletta
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Abi Antonio Patuelli
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