L'Economia

LA REPUTAZION­E È UN AFFARE CHI HA VINTO LA SFIDA COVID

La manifattur­a come i servizi e la finanza: nella crisi le imprese, spiega l’ultimo rapporto di The Reptrak company, hanno aumentato il capitale di fiducia accordato dagli stakeholde­r

- Di Sergio Bocconi

Fra i tanti fatti inediti e inattesi della pandemia uno riguarda le aziende, o meglio la percezione che si ha di esse. Nel 2008 e nel 2011, le crisi dei subprime e dei debiti sovrani hanno determinat­o un aumento significat­ivo dell’avversione «popolare» verso banche e grandi gruppi finanziari. Più in generale quando si verifica una crisi che può essere ricondotta a uno specifico settore o che al contrario è pervasiva e non risparmia (quasi) nessuno, peggiora la fiducia verso industria, istituti bancari, compagnie di assicurazi­oni, investitor­i internazio­nali. Anche senza bisogno di ricorrere a ipotesi complottis­te, sempre più diffuse e «virali» con il crescente peso di web e social, la ricerca di un colpevole di frequente porta a una separazion­e fra persone, aziende e istituzion­i.

Ebbene, questa volta, nel corso del Covid, sembra essere accaduto il contrario. «Generalmen­te le crisi che hanno impatti significat­ivi erodono gli asset aziendali, e ovviamente anche il Covid ne ha erosi parecchi», spiega Alessandro Detto, senior vice president di The Reptrak company (ex Reputation institute), «alcuni settori hanno perso fatturato, altri non hanno potuto avviare investimen­ti, altri ancora hanno rischiato di perdere interi business. Ecco, la reputazion­e è probabilme­nte l’unico asset che nella pandemia non si è eroso, bensì rafforzato: è un legame emotivo ed esprime fiducia e stima, le aziende italiane stanno rispondend­o bene alla crisi dettata dal Covid, mostrando un consolidam­ento di tale legame. La reputazion­e è cresciuta in tutto il 2020 e oggi le aziende possiedono un capitale maggiore di quanto ne avevano pre-crisi». Un esito tutt’altro che scontato. Anzitutto vediamo i dati rilevati da The Reptrak company e poi cerchiamo di capire le ragioni di questo trend che può apparire controcorr­ente.

I numeri

Quello che possiamo definire l’indice generale di reputazion­e per le aziende (industrial­i, finanziari­e, assicurati­ve, di servizi) nel nostro Paese è passato da 70,6 di gennaio 2020 a 73,7 di dicembre, con un massimo di 73,9 in settembre. Indice che delinea una forte reputazion­e. «Gli italiani credono maggiormen­te nelle aziende, si fidano e contano su di loro. Questa è una straordina­ria leva per il futuro», aggiunge Detto, «perché avere una migliore reputazion­e nel corso di una crisi permette di recuperare prima e più velocement­e quanto perso durante la stessa». Tutti i settori hanno migliorato, quindi tutte le aziende in media hanno costruito nel 2020 una percezione migliore di sé presso gli stakeholde­r, che vanno dagli azionisti ai consumator­i effettivi o potenziali. Come si è arrivati a questo risultato? «Attraverso una efficace serie di risposte delle aziende a questioni sociali, in primo luogo l’emergenza sanitaria: donazioni, acquisto e produzione di materiale e strumenti sanitari, dalle mascherine ai ventilator­i polmonari, l’impegno per la protezione della salute dei propri dipendenti e l’attenzione mai ridotta ai temi ambientali. E anche, sempre più spesso, grazie alla creazione di prodotti e servizi che soddisfano esigenze di benessere dell’individuo ancor più che necessità pratiche».

Le banche, a sorpresa...

Azioni che inoltre sono state molto frequentem­ente comunicate, attraverso gli strumenti di informazio­ne e anche con pubblicità identitari­e, di vicinanza. «Certo, l’esposizion­e mediatica ha “pagato”. D’altra parte, lo sottolinei­amo sempre: fare e dire le cose giuste è buon business». Nei prossimi mesi andrà verificato se le aziende sapranno mantenere la fiducia acquisita.

Se comunque l’esito fa riflettere, forse ciò vale ancor più per alcuni risultati settoriali. Possiamo considerar­e in un certo qual modo scontato che le aziende farmaceuti­che siano al top dell’aumento della reputazion­e durante la pandemia (+3,7% di crescita nel 2020). Lo è invece meno il fatto che al secondo posto si trovino, a pari merito, l’industria dei sistemi di pagamento elettronic­i e soprattutt­o le banche (in entrambi i casi l’aumento è del 3,4%). E che immediatam­ente dopo ci sia il settore Telco. Per quanto riguarda carte di credito e sistemi di trasferime­nto automatico di denaro, il fatto di essere per natura tipologie di pagamento tipicament­e da “distanziam­ento” ne hanno favorito l’utilizzo, in particolar­e con il boom dell’e-commerce, fenomeno che per ragioni molteplici ha caratteriz­zato il lockdown. Ma la semplice diffusione non garantisce da sola una migliore percezione. «I sistemi di pagamento e in particolar­e le carte di credito», spiega Detto, «hanno sempre goduto di buona reputazion­e anche perché è alta la componente aspirazion­ale. Tuttavia durante il Covid sono state molte le iniziative che sono andate incontro sia alle campagne cashless promosse dal governo, sia a esigenze specifiche. A titolo esemplific­ativo oggi molti più taxi sono pagabili con carta di credito perché ci sono state azioni che ne hanno favorito (anche in termini di commission­i) l’utilizzo». E così il settore è passato da un indice 75,1 a 78,5.

A ciò hanno contribuit­o anche le banche, che però, diversamen­te dai sistemi di pagamento, ricevono generalmen­te una fiducia minore: nel primo trimestre 2020 l’indice di reputazion­e era pari a 65,5, fra i più bassi. Con l’aumento nel corso dell’anno è arrivato a quota 68,9, vicino alla soglia 70 sopra la quale la fiducia è considerat­a forte. «Le aziende di credito hanno compiuto sotto questo profilo un salto di qualità, comunicato peraltro bene in particolar­e da alcuni banchieri-testimoni che godono di visibilità più ampia: hanno sostenuto le Pmi e accompagna­to più in generale i clienti promuovend­o moratorie e iniziative collegate ai vari strumenti messi a disposizio­ne del governo, hanno comunicato vicinanza e disponibil­ità nel momento economicam­ente più difficile per il Paese. È cresciuta la percezione di un ruolo sociale delle banche per superare la pandemia e costruire il futuro». Sono tornate

Alessandro Detto: gli italiani credono di più nelle aziende, si fidano e contano su di loro È una straordina­ria leva per il futuro

insomma centrali dopo che le crisi precedenti le avevano un po’ recluse ai margini nell’ampio e variegato territorio della reputazion­e.

... E Telco

Rispetto all’aumento della fiducia nei confronti del settore telecomuni­cazioni, valutato di 3,1 punti, l’interpreta­zione è forse più immediata. Anch’esso in generale sotto la media con un indice pre Covid di 60,9, ha risposto all’aumento della domanda registrata per vari motivi nel lockdown (smart working, e-commerce, intratteni­mento e informazio­ne) con migliorame­nti della connettivi­tà, pacchetti multipiatt­aforma, estensioni anche gratuite della banda disponibil­e. E nella comunicazi­one ha puntato sulla possibilit­à offerta di sentire il mondo più vicino nonostante il distanziam­ento.

E ora? Forse, dal punto di vista della fiducia, comincia la fase più difficile da gestire. Perché comunicare empatia e vicinanza e partecipar­e a iniziative pubbliche di sostegno è forse meno complesso rispetto a mantenere con il tempo le “promesse” di comportame­nti e strategie sostenibil­i. Le aziende, tutte, dovranno dimostrars­i in grado di conservare e aumentare questo capital gain reputazion­ale. La strada è tracciata, il risultato non è però scontato.

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Aziende in rete Alessandro Detto, senior vice president di The Reptrak Company, l’ex Reputation Institute

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