LA REPUTAZIONE È UN AFFARE CHI HA VINTO LA SFIDA COVID
La manifattura come i servizi e la finanza: nella crisi le imprese, spiega l’ultimo rapporto di The Reptrak company, hanno aumentato il capitale di fiducia accordato dagli stakeholder
Fra i tanti fatti inediti e inattesi della pandemia uno riguarda le aziende, o meglio la percezione che si ha di esse. Nel 2008 e nel 2011, le crisi dei subprime e dei debiti sovrani hanno determinato un aumento significativo dell’avversione «popolare» verso banche e grandi gruppi finanziari. Più in generale quando si verifica una crisi che può essere ricondotta a uno specifico settore o che al contrario è pervasiva e non risparmia (quasi) nessuno, peggiora la fiducia verso industria, istituti bancari, compagnie di assicurazioni, investitori internazionali. Anche senza bisogno di ricorrere a ipotesi complottiste, sempre più diffuse e «virali» con il crescente peso di web e social, la ricerca di un colpevole di frequente porta a una separazione fra persone, aziende e istituzioni.
Ebbene, questa volta, nel corso del Covid, sembra essere accaduto il contrario. «Generalmente le crisi che hanno impatti significativi erodono gli asset aziendali, e ovviamente anche il Covid ne ha erosi parecchi», spiega Alessandro Detto, senior vice president di The Reptrak company (ex Reputation institute), «alcuni settori hanno perso fatturato, altri non hanno potuto avviare investimenti, altri ancora hanno rischiato di perdere interi business. Ecco, la reputazione è probabilmente l’unico asset che nella pandemia non si è eroso, bensì rafforzato: è un legame emotivo ed esprime fiducia e stima, le aziende italiane stanno rispondendo bene alla crisi dettata dal Covid, mostrando un consolidamento di tale legame. La reputazione è cresciuta in tutto il 2020 e oggi le aziende possiedono un capitale maggiore di quanto ne avevano pre-crisi». Un esito tutt’altro che scontato. Anzitutto vediamo i dati rilevati da The Reptrak company e poi cerchiamo di capire le ragioni di questo trend che può apparire controcorrente.
I numeri
Quello che possiamo definire l’indice generale di reputazione per le aziende (industriali, finanziarie, assicurative, di servizi) nel nostro Paese è passato da 70,6 di gennaio 2020 a 73,7 di dicembre, con un massimo di 73,9 in settembre. Indice che delinea una forte reputazione. «Gli italiani credono maggiormente nelle aziende, si fidano e contano su di loro. Questa è una straordinaria leva per il futuro», aggiunge Detto, «perché avere una migliore reputazione nel corso di una crisi permette di recuperare prima e più velocemente quanto perso durante la stessa». Tutti i settori hanno migliorato, quindi tutte le aziende in media hanno costruito nel 2020 una percezione migliore di sé presso gli stakeholder, che vanno dagli azionisti ai consumatori effettivi o potenziali. Come si è arrivati a questo risultato? «Attraverso una efficace serie di risposte delle aziende a questioni sociali, in primo luogo l’emergenza sanitaria: donazioni, acquisto e produzione di materiale e strumenti sanitari, dalle mascherine ai ventilatori polmonari, l’impegno per la protezione della salute dei propri dipendenti e l’attenzione mai ridotta ai temi ambientali. E anche, sempre più spesso, grazie alla creazione di prodotti e servizi che soddisfano esigenze di benessere dell’individuo ancor più che necessità pratiche».
Le banche, a sorpresa...
Azioni che inoltre sono state molto frequentemente comunicate, attraverso gli strumenti di informazione e anche con pubblicità identitarie, di vicinanza. «Certo, l’esposizione mediatica ha “pagato”. D’altra parte, lo sottolineiamo sempre: fare e dire le cose giuste è buon business». Nei prossimi mesi andrà verificato se le aziende sapranno mantenere la fiducia acquisita.
Se comunque l’esito fa riflettere, forse ciò vale ancor più per alcuni risultati settoriali. Possiamo considerare in un certo qual modo scontato che le aziende farmaceutiche siano al top dell’aumento della reputazione durante la pandemia (+3,7% di crescita nel 2020). Lo è invece meno il fatto che al secondo posto si trovino, a pari merito, l’industria dei sistemi di pagamento elettronici e soprattutto le banche (in entrambi i casi l’aumento è del 3,4%). E che immediatamente dopo ci sia il settore Telco. Per quanto riguarda carte di credito e sistemi di trasferimento automatico di denaro, il fatto di essere per natura tipologie di pagamento tipicamente da “distanziamento” ne hanno favorito l’utilizzo, in particolare con il boom dell’e-commerce, fenomeno che per ragioni molteplici ha caratterizzato il lockdown. Ma la semplice diffusione non garantisce da sola una migliore percezione. «I sistemi di pagamento e in particolare le carte di credito», spiega Detto, «hanno sempre goduto di buona reputazione anche perché è alta la componente aspirazionale. Tuttavia durante il Covid sono state molte le iniziative che sono andate incontro sia alle campagne cashless promosse dal governo, sia a esigenze specifiche. A titolo esemplificativo oggi molti più taxi sono pagabili con carta di credito perché ci sono state azioni che ne hanno favorito (anche in termini di commissioni) l’utilizzo». E così il settore è passato da un indice 75,1 a 78,5.
A ciò hanno contribuito anche le banche, che però, diversamente dai sistemi di pagamento, ricevono generalmente una fiducia minore: nel primo trimestre 2020 l’indice di reputazione era pari a 65,5, fra i più bassi. Con l’aumento nel corso dell’anno è arrivato a quota 68,9, vicino alla soglia 70 sopra la quale la fiducia è considerata forte. «Le aziende di credito hanno compiuto sotto questo profilo un salto di qualità, comunicato peraltro bene in particolare da alcuni banchieri-testimoni che godono di visibilità più ampia: hanno sostenuto le Pmi e accompagnato più in generale i clienti promuovendo moratorie e iniziative collegate ai vari strumenti messi a disposizione del governo, hanno comunicato vicinanza e disponibilità nel momento economicamente più difficile per il Paese. È cresciuta la percezione di un ruolo sociale delle banche per superare la pandemia e costruire il futuro». Sono tornate
Alessandro Detto: gli italiani credono di più nelle aziende, si fidano e contano su di loro È una straordinaria leva per il futuro
insomma centrali dopo che le crisi precedenti le avevano un po’ recluse ai margini nell’ampio e variegato territorio della reputazione.
... E Telco
Rispetto all’aumento della fiducia nei confronti del settore telecomunicazioni, valutato di 3,1 punti, l’interpretazione è forse più immediata. Anch’esso in generale sotto la media con un indice pre Covid di 60,9, ha risposto all’aumento della domanda registrata per vari motivi nel lockdown (smart working, e-commerce, intrattenimento e informazione) con miglioramenti della connettività, pacchetti multipiattaforma, estensioni anche gratuite della banda disponibile. E nella comunicazione ha puntato sulla possibilità offerta di sentire il mondo più vicino nonostante il distanziamento.
E ora? Forse, dal punto di vista della fiducia, comincia la fase più difficile da gestire. Perché comunicare empatia e vicinanza e partecipare a iniziative pubbliche di sostegno è forse meno complesso rispetto a mantenere con il tempo le “promesse” di comportamenti e strategie sostenibili. Le aziende, tutte, dovranno dimostrarsi in grado di conservare e aumentare questo capital gain reputazionale. La strada è tracciata, il risultato non è però scontato.