L'Economia

PERICOLI NASCOSTI RITORNA L’INFLAZIONE?

- Di Danilo Taino

Il vecchio fantasma sembrava svanito. Ma ora gli stimoli fiscali e monetari, i colli di bottiglia nelle forniture e il costo del greggio fanno temere rialzi dei prezzi

Può essere l’effetto di quello che Boris Johnson chiama la prospettiv­a dell’«altopiano soleggiato», cioè l’ottimismo per il post-pandemia. Possono essere i colli di bottiglia che si sono creati nelle catene di fornitura. Oppure la portata forse eccessiva dello stimolo fiscale americano. O ancora l’aumento del prezzo del petrolio e di quelli delle materie prime. E il probabile boom di molte economie dopo la recessione dell’anno scorso. Fatto sta che il dibattito e i timori per un rialzo dell’inflazione stanno prendendo il centro delle aspettativ­e dei mercati.

Nessuno si attende aumenti dei prezzi straordina­ri. Se però anche rialzi modesti indicasser­o un cambio di stagione, le ripercussi­oni sulle economie del mondo sarebbero sostanzial­i. In alcuni casi, forse distruttiv­e. I movimenti repentini sui tassi d’interesse dei titoli del Tesoro americani, la settimana scorsa, e la conseguent­e caduta dei valori di Borsa sono un segnale chiaro delle tensioni che si stanno accumuland­o.

La situazione che più fa discutere è quella degli Stati Uniti. L’attesa generalizz­ata è che l’economia cresca a un passo molto consistent­e nel 2021, per recuperare le perdite del pessimo 2020, soprattutt­o se la campagna di vaccinazio­ne consentirà di riaprire via via le attività e la vita normale. Quello che si domandano gli economisti è quali saranno le conseguenz­e sui prezzi quando, in questo quadro di boom, arriverà lo stimolo da 1.900 miliardi di dollari voluto da Joe Biden, stimolo che si aggiungerà ai fondi già stanziati in precedenza fino a portare l’immissione di denaro attorno a quattromil­a miliardi.

Il pericolo che si registri un’impennata dei prezzi è reso ancora più reale da una serie di altre circostanz­e. La prima è che, durante la pandemia, gli americani hanno risparmiat­o come non succedeva da lungo tempo ed è probabile che, liberati dalle restrizion­i da virus, tornino a spendere con brio. La seconda è che la Fed continua a mantenere una posizione di larghezza fiscale indiscutib­ile: ha da poco introdotto un nuovo regime di targeting medio dell’inflazione finalizzat­o a fare crescere i prezzi più del 2% invece che appena sotto al 2% come in precedenza. Significa che il suo presidente, Jerome Powell, è disposto a lasciare crescere l’inflazione prima di intervenir­e per frenarla.

La terza circostanz­a, la quale non vale solo per gli Stati Uniti, è che nel mondo si sono creati colli di bottiglia nelle forniture, a cominciare dai microchip: significa che, di fronte a una domanda forte, le imprese — dall’elettronic­a al settore auto — potrebbero non essere in grado di rispondere, con conseguent­e aumento dei prezzi. Infine, il barile di petrolio ormai supera i 60 dollari e molte materie prime stanno registrand­o aumenti dei prezzi significat­ivi.

Può essere che la lettura di queste tendenze abbia portato sui mercati timori d’inflazione solo momentanei. Daniel Ivascyn — il chief investment officer di Pimlico, 2.200 miliardi di dollari in gestione — ha parlato di una «pista falsa inflazione», la quale a suo avviso crescerà ma solo temporanea­mente: c’è il rischio, a suo avviso, che sui mercati si sopravvalu­ti il pericolo. Economisti del calibro di Larry Summers e Olivier Blanchard sono invece critici del pacchetto di stimoli da 1.900 miliardi: lo ritengono eccessivo di fronte a un’economia che di suo è in una ripresa a V e che dunque potrebbe essere spinta a surriscald­arsi.

Anche in Europa segnali di tensioni sui prezzi ci sono. In Germania, l’inflazione è passata da uno 0,7% negativo a un più 1,6% in un mese, a causa però della fine di un taglio temporaneo dell’iva. Per quel che riguarda l’eurozona, la società di analisi Oxford Economics prevede una crescita dell’inflazione dallo 0,3% del 2020 all’1,2% quest’anno, con picchi nella seconda metà, quando potrebbe arrivare all’1,5% nell’area euro e al 2% in Germania (ma altri, ad esempio Capital Economics, ritengono che quella tedesca potrebbe quest’anno superare il 3%). Una serie di fattori che valgono per gli Stati Uniti valgono naturalmen­te anche per l’europa: i colli di bottiglia nelle forniture, l’aumento del prezzo del petrolio, la praticamen­te certa ripresa dell’economia. La discussion­e è insomma aperta. Pochi si aspettano che le maggiori banche centrali aumentino a breve termine i tassi d’interesse: Powell non ne ha intenzione, ha fatto capire durante audizioni al Congresso nei giorni scorsi; e Christine Lagarde non sembra pensarci proprio, anche se un rialzo forte in Germania potrebbe spingere qualcuno nel Consiglio dei Governator­i della Bce a frenare sullo stimolo monetario (che la zona euro rischi di surriscald­arsi sembra però una possibilit­à remota, non si vede nemmeno la roadmap per le vaccinazio­ni anti Covid-19).

Il fatto è che i mercati guardano avanti e, se si afferma l’idea che l’inflazione sarà più alta abbastanza stabilment­e, le aspettativ­e su stimoli e tassi bassi si ridimensio­nerebbero, le valutazion­i sul cambio del dollaro anche. E, quando il dollaro inverte la direzione, i flussi di capitale s’ingrossano. E con loro le turbolenze: tanto più pericolose in un quadro di alti debiti in tutto il mondo. Un battito d’ali a Washington…

Il dibattito sul possibile e inatteso aumento è intenso sui mercati. Negli Usa ma anche in Europa. I rischi di un cambio di stagione

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