NON SOLO STATO: 1.700 MILIARDI IN BANCA AGEVOLARE GLI INVESTIMENTI PRIVATI NELLE IMPRESE
La paura fa lievitare il cash Ma tenerlo fermo diminuisce le chance di ripresa. Le idee per spingere le famiglie a usarlo (con rischi accettabili)
Nel 2020 in tutto il mondo la quota di soldi sotto il cuscino è cresciuta, come reazione all’incertezza Gli italiani, sempre molto prudenti, hanno messo via altri 160 miliardi. E ora la liquidità sui conti correnti vale tanto quanto il Prodotto interno lordo
In un commento alla parabola dei talenti, Enzo Bianchi, ex priore di Bose, avverte che la lettura del passo evangelico non deve intendersi come «un’apologia del profitto» o «un inno all’efficientismo nell’uso del denaro», bensì in uno sprone a non essere pigri e paurosi. Nonostante il padrone rimproveri il servo di non aver affidato il proprio lingotto a un banchiere, non vi è alcun significato economico o finanziario. «Custodire e fruttificare», semmai. Non solo il denaro, ma soprattutto il resto. Nel giardino del monastero di Bose, da cui Bianchi è stato ingiustamente estromesso, c’è una targa ricordo di Tommaso Padoa-schioppa che nei suoi scritti non perse mai la dimensione etica dell’agire economico. La moneta è solo uno strumento. Il risparmio è una grande virtù. Quando è troppo, però, lo è anche meno. O forse non lo è più. Oramai siamo abituati a leggere i dati sulla propensione al risparmio degli italiani, come minimo raddoppiata, e a sentirci in un certo senso rassicurati da tanta parsimonia di famiglie e imprese. Una sorta di grande cuscino sul quale un Paese — fortemente indebolito dal virus e dalla crisi economica — può ripiegare la propria testa. Sui conti correnti e sui depositi vi è ormai una cifra superiore all’intero prodotto interno lordo: 1.737 miliardi in base alla stima dell’abi, l’associazione delle banche italiane. Nel solo 2020, secondo le statistiche della Banca d’italia, i depositi bancari sono cresciuti dell’11 per cento. Sono stati risparmiati in totale 160 miliardi. Vuol dire che in meno di un anno e mezzo, le formiche italiane, da sole, sono in grado di mettere da parte l’intero importo dei sussidi e dei prestiti del Next Generation Eu. Non male.
Il dato
Le imprese non finanziarie hanno accresciuto i loro risparmi di 83 miliardi, raggiungendo a fine dicembre scorso i 384,5 miliardi. E questo dato è ugualmente rassicurante. Perché, a differenza di quello che è accaduto dopo la crisi del 2008, la recessione della pandemia trova le aziende, soprattutto quelle dei settori non colpiti, alcuni dei quali persino cresciuti (l’export continua ad andare bene) con un invidiabile polmone finanziario. Questo enorme risparmio precauzionale non rende nulla, specialmente in un’era di tassi negativi. In qualche caso è persino costoso.
Si è gonfiato oltremisura anche per l’impossibilità materiale di famiglie e imprese di consumare alcuni beni e servizi. In mancanza di fiducia sulla fine dell’emergenza sanitaria, la propensione al consumo è artificialmente ridotta. L’industria del risparmio gestito ha registrato, anche per queste ragioni, un’espansione notevole. I più avveduti tra i risparmiatori si rivolgono a gestori e consulenti professionali. E fanno bene nel tentativo di difendere il valore reale dei loro investimenti.
Ma è anche vero che il nostro Paese nell’asset allocation, vale intorno all’1 per cento. Questo è l’ulteriore amaro paradosso della straordinaria virtù delle nostre famiglie. «Il risparmio degli italiani — è l’analisi controcorrente di Franco Aletti, banchiere privato, esperto di wealth management, family office e filantropia — è stato in gran parte svenduto o delegato nella gestione a entità estere. Gli operatori devono avere uno sguardo internazionale. D’accordo. Cogliere opportunità, valutare meglio i rischi. Va bene tutto. Però la stragrande maggioranza dei nostri risparmi sostiene imprese concorrenti alle nostre, finanzia il debito di altri Stati, crea lavoro e reddito altrove. Abbiamo pochi strumenti idonei a offrire ai risparmiatori, con adeguate garanzie, la possibilità di investire nella crescita del proprio Paese, della propria comunità. La svolta dei fattori Esg (Environmental, social and governance, ndr) è da questo punto di vista, una grande occasione. Sono necessari nuovi strumenti finanziari di diritto italiano, possibilmente con agevolazioni fiscali, che investano nel made in Italy. Un ruolo più forte e consapevole di Borsa Italiana è fondamentale».
La domanda
Il quesito è antico. E su L’economia lo abbiamo trattato molte volte. Come far affluire risparmio privato su impieghi per loro natura spesso illiquidi? Senza esporre i risparmiatori a rischi difficilmente valutabili o a commissioni costose, come è sostanzialmente accaduto con i Pir, i Piani individuali di risparmio, lanciati nel 2016 con l’obiettivo di sostenere le piccole e medie imprese grazie ad
I Pir, i piani di risparmio, e gli Eltif, fondi a lungo termine, non bastano. E vanno spiegati meglio
alcuni vantaggi fiscali. La concentrazione sul mercato italiano è in linea di principio lodevole ma se l’offerta di titoli è modesta e il Paese non cresce, il risparmiatore perde le opportunità di una più attenta diversificazione. E non gli si può chiedere di essere un donatore di sangue. O, volendo riprendere un’altra parabola, un buon samaritano. «L’eccesso di risparmio come reazione alla pandemia nell’incertezza delle campagne vaccinali — sostiene Fabrizio Pagani, capo globale delle strategie di Muzinich — è comune a tutti i Paesi occidentali, persino agli Stati Uniti che ne hanno avuto sempre poco. I Pir rimangono uno strumento utile, specie dopo le ultime correzioni, ma vanno spiegati meglio. Così come gli Eltif (European long term investments funds), orientati a sostenere le piccole e medie imprese quotate e no. Non sono decollati. La Commissione europea sta rivedendo il relativo regolamento per renderli più accessibili, con le opportune garanzie, ai risparmiatori».
Lo studio
Pagani ha coordinato uno studio approfondito sul Next Generation Eu del gruppo di economisti, giuristi e manager di Minima Moralia, consegnato a Mario Draghi. Il successo dei programmi europei, soprattutto nella parte dedicata alla sostenibilità e alla transizione energetica, dipenderà anche dalla quantità di investimenti privati, italiani e stranieri, che riusciranno a mobilitare.
Sono numerosi, nello studio, i richiami alle iniziative Ppp (partenariato tra pubblico e privato). «Un solo esempio — continua Pagani — la rigenerazione di quartieri delle nostre città, tipo il Flaminio di Roma, potrebbe interessare molti residenti e non disposti a investire nel rilancio cittadino. Un’operazione di partenariato pubblico e privato, magari con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, potrebbe essere aperta ai risparmiatori. Una quota a rischio definito e chiaro. In caso di minusvalenze, vi potrebbe essere una sorta di protezione attraverso un credito d’imposta».
Qualcosa di analogo potrebbe spingere anche fondi pensioni e negoziali, oggi tassati sul rendimento a differenza di quello che avviene in altri Paesi, ad essere più attivi nell’investire nell’economia reale. «Un credito d’imposta, che l’investitore privato può utilizzare subito, è certamente meglio della detassazione — è l’opinione di Innocenzo Cipolletta, presidente Aifi — e può contribuire a far crescere il mercato del private capital in Italia, ancora troppo piccolo rispetto alla Francia e alla Germania. Oggi vale tra i 7 e gli 8 miliardi, ma offre rendimenti medi intorno al 15 per cento».
Le cautele
L’apertura al piccolo risparmiatore deve essere però cauta e trasparente, con gli opportuni vantaggi fiscali. L’illiquidità è un rischio ma assai minore se le proporzioni del mercato crescono, se vi è un efficiente mercato secondario, se si sviluppano fondi di fondi dedicati a progetti mirati, per esempio allo sviluppo dei territori, alla sostenibilità economica e ambientale. In un cartone animato del 1934, regia di Wilfred Jackson — ricordato da Gustavo Piga ne L’interregno (Hoepli) — la cavalletta, che ha passato l’intera estate a cantare e suonare, viene poi soccorsa dalla formica in pieno inverno. Riavutasi dal freddo e dagli stenti ringrazia e domanda che cosa debba fare. «Suona» è la risposta. Piga cita la favola per sostenere la sua tesi di un’europa solidale, che aiuta chi è in difficoltà. Le cavallette o le cicale agli occhi dei Paesi cosiddetti frugali siamo noi, italiani. Peccato non ci riconoscano mai come formiche. Formidabili e meglio di loro. In ogni caso, la formica dovrebbe dire alla cavalletta o alla cicala. «Canta pure, ma fallo bene». Vale anche per chi investe con i soldi nostri.
Accumulare in modo infruttifero, però, non è una virtù Soprattutto quando la crescita dell’economia stenta Dal credito d’imposta di utilizzo immediato a prodotti semplici e adatti ai privati per finanziare le piccole imprese: ecco che cosa ci manca