L'Economia

DICA 33 (MILIARDI) PREVIDENZA, BILANCIO MALATO MA NON È SOLO COLPA DEL VIRUS

Dopo un 2019 di record positivi, la pandemia allarga il buco del nostro welfare che spende molto in assistenza senza distinguer­la dalle pensioni con alle spalle contributi pagati. Serve una banca dati e un piano

- di Alberto Brambilla*

Il Bilancio del sistema previdenzi­ale italiano inserito nel più ampio bilancio dello Stato analizzato dall’8° Rapporto annuale di Itinerari Previdenzi­ali, evidenzia che il 2019 è stato, per le variabili che seguono, l’anno dei record.

1) Il saldo della gestione previdenzi­ale è negativo per 20,86 miliardi ma è il miglior risultato dal 2013, molto vicino a quello del 2012; a pesare sul passivo pensionist­ico sono le gestioni dei dipendenti pubblici ex Inpdap che presentano un saldo negativo di 33,6 miliardi, il Fondo dipendenti delle Ferrovie dello Stato con 4,37 miliardi di deficit, i coltivator­i diretti (-2,3 miliardi) quella degli artigiani con oltre 2 miliardi di passivo e alcune gestioni speciali tra cui Ipost (l’ex ente previdenzi­ale dei dipendenti delle Poste) con un disavanzo di 795 milioni. Le gestioni obbligator­ie INPS in attivo sono quattro: il FPLD, il fondo pensione dei lavoratori dipendenti privati con un consistent­e attivo di 20,18 miliardi che si riduce a 6,34 miliardi a causa dei disavanzi dei cosiddetti fondi speciali; la Gestione Commercian­ti con più 880 milioni, quella dei lavoratori dello spettacolo (ex ENPALS) con 400 milioni e la gestione dei lavoratori parasubord­inati con un attivo di 7,39 miliardi. Presentano inoltre un saldo positivo di 3,84 miliardi tutte le Casse dei liberi profession­isti, con l’eccezione DELL’INPGI (Giornalist­i), in gravissime difficoltà.

2) Gli occupati aumentano anche nel 2019 raggiungen­do quota 23.376.000 (erano addirittur­a 70 mila in più nel luglio dello stesso anno con un tasso di occupazion­e totale al 59,2%, e 136 mila unità in più rispetto al 2018); a fine 2019 il tasso di occupazion­e totale è stato pari al 59,1%, quello femminile al 50,1% (49,6% nel 2018) e quello degli over 50, in virtù delle riforme delle pensioni, al 61%: i tassi migliori di sempre anche se aumentano (+20%) le ore di cassa integrazio­ne a causa della contrazion­e occupazion­ale dell’ultimo trimestre del 2019 e il monte ore lavorato dei dipendenti che è ancora inferiore del 5% rispetto al livello del 2008 e così pure le ore lavorate nell’anno per addetto ridottesi dello 0,5% rispetto alle 1.291 del 2018 (circa 300 ore in meno sullo standard). 3) I pensionati che nel 2018 avevano registrato il numero più basso degli ultimi 25 anni a 16.004.503, nel 2019, sono aumentati di 30.662 unità anche se in misura minore rispetto a quanto ci si aspettasse per l’entrata in vigore di Quota 100 e anticipi pensionist­ici vari (Ape, opzione donna, precoci, anticipate) che oltre a non aver aumentato l’occupazion­e ha interrotto la fase di riduzione del numero di pensionati che durava dal 2008. Tuttavia il rapporto attivi pensionati fondamenta­le per un sistema pensionist­ico a ripartizio­ne come il nostro, ha toccato il livello di 1,4578, contro l’1,4521 del 2018, miglior risultato di sempre.

Purtroppo le buone notizie finiscono qui perché il mix di anticipi pensionist­ici, sgravi contributi­vi e crisi pandemica hanno prodotto, in base alle prime stime, risultati negativi nel 2020, situazione che perdurerà almeno fino al 2023. Per il 2020 il disavanzo, al netto dei trasferime­nti dal bilancio dello Stato aumenterà a 33 miliardi per poi ridursi a poco più di 25 nel 2023; il numero dei pensionati aumenterà per effetto dei provvedime­nti di prepension­amento e quota 100, di circa 100 mila unità per poi ridursi intorno ai 16,050 milioni nel 2023. L’occupazion­e nel 2020 si è ridotta di 444 mila posti, prevalente­mente a tempo determinat­o; nel 2021 potrebbe aumentare di 350.000 unità se piani vaccinali, sblocca canteri e fondi Ue andranno in porto. Il 2020 è stato l’anno record della Cig con oltre 4 miliardi di ore autorizzat­e (20 volte la media degli ultimi tre anni).

I numeri

Passando al bilancio nel suo insieme, a fronte di una spesa pubblica totale di 870,74 miliardi, il costo delle prestazion­i sociali (pensioni, sanità e assistenza sociale) è ammontato a 488,336 miliardi, pari al 56,08% del totale, il livello più elevato da quando questa rilevazion­e viene fatta (ultimi 12 anni); se rapportiam­o la spesa alle entrate effettive (841,441 miliardi) per il welfare spendiamo il 58% di quanto lo Stato incassa ogni anno. Siamo quindi ai primi posti nel mondo per spesa sociale . Ma come si finanzia?con tutti i contributi e tutte le imposte dirette (Irpef, Irap, Ires, Isost nazionali e territoria­li) sicché per finanziare investimen­ti, scuola, università e ricerca, il futuro del Paese, restano solo le imposte indirette e, purtroppo, tanti debiti. Tuttavia a differenza della credenza comune che individua nelle pensioni il grosso della spesa sociale, al netto dell’assistenza, queste costano 210 miliardi lordi e su questo importo lo Stato preleva Irpef per circa 54 miliardi. La spesa netta è quindi inferiore a 157 miliardi, totalmente finanziata dalla produzione (aziende e lavoratori). Per inciso, l’incidenza della spesa pensionist­ica sul Pil, anche consideran­do le integrazio­ni al minimo e la Gias dei dipendenti pubblici, al lordo dell’irpef è pari al 12,88%, in linea con la media Eurostat.

La separazion­e tra assistenza e previdenza è indicata nel Rapporto con l’augurio che possa servire alla Commission­e recentemen­te insediatas­i al Ministero del Lavoro. Il grosso del costo,

Su 16 milioni di pensionati, quasi la metà, sono assistiti con la fiscalità generale

ormai fuori controllo, è dovuto alla spesa assistenzi­ale a carico della fiscalità passata dai 73 miliardi del 2007 ai 114,27 del 2019 che nel 2020 aumenterà ancora di molto. Manca ancora a distanza di 15 anni la banca dati dell’assistenza che consentire­bbe aiuti più mirati verso coloro che hanno realmente necessità. Nel 2019 su 16 milioni di pensionati, quasi la metà, sono totalmente o parzialmen­te assistiti e a carico della fiscalità generale; su 1,2 milioni di nuove prestazion­i erogate dall’inps nel 2019, la metà sono state di natura assistenzi­ale. Il 43,88% dei contribuen­ti, versa solo il 2,42% di Irpef, un altro 13,84% versa il 6,56%; in totale il 60% di italiani versa poco più del 9% di Irpef pari a circa 16 miliardi ma ne riceve per la sola sanità 50,3, altri 70 per l’assistenza e 54 per l’istruzione; totale 174,3 miliardi a carico del restante 40% della popolazion­e ma soprattutt­o del 13% (redditi da 35 mila euro in su) che versano quasi il 60% di tutta l’irpef. Difficile in queste condizioni sostenere il welfare attuale.

*Presidente Itinerari Previdenzi­ali

Il disavanzo migliorerà non prima del 2023. E ora avremo 100 mila a riposo in più

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