«TECNOLOGIA, DIFESA, RICERCA E SVILUPPO: ITALIA E FRANCIA UNA SOLIDA ALLEANZA»
L’ambasciatore francese Christian Masset: Fincantieri-chantiers? La pandemia ha cambiato tutto
Unire le forze per presidiare settori strategici e creare attori europei rilevanti a livello globale
Tecnologia, spazio, batterie elettriche, idrogeno. «Sono le grandi sfide di questo secolo aperte all’europa e a tutta la sua industria. Qui non si tratta di avere un’alleanza esclusiva con un Paese ma di unire le forze tra le grandi economie — Francia, Italia e Germania — per presidiare quei settori e magari creare partnership o addirittura attori industriali europei rilevanti al livello globale». Christian Masset, ambasciatore di Francia in Italia, invita a guardare più da vicino il ruolo del suo Paese nella Penisola. «La Francia è solo il terzo investitore per numero di imprese, dietro a Germania e Stati Uniti». E difende il punto di vista di chi ritiene che l’italia non sia un terreno di conquista di Parigi, mai interessata a partecipare a progetti strategici con Roma. Non è stata Parigi a decidere lo stop di Fincantieri nell’acquisizione di Chantiers de l’atlantique, sottolinea, tornando sul dibattito aperto la scorsa settimana da Edoardo De Biasi su L’economia del Corriere della Sera.
Quindi non è stato l’arrivo all’eliseo di Emmanuel Macron a bloccare i piani?
«Il governo francese ha rispettato l’accordo Fincantieri-chantiers de l’atlantique. Nel 2018, le autorità Antitrust di Germania e Francia, organismi indipendenti, hanno chiesto alla Commissione europea di approfondire i termini dell’operazione, non è stato il governo francese. Che, al contrario, ha sostenuto il progetto fino alla fine e ci sono state cinque proroghe dell’accordo. Dal 2017, anno della firma delle intese in occasione del vertice di Lione, è peraltro cambiato lo scenario, è arrivata la pandemia che ha provocato un forte impatto sul settore delle crociere. Davanti all’incertezza sulle prospettive del mercato delle grandi navi, Fincantieri e i Chantiers hanno preferito concentrarsi sulla strategia post Covid. Perché nessuno sa come sarà il mercato della cantieristica fra tre o quattro anni. Per ora non si possono prendere altre decisioni senza chiarezza sull’evoluzione del mercato».
Accordo finito per sempre?
«Resta un capitolo aperto, come hanno spiegato i due ministri Stefano Patuanelli e Bruno Le Maire. Entrambi i Paesi sono consapevoli della necessità di collaborare. Se non uniamo le forze in Europa restiamo piccoli rispetto a concorrenti come quelli asiatici. Francia e Italia già collaborano intensamente nel settore delle navi militari e più in generale nel campo della Difesa. Prosegue la cooperazione già in corso tra Fincantieri e Chantiers de l’atlantique, in particolare sulle grande navi di rifornimento della marina militare francese. Una parte di queste navi è costruita a Castellammare di Stabia. C’è la joint venture nelle navi militari tra Fincantieri e Naval Group decisa a Lione nel 2017, che ha aperto i suoi uffici a Genova».
Quali sono gli altri fronti strategici?
«Ci sono altre cooperazioni, come sulle fregate Horizon e ora sulle Fremm. Poi sui missili, con MBDA, dove Airbus e Leonardo collaborano. Nello spazio c’è la Space alliance tra Thalès e Leonardo che ha anche realizzato satelliti militari. Tanti altri progetti coinvolgono italiani e francesi nella Difesa europea, come la Software design radio o l’eurodrone. È una grande testimonianza della fiducia tra Francia e Italia. Cos’è più strategico della Difesa?».
Resta che Parigi ha fatto, e sta tuttora facendo con l’opa sul Creval, uno shopping intenso nel settore bancario.
«Gli attori francesi hanno partecipato al consolidamento bancario italiano e investimenti sono stati realizzati a favore della crescita e al sostegno dell’economia italiana che hanno migliorato l’accesso al credito delle Pmi e delle famiglie. È un contributo positivo che ha reso il settore bancario più forte. D’altra parte in Francia, Generali, ha comprato parecchie realtà nei servizi finanziari e non c’è stata nessuna reticenza». Spesso però sono realtà di dimensioni meno rilevanti..
«No, sono realtà con un grandissimo potenziale di sviluppo. Anziché parlare di squilibrio nelle relazioni tra Francia e Italia, bisogna invece guardare al quadro complessivo. Ci sono tre cardini nelle relazioni tra i due Paesi. Il commercio, gli investimenti e le partnership. Sul primo fronte c’è uno squilibrio molto forte, se così lo vogliamo chiamare, a favore dell’italia. Nel 2019 il surplus è stato di 15 miliardi di euro, il che significa decine di migliaia di posti di lavoro per l’italia. Viaggio molto e vedo che tante regioni italiane hanno come primo cliente la Francia. Il Veneto, legato alla Germania nei flussi commerciali, ha però un forte surplus con la Francia. E da noi non si parla certo di invasione di prodotti italiani che peraltro apprezziamo. L’economia italiana è fatta da un tessuto di aziende industriali fortemente esportatrici. Noi investiamo di più nella produzione all’estero e siamo molto più aperti agli investimenti stranieri. Infatti c’è una crescita record del numero di imprese italiane: 2.100 aziende contro le 2 mila francesi in Italia. Qui c’è equilibrio nei rapporti. L’italia, poi, è il secondo investitore mondiale in ricerca e sviluppo in Francia, dopo gli Stati Uniti e addirittura prima della Germania. Il vostro Paese pesa per il 13% degli investimenti esteri in R&S. Cerchiamo di sviluppare un ambiente favorevole per gli investitori, tra l’altro con una fiscalità intelligente come con il credito d’imposta sulla ricerca e con la semplificazione delle procedure».
In un momento in cui potrebbero essere decisi tagli nella produzione, la partnership tra Fca e Psa in Stellantis con lo Stato francese è equilibrata?
«Ho saputo delle preoccupazioni ma sento le stesse in Francia. La realtà è che Stellantis è un’alleanza equilibrata nella governance e negli assetti azionari dove i pesi dei due Paesi sono uguali ed è un gruppo globale. Italia e Francia devono lavorare insieme perché l’europa sostenga l’industria dell’auto, nell’accesso ai mercati, nello sviluppo delle tecnologie, dell’auto elettrica e delle batterie, per le quali c’è già un’iniziativa tra Francia, Italia e Germania. È una sfida che possiamo vincere. È essenziale disegnare una politica industriale europea. Siamo forti se stiamo insieme. Siamo riusciti a realizzare Next generation Eu. Senza l’impegno di Italia e Francia non ci saremmo mai arrivati. È un grande risultato».
Sembra più facile comprare in Germania che in Francia per gli italiani. «Barilla ha fatto grandi acquisizioni in Francia dove oggi è leader incontestato, lo stesso ha fatto Lavazza. Atlantia ha gran parte delle concessioni autostradali francesi, oltre allo scalo di Nizza. Siamo in un mondo dove Usa, Cina e India prendono sempre più spazio, dobbiamo trarre vantaggio del nostro mercato unico e creare cooperazioni nelle nuove frontiere della tecnologia come spazio, cloud, microelettronica, idrogeno, batterie elettriche, sanità, con attori europei rilevanti a livello globale. Un campione lo abbiamo già creato con Stmicroelectronics. Sono comunque le aziende a decidere. È importante però che Italia, Francia e Germania lavorino per una riforma del diritto europeo della Concorrenza, che si rivela limitativo in certi casi e ha impedito ad esempio la nascita di attori rilevanti come quello che sarebbe nato dalla fusione tra Alstom e Siemens. Il mercato di riferimento non è più quello dell’ue. È il mercato globale».