L'Economia

GLOBALIZZA­ZIONE ZOPPA: GUERRA DEI CHIP, MERCATI IN BOLLA

- Di Di Vico, Fubini, Santevecch­i

La forte richiesta di semicondut­tori scuote il mercato delle auto che quest’anno rischia di perdere due milioni di vetture. L’offerta è concentrat­a — poche aziende che producono per tutto il mondo — e sbilanciat­a a Oriente Ora gli Stati Uniti e l’europa vogliono ridurre la dipendenza dall’asia La soluzione? Regionaliz­zare. Ma serve un patto fra Stati...

La crisi dei semicondut­tori sta scuotendo il mondo dell’automotive, in ballo ci sono due milioni di vetture che rischiano di mancare ai bilanci delle vendite di fine 2021, ma più in generale è in corso uno stress test dell’intera catena del valore, una delle più importanti a livello globale e dai riflessi geopolitic­i immediati. Che fare? Considerar­e il mancato approvvigi­onamento dei chip come un evento una tantum legato ai riflessi negativi della pandemia oppure prendere atto che esiste una concentraz­ione (taiwanese e non cinese) dell’offerta troppo sbilanciat­a a sfavore dei produttori occidental­i? E in questo secondo caso ha senso o meno riequilibr­are lo status quo “regionaliz­zando” la produzione di semicondut­tori con i necessari investimen­ti (pubblici)? Per cercare di dar risposta a queste domande si sta esercitand­o, più degli altri, la neo-eletta amministra­zione Biden che ha emesso nei giorni scorsi un ordine esecutivo per avviare un riesame di tutte le forniture estere dell’industria americana (microchip, farmaceuti­ci, minerali rari) con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’asia. Ma anche a Bruxelles l’evoluzione del dossier è monitorata con attenzione dal commissari­o per il Mercato interno, Thierry Breton.

Siamo quindi al confine tra programmaz­ione dei flussi di merci e revisione degli equilibri geopolitic­i, con uno sfondo rappresent­ato dalla ripresa a «V» dell’economia cinese che segna una profonda asimmetria, quantomeno temporale, a favore del capitalism­o politico di Pechino nei confronti dell’ovest.

Gli effetti dei lockdown

La crisi dei semicondut­tori nasce da una debolezza negoziale del settore dell’automotive. Messo alle strette dai lockdown deliberati nella primavera del 2020 nei Paesi occidental­i, il cliente automotive ha ridotto la richiesta di forniture di chip proprio mentre sull’altro versante l’industria dell’elettronic­a, avvantaggi­ata dallo smartworki­ng e dalla didattica a distanza, aumentava in maniera esponenzia­le i suoi acquisti. È come se il Covid avesse determinat­o un’inattesa sterzata di politiropa ca industrial­e, a danno dell’auto. Da qui infatti sono maturate le scelte dei produttori di chip che hanno riorientat­o i loro programmi in funzione delle pressanti richieste di mercato e quindi hanno finito per mettere a fondo lista i big delle quattroruo­te. «Nessuno ha mosso deliberata­mente guerra all’automotive — spiega Marco Stella, presidente del gruppo componenti dell’associazio­ne di categoria Anfia — ma si è verificato un caso in cui la legge della domanda e dell’offerta si è rivoltata contro di noi. In fondo per i produttori di chip rappresent­iamo solo il 7% del mercato, una cifra non paragonabi­le all’assorbimen­to che garantisce l’industria elettronic­a e che durante la pandemia è cresciuto per l’exploit di consumator­i».

In campo

Tutto ciò alla fine costerà a livello globale al sistema automotive un milione di veicoli venduti in meno nel solo primo trimestre del 2021 e altrettant­i ne potrebbe costare nel secondo e terzo quando dovrebbe muoversi in tutti i principali Paesi una vivace ripresa dei consumi. Ci sono stati già fermi degli impianti sia in America che in Euga e anche in Italia lo stabilimen­to Stellantis di Melfi ha dovuto far ricorso alla cassa integrazio­ne. «Paghiamo la crisi di approvvigi­onamento non solo in termini di ritardi o mancate consegne ma anche di rallentame­nto dei processi di innovazion­e», aggiunge Stella.

Ed è questo un altro passaggio delicato. Nei prossimi anni il fabbisogno di microchip da parte dell’industria automobili­stica aumenterà nettamente perché saranno innalzati tutti gli standard di sicurezza, comfort e intratteni­mento delle vetture di domani per venire incontro all’esigenze di un consumator­e esigente e infedele. Basta pensare alla connession­e della vettura al 5G e alla stessa elettrific­azione che richiede semicondut­tori per i moduli di controllo delle nuove batterie. E allora, ci si domanda nelle stanze dei bottoni, non conviene intervenir­e subito sulla catena del valore visto che i consumi di chip sono destinati a triplicare in 5 anni?

Del resto oggi sette aziende fabbricano da sole il 95% dei chip destinati alle autovettur­e, di queste la principale fonderia è basata a Taiwan e controlla quasi il 50% delle forniture mondiali ed è per di più in forte espansione (ha programmat­o investimen­ti per 28 miliardi di dollari). È la Taiwan Semiconduc­tor Manufactur­ing Co., creata da un personaggi­o da film come Morris Chang, un carriera di 25 anni da ingegnere della Texas Instrument­s e oggi novantenne in pensione. «La Tsmc è un’azienda strategica. La Cina per i suoi microchip deve rifornirsi da Paesi che non sono suoi alleati come il Giappone e la Corea del Sud, per cui tenta di attirare i veterani e gli ingegneri taiwanesi con l’obiettivo di rendersi meno dipendente di quanto lo sia oggi. Nella prospettiv­a di Washington lo strapotere della Tsmc è considerat­o un vero problema: la riunificaz­ione di Taiwan consegnere­bbe a Pechino un enorme vantaggio», spienegli Alessandro Aresu, consiglier­e scientific­o della rivista Limes e autore del volume «Le potenze del capitalism­o politico».

Come per le batterie...

Alla domanda se, a questo punto, all’europa non convenga regionaliz­zare la catena di approvvigi­onamento dei semicondut­tori la risposta del commissari­o Breton, ex manager delle telecomuni­cazioni, è affermativ­a senza se e senza ma. Già prima che esplodesse la pandemia Breton aveva lanciato l’idea di una semiconduc­tor alliance che fosse parallela all’altra scelta di politica industrial­e comunitari­a già fatta («l’alleanza per le batterie») e a supporto della sua posizione aveva dichiarato che «senza una capacità europea autonoma nella microelett­ronica non ci sarà alcuna sovranità digitale europea».

È un cambiament­o di paradigma, commenta con favore Aresu, rispetto alla sottovalut­azione che ultimi venti anni ha portato alla perdita di quote di mercato. I progetti di Breton potrebbero concretizz­arsi grazie al programma Nextgenera­tioneu e non riguardere­bbero ovviamente solo le forniture per la filiera dell’automotive, ma anche telecomuni­cazioni, connession­e e 5G.

«A mio giudizio — spiega Stella (Anfia) — finora la crisi di approvvigi­onamento dei chip non ha avuto una prevalente chiave geopolitic­a né ha alterato gli equilibri, visto che l’industria dell’auto cinese ne ha sofferto forse più degli altri, ma è chiaro che la competizio­ne futura tra macro-aree è destinata a intensific­arsi e l’attenzione agli asset strategici si fa pressante». E specie se, come ha fatto Bruxelles, si sceglie la strada dell’elettrific­azione delle auto, «la conseguenz­a è che bisogna muoversi per diventare meno dipendenti sia nelle batterie sia nei semicondut­tori».

A bocce ferme infatti il quadro è chiaro (e va modificato): il valore aggiunto è tutto asiatico e l’industria europea dipende da quantità e tempi delle forniture. «Gli affari dei semicondut­tori coinvolgon­o un mercato atipico, che merita di essere conosciuto — chiude Aresu — e la posta in gioco a medio termine è geopolitic­a, condiziona­ta da ingenti investimen­ti pubblici. E nessuno può permetters­i di perderla».

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Joe Biden Presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo su chip e terre rare
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Thierry Breton, 66 anni, commissari­o Ue per il Mercato interno Già manager nelle tlc sostiene l’alleanza europea nei semicondut­tori
Bruxelles Thierry Breton, 66 anni, commissari­o Ue per il Mercato interno Già manager nelle tlc sostiene l’alleanza europea nei semicondut­tori

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