«MILANO SUI PREZZI DEGLI IMMOBILI È LA MENO CARA IN EUROPA»
Alexei Dal Pastro spiega la strategia di Covivio, big europeo del real estate. Uffici e residenziale, chi vince in attesa che il turismo riparta
«Milano, per un grande operatore del real estate come Covivio, è l’unica realtà con caratteristiche europee in Italia. Se poi abbia la capacità di trainare lo sviluppo del resto del Paese, come tutti ci auguriamo, lo vedremo». Alexei Dal Pastro, alla guida in Italia del gruppo controllato da Leonardo Del Vecchio, va dritto al punto: è stato un anno di resistenza e il modello diversificato di Covivio ha prodotto buoni risultati, almeno rispetto alle previsioni (i profitti, calcolati sull’indicatore di performance dell’associazione europea del real estate, Epra, sono a 385 milioni contro i 452 dell’esercizio precedente, ma sopra la guidance di metà anno, ferma a 380). Il tema ora è continuare a testa bassa nello sviluppo dei progetti avviati, cogliere gli spunti di ripresa e agire sui punti di forza. Che sono diversi, come i cantieri che Covivio ha sparsi per la città, con una pipeline per i prossimi anni da circa un miliardo, a cominciare dall’area di Porta Romana, uno dei sette scali restituiti dalle Fs allo sviluppo metropolitano, nel quale il gruppo è al lavoro con la Coima di Manfredi Catella e Prada Holding.
Sotto il Duomo
Cantieri e progetti di riqualificazione vanno avanti sull’onda di un ulteriore punto di forza della città, nell’ottica di un grande sviluppatore: Milano — anche se dirlo può apparire uno sproposito a tanti — non è cara. Almeno in termini relativi. E ha bisogno di ristrutturare per rispondere alla domanda di qualità di investitori e imprese. Ce n’è evidenza anche nei libri contabili. Il valore medio di carico del patrimonio sotto la Madonnina nel portafoglio di Covivio, spiega Dal Pastro, è di circa 8.500 euro al metro quadrato. Una metropoli come Parigi è a 20 mila. «Ma anche considerando realtà più comparabili come Barcellona o Monaco di Baviera, Milano resta conveniente». Il che conferma la bontà di una strategia che dal 2016, quando però ancora Covivio non esisteva come realtà autonoma (è nata nel 2018 dalla fusione fra Foncières des Regions e Beni Stabili), ha spostato il peso di Milano sul totale del portafoglio italiano dal 48 fino all’attuale 90 per cento. Strategia riconfermata per quest’anno. «Sono convinto che Milano resterà per diverso tempo un’opportunità d’investimento — osserva l’amministratore delegato Italia di Covivio — a causa di un elemento che a un osservatore esterno può apparire un paradosso: la bassa qualità dell’esistente del patrimonio uffici esistente e la domanda concentrata su prodotti prime. In altri termini: l’occasione d'investimento è colmare il gap tra lo stock esistente di immobili di qualità e la domanda espressa da investitori e clienti. L’offerta di prima categoria, il “Grade A”, è grosso modo del 20%, ma la domanda si concentra stabilmente per il 7080% proprio sugli immobili di prima categoria».
Un ragionamento e dei confronti che restano nel solco del mercato se è vero che a fronte di investimenti complessivi sul segmento commerciale per 8,8 miliardi , 3,5 sono su Milano e soltanto uno su Roma.
Effetto pandemia
Dal Pastro è convinto poi che gli effetti della pandemia rafforzeranno alcune caratteristiche della domanda: tecnologia, sicurezza, flessibilità nell’utilizzo degli immobili dal punto di vista dell’hardware e sostenibilità, elementi della richiesta già evidenti ora, spingeranno in direzione di «una rilocalizzazione, da parte delle aziende, in immobili di nuova concezione». Ma sono le medesime aziende che immaginano, almeno le più grandi, un ritorno alla normalità, post vaccini, con una quota stabile di smart working. Qualcuno si spinge a ipotizzare per almeno il 30% della forza lavoro attuale. Dal Pastro non crede a una cesura così brutale con il passato. «Assistiamo già ora a un’importante domanda di sostituzione» che offre molte opportunità agli sviluppatori.
Il «cantiere Milano» di Covivio, aggiunge, è lì a dimostrarlo in termini di qualità. Ampiamente noti alle cronache, sono in via dell’unione all’angolo con via Torino, in Corso Italia, allo Scalo di Porta Romana accanto a Symbiosis, il business district da 125 mila metri quadrati che oggi ospita Fastweb e Cirfood, entro l’anno Boehringer Ingelheim. A Porta Romana, in via Serio verrà su Vitae, un progetto dell’archistar Carlo Ratti, per il business e alcuni spazi destinati ad eventi pubblici. In direzione Sud-ovest, The Sign, accanto alla fermata Romolo della metro, è un progetto di rigenerazione nell’area di un’antica fonderia (Vedani, nata nel 1902): verde e fontane, accanto alla Iulm, ai Navigli e via Tortona. In via Dante, da agosto, c’è l’insediamento di oltre 4.700 metri quadrati di Wellio, network di pro-working. Nasce dall’expertise di Covivio su uffici e hotellerie e porta dritto dritto il discorso sull’acquisizione degli asset dell’ex gruppo Boscolo.
Gli alberghi
Un anno di trattative e la chiusura a settembre 2020, a ridosso della seconda ondata pandemica. Un cigno nero che nel settore ha spinto altri importanti attori economici, a correre ai ripari. Come Cdp, con il Fondo turismo che guarda agli asset immobiliari per dar ristoro alle gestioni. Dal Pastro non commenta, ma ribadisce che «il turismo è un asset strategico per il Paese». Cita Draghi («non torneremo al mondo di prima, non è come riaccendere la luce»), ma è convinto che, anche per la partnership con NH Hotel Group, l’investimento sarà profittevole. Del resto ha preso alcuni tra i più bei pezzi italiani: l’esedra a Roma, il Grand Hotel dei Dogi e il Bellini a Venezia, Palazzo Gaddi a Firenze.
Bene dunque, ma non benissimo. La Germania ha aiutato e molto. Milano farà la sua parte anche nel secondo anno Covid, sostiene Dal Pastro, che nell’ambito dei consueti piani di rotazione del portafoglio ha un obiettivo di vendite di asset maturi e non core, ossia fuori Milano, per 150-180 milioni (250 nel 2020). È molto, considerando che tutta l’europa del business naviga a vista in mezzo alla terza ondata. Covivio, vista l’incertezza che caratterizza proprio le attività recettive (il 15% degli asset di gruppo) ha un obiettivo prudente di «Epra Earnings» tra 380 e 395 milioni.