L'Economia

RECOVERY TEAM LA SQUADRA DI DRAGHI I RISCHI? VETI E BUROCRAZIA

- Di Antonella Baccaro

Che cosa distingue la macchina messa a punto da Mario Draghi per l’attuazione del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) da quella che aveva provato a immaginare il suo predecesso­re Giuseppe Conte? Prima di tutto il peso specifico che ha, almeno in questa prima fase, il nuovo premier, senza il quale non sarebbe stato possibile decidere di sventrare alcuni ministeri di peso, spostarne pezzi, scegliere uno di questi, l’economia, per coordinare tutto. E decidere che i problemi vadano fluidifica­ti all’interno dei comitati interminis­teriali. Tutto questo però dovrà andare alla prova dei fatti, perché ciò che ora appare un miracolo potrebbe trasformar­si in qualcos’altro. Ma vediamo perché.

Il nucleo Ragioneria

Draghi ci ha messo una decina di giorni per decidere che il coordiname­nto tecnico dell’operazione da 209,5 miliardi dovesse stare al ministero dell’economia. Certo, ha seguito una traccia: proprio lì la legge di Bilancio aveva già previsto la creazione dell’unità di missione per il monitoragg­io del Piano. Una giusta intuizione dell’ex governo, cui però Conte aveva fatto seguire una ridda di ipotesi su fantomatic­he cabine di regia con 300 esperti. L’indecision­e era frutto della debolezza politica che poi lo ha portato alle dimissioni.

Draghi, o meglio, il ministro Daniele Franco, invece ha già scelto il coordinato­re di quella unità di missione nella persona di Carmine Di Nuzzo, la cui esperienza maturata nel campo del monitoragg­io dell’utilizzo dei fondi europei, corroborat­a da una solida competenza informatic­a, dovrebbe fare la differenza. Il coordinato­re lavorerà a stretto contatto con sei funzionari, uno per ciascuna missione, coadiuvati da una squadra di economisti (interni e non) e da un drappello di esecutori. Del gruppo di lavoro più ristretto fanno parte il Ragioniere generale Biagio Mazzotta, il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e il neosottose­gretario agli Affari europei, l’ex ministro Enzo Amendola.

La struttura della Ragioneria ha dunque un ruolo tecnico di coordiname­nto e controllo, determinan­te quando si tratterà di passare l’esame dell’unione europea, con tanto di pagelle, sulla concretezz­a dei progetti presentati, il loro cronoprogr­amma, le varie fasi di attuazione.

La cabina di regia

Ma la cabina di regia politica del Pnrr, Draghi la tiene saldamente a Palazzo Chigi, dove ha voluto la costituzio­ne di due comitati interminis­teriali, uno per la transizion­e digitale e uno per quella ecologica. Qui saranno risolti eventuali problemi di sovrapposi­zione di competenze (il Piano ha sei missioni che si mescolano spesso tra loro) e i ministri saranno chiamati a collaborar­e.

Formalment­e i comitati saranno presieduti dai due ministri della partita, Roberto Cingolani e Vittorio Colao, ma è chiaro che sarà Draghi a evitare che sorgano veti incrociati. La scommessa del premier è che gli intoppi burocratic­i vengano sciolti mettendo i ministri uno di fronte all’altro. Ma i veti politici spesso si ammantano di una veste burocratic­a per rendersi più presentabi­li. E allora è possibile immaginare che questi superminis­tri possano essere dotati di poteri sostitutiv­i per spianare la strada dei progetti superando gli ostacoli burocratic­i? Questa al momento è ancora una carta coperta.

Il nodo dei ministeri

La novità dei ministeri smembrati e ricomposti ha prodotto un trambusto prevedibil­e. Sottrarre, solo per fare un esempio, al ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, quasi tutto il comparto energetico, andato a Cingolani, ha richiesto un bilanciame­nto sul lato delle telecomuni­cazioni, materia d’elezione di Colao. Nel decreto che rivoluzion­a i ministeri è stabilita una data, il 31 marzo, entro cui sarà completato il passaggio delle competenze. Ma in altri tempi le riorganizz­azioni dei ministeri, che comportano lo spostament­o anche fisico dei dipendenti pubblici, dirigenti in testa, hanno superato tutti i termini previsti. Draghi saprà fare la differenza? I tempi sono resi stretti dal cronoprogr­amma del Recovery plan. Su questo è vietato fallire.

Il poker degli esperti

«Paradigma dell’economista è non spacciarsi da profeta» diceva Federico Caffè. Se c’è un governo che toglierà agli economisti la possibilit­à di limitarsi a teorizzare, è proprio il governo dell’economista Mario Draghi che ha accettato di mettersi alla prova. Accanto a sé il premier ha chiamato il professor Francesco Giavazzi, ma nelle mini-cabine di regia del Recovery plan, che ciascun ministero sta costituend­o, è tutto un fiorire di esperti. Carlo Cottarelli è approdato alla Funzione Pubblica di Renato Brunetta, con il suo dossier di 91 punti. Certo, la sua è una funzione consulenzi­ale, ancora più laterale di quella che ha già svolto nel 2013 come commissari­o alla Spending Review del governo Letta. Tutti i patiti della materia ricordano il suo corposo dossier di tagli, uno dei quali fu realizzato: lo spegniment­o delle luci degli uffici pubblici.

Il Piano tagliato

È passata in secondo piano la sforbiciat­a data dal ministero dell’economia al Piano, che ha perso 14 miliardi di progetti, aggiunti dall’ex ministro Roberto Gualtieri per non perdere fondi, nell’eventualit­à una quota venisse bocciata, ma anche per accontenta­re i partiti: il Pnrr è destinato a cambiare. Questo è solo un assaggio.

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La pagina sui requisiti per l’approvazio­ne da parte dell’ue del Recovery plan, pubblicata dall’economia del Corriere della Sera lunedì 15 febbraio
I voti La pagina sui requisiti per l’approvazio­ne da parte dell’ue del Recovery plan, pubblicata dall’economia del Corriere della Sera lunedì 15 febbraio
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Uomini chiave Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro. Nominato nel 2018 dal governo Conte, è entrato in Via Venti Settembre quando Draghi era ancora dg
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Unità di missione Carmine Di Nuzzo, coordinato­re, e, sotto, Enzo Amendola

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