BIANCHI STOP SUSSIDI, STRATEGIA PER I PICCOLI
Il giurista Luigi Arturo Bianchi: nel periodo di emergenza è giusto dare fondi a pioggia ma adesso bisogna avviare una fase nuova. Serve una ricognizione per spingere le integrazioni di filiera e i distretti
«Ècomprensibile che in una prima fase emergenziale vengano dati soldi a pioggia, tuttavia in molti casi i fondi ricevuti, a quanto mi consta, sono ancora depositati in banca, le imprese non li hanno investiti. Serve cambiare approccio. Vanno fatte scelte strategiche perché adesso non si tratta più di distribuire sussidi. Confido che il nuovo governo sarà sensibile a questa esigenza». Luigi Arturo Bianchi, professore di Diritto Commerciale alla Bocconi e avvocato d’affari partner dello Studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, nota come nella gestione della crisi sia mancata una visione. I problemi strutturali della nostra economia si sono aggravati, nonostante la mole di risorse stanziate. E, non tanto guardando ai fondi del Recovery, quanto agli strumenti messi in campo per aiutare le imprese, Bianchi ritiene che serva cambiare rapidamente approccio.
Cosa non ha funzionato?
«Mi pare che la vasta e articolata “batteria” di interventi e strumenti che ha messo in campo il Governo Conte bis, abbia avuto almeno due limiti di fondo: si tratta di interventi prevalentemente orientati al finanziamento alle imprese e solo in parte all’apporto di equity e si tratta di fondi destinati, in prevalenza, a imprese medio-grandi. Basta guardare l’obiettivo di intervento del fondo Patrimonio Rilancio, che sarà gestito da Cdp, e le importanti risorse che sono destinate a far fronte alla situazione di emergenza e solo indirettamente a favorire lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali. Infine, non sono state fissate né priorità né obiettivi precisi di intervento e dunque c’è il rischio di vanificare un intervento che vale - sulla carta - il 2,5% del Pil italiano. Ancor più preoccupante tuttavia è che dal perimetro di intervento dello Stato nel suo complesso resti fuori la gran parte delle Pmi, imprese sottocapitalizzate e spesso in grave crisi».
Per le Pmi c’è il fondo di Invitalia e il sistema delle garanzie Sace.
«Il fondo di Invitalia destinato alle piccole imprese ha una dotazione limitata e opera anch’esso quale strumento di erogazione di finanziamenti. Bisogna fare attenzione perché fornire solo finanziamenti rischia di portare a uno squilibrio tra debiti e mezzi propri dell’azienda. Oltretutto, i capitali dei nuovi fondi sono destinati prevalentemente a imprese con merito di credito e dunque non in funzione di supporto a quelle in crisi, per le quali è previsto solo, a quanto capisco, un fondo promosso dal Mise. Quanto alla garanzia pubblica, pur se assai importante, anch’essa rischia di gonfiare la gigantesca bolla del debito delle imprese, tanto più preoccupante per il fatto che la legislazione emergenziale ha disapplicato gli obrisorse. blighi di legge sul requisito della continuità aziendale e sulla copertura delle perdite di bilancio. Moltissime imprese stanno in piedi pur non essendo in equilibrio economico-finanziario». Insomma è arrivato il momento di ripensare la strategia di intervento? «Credo che il problema sia stata finora l’assenza di visione e di un obiettivo forte di sviluppo e crescita. Purtroppo è mancata sin qui una vera discussione, un confronto pubblico sulle scelte strategiche da fare, coinvolgendo istituzioni, centri di ricerca, Università. Serve definire in quali settori intervenire, con quali strumenti e con quali obiettivi. Su temi importanti come il nanismo delle nostre imprese, la necessità di spingere le aggregazioni, di sopperire alla diffusa sottocapitalizzazione, non si sta facendo abbastanza».
Da dove bisognerebbe iniziare? «Bisogna partire innanzitutto da una ricognizione degli strumenti pubblici e privati disponibili in modo da cercare di coordinare, ove possibile, gli interventi dello Stato con quelli degli operatori esistenti ed evitare dispersione di La partnership pubblico-privato andrebbe privilegiata».
Anche per sostenere le Pmi?
«Sulle Pmi si può intervenire anche con contributi a fondo perduto, se non vi sono le condizioni per un ingresso diretto nel capitale. Devono esserci però dei criteri di selezione ex ante e le erogazioni vanno condizionate al raggiungimento di obiettivi strategici quali, per esempio, le aggregazioni a livello di filiera o distretti, utilizzando anche la leva fiscale. Ed è fondamentale che chi riceve gli aiuti li usi per crescere. Vanno inoltre definiti una governance e sistemi di controllo interno rigorosi delle imprese sussidiate». L’investimento diretto dello Stato nelle Pmi potrebbe aiutare?
«È una questione complessa e delicata sia per la riluttanza delle famiglie proprietarie sia talvolta per la scarsa affidabilità della governance delle imprese. Aggiungo le difficoltà di selezione dei soggetti ai quali offrire sostegno, con i rischi di scelte discrezionali e favoritismi. Ma è indispensabile pensare anche a questa vastissima e cruciale realtà di imprese».