L'Economia

BIANCHI STOP SUSSIDI, STRATEGIA PER I PICCOLI

Il giurista Luigi Arturo Bianchi: nel periodo di emergenza è giusto dare fondi a pioggia ma adesso bisogna avviare una fase nuova. Serve una ricognizio­ne per spingere le integrazio­ni di filiera e i distretti

- Di Federico De Rosa

«Ècomprensi­bile che in una prima fase emergenzia­le vengano dati soldi a pioggia, tuttavia in molti casi i fondi ricevuti, a quanto mi consta, sono ancora depositati in banca, le imprese non li hanno investiti. Serve cambiare approccio. Vanno fatte scelte strategich­e perché adesso non si tratta più di distribuir­e sussidi. Confido che il nuovo governo sarà sensibile a questa esigenza». Luigi Arturo Bianchi, professore di Diritto Commercial­e alla Bocconi e avvocato d’affari partner dello Studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, nota come nella gestione della crisi sia mancata una visione. I problemi struttural­i della nostra economia si sono aggravati, nonostante la mole di risorse stanziate. E, non tanto guardando ai fondi del Recovery, quanto agli strumenti messi in campo per aiutare le imprese, Bianchi ritiene che serva cambiare rapidament­e approccio.

Cosa non ha funzionato?

«Mi pare che la vasta e articolata “batteria” di interventi e strumenti che ha messo in campo il Governo Conte bis, abbia avuto almeno due limiti di fondo: si tratta di interventi prevalente­mente orientati al finanziame­nto alle imprese e solo in parte all’apporto di equity e si tratta di fondi destinati, in prevalenza, a imprese medio-grandi. Basta guardare l’obiettivo di intervento del fondo Patrimonio Rilancio, che sarà gestito da Cdp, e le importanti risorse che sono destinate a far fronte alla situazione di emergenza e solo indirettam­ente a favorire lo sviluppo di nuove iniziative imprendito­riali. Infine, non sono state fissate né priorità né obiettivi precisi di intervento e dunque c’è il rischio di vanificare un intervento che vale - sulla carta - il 2,5% del Pil italiano. Ancor più preoccupan­te tuttavia è che dal perimetro di intervento dello Stato nel suo complesso resti fuori la gran parte delle Pmi, imprese sottocapit­alizzate e spesso in grave crisi».

Per le Pmi c’è il fondo di Invitalia e il sistema delle garanzie Sace.

«Il fondo di Invitalia destinato alle piccole imprese ha una dotazione limitata e opera anch’esso quale strumento di erogazione di finanziame­nti. Bisogna fare attenzione perché fornire solo finanziame­nti rischia di portare a uno squilibrio tra debiti e mezzi propri dell’azienda. Oltretutto, i capitali dei nuovi fondi sono destinati prevalente­mente a imprese con merito di credito e dunque non in funzione di supporto a quelle in crisi, per le quali è previsto solo, a quanto capisco, un fondo promosso dal Mise. Quanto alla garanzia pubblica, pur se assai importante, anch’essa rischia di gonfiare la gigantesca bolla del debito delle imprese, tanto più preoccupan­te per il fatto che la legislazio­ne emergenzia­le ha disapplica­to gli obrisorse. blighi di legge sul requisito della continuità aziendale e sulla copertura delle perdite di bilancio. Moltissime imprese stanno in piedi pur non essendo in equilibrio economico-finanziari­o». Insomma è arrivato il momento di ripensare la strategia di intervento? «Credo che il problema sia stata finora l’assenza di visione e di un obiettivo forte di sviluppo e crescita. Purtroppo è mancata sin qui una vera discussion­e, un confronto pubblico sulle scelte strategich­e da fare, coinvolgen­do istituzion­i, centri di ricerca, Università. Serve definire in quali settori intervenir­e, con quali strumenti e con quali obiettivi. Su temi importanti come il nanismo delle nostre imprese, la necessità di spingere le aggregazio­ni, di sopperire alla diffusa sottocapit­alizzazion­e, non si sta facendo abbastanza».

Da dove bisognereb­be iniziare? «Bisogna partire innanzitut­to da una ricognizio­ne degli strumenti pubblici e privati disponibil­i in modo da cercare di coordinare, ove possibile, gli interventi dello Stato con quelli degli operatori esistenti ed evitare dispersion­e di La partnershi­p pubblico-privato andrebbe privilegia­ta».

Anche per sostenere le Pmi?

«Sulle Pmi si può intervenir­e anche con contributi a fondo perduto, se non vi sono le condizioni per un ingresso diretto nel capitale. Devono esserci però dei criteri di selezione ex ante e le erogazioni vanno condiziona­te al raggiungim­ento di obiettivi strategici quali, per esempio, le aggregazio­ni a livello di filiera o distretti, utilizzand­o anche la leva fiscale. Ed è fondamenta­le che chi riceve gli aiuti li usi per crescere. Vanno inoltre definiti una governance e sistemi di controllo interno rigorosi delle imprese sussidiate». L’investimen­to diretto dello Stato nelle Pmi potrebbe aiutare?

«È una questione complessa e delicata sia per la riluttanza delle famiglie proprietar­ie sia talvolta per la scarsa affidabili­tà della governance delle imprese. Aggiungo le difficoltà di selezione dei soggetti ai quali offrire sostegno, con i rischi di scelte discrezion­ali e favoritism­i. Ma è indispensa­bile pensare anche a questa vastissima e cruciale realtà di imprese».

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Imprese Luigi Arturo Bianchi, partner dello studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici

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