E XI METTE IN MOSTRA LA RIPRESA A «V»
Venerdì il Congresso del popolo celebra la rincorsa di Pechino, che tallona l’economia Usa ed è già ora primo partner commerciale della Ue. La sfida tecnologica e le avance al Vecchio Continente
Riflettori sulla Grande sala del popolo di Tienanmen, dove il 5 marzo si apre il Congresso nazionale del popolo, la sessione plenaria annuale del Parlamento. Va in scena la rappresentazione della «democrazia con caratteristiche cinesi» nel Paese dove nominalmente tutto appartiene al popolo, anche se cittadini, imprenditori e capitalisti sanno che tutti i poteri sono concentrati nel Partito-stato.
L’assemblea di Pechino è un’opera teatrale: il copione è già stato scritto in riunioni segrete da Xi Jinping, dal Politburo e dai compagni tecnocrati del governo e i tremila «delegati del popolo» in sala possono solo applaudire e votare sì (anche se a qualcuno sarà consentito, o forse suggerito, di esprimere parere contrario, tanto per dare l’idea di un dibattito).
Però, dietro il rituale, da quando la Cina è salita al rango di superpotenza l’evento è diventato un modo per annunciare al resto del mondo la rotta socio-economica dell’impero. Si attendono dettagli sul Piano quinquennale 2021-2025, che avrà inevitabilre mente un impatto sul resto del mondo. Dal discorso programmatico del premier Li Keqiang bisognerà decifrare il senso della «doppia circolazione economica» annunciata nel sommario del Piano quinquennale.
Intanto è chiaro che la Cina punta a rendersi autosufficiente nel campo delle tecnologie avanzate e delle catene di approvvigionamento e a privilegiare il mercato interno dei consumi. Altri capisaldi gli investimenti in grandi infrastrutture e la modernizzazione dell’agricoltura, per raggiungere la sicurezza alimentare (non scontata in un Paese che deve nutrire il 22% della popolazione mondiale ma può contare solo sul 10% delle terre coltivabili). Non è stato ancora definito per il 2021 un obiettivo di crescita, che di solito è il punto più propagandato del Congresso. L’anno scorso non era stato fissato pubblicamente, data la crisi sanitaria. Diversi consiglieri governativi hanno proposto di abbandonarlo definitivamente, per non spingere le amministrazioni delle province a sprecarisorse in progetti improduttivi. Yi Gang, governatore della Banca del Popolo, ha già avvertito che nel 2020 il debito cinese è salito di 20 punti, al 280% del Pil, e che nel 2021 deve rimanere stabile. Le veline distribuite alla stampa statale galvanizzano l’opinione pubblica ricordando che comunque il divario tra economia cinese e americana si sta riducendo. Non sempre le veline mentono. Nel 2020 l’unica nazione del G20 in espansione è stata la Cina, uscita dall’anno dei lockdown con un grafico del Pil a V, grazie a una trionfale ripresa del +6,5% tra ottobre e dicembre che ha riequilibrato lo sprofondo rosso del -6,8% di gennaio-marzo. Il totale fa +2,3%, sommando i rimbalzi dei due trimestri di mezzo (+3,2% e +4,9%). Secondo le stime del fondo monetario internazionale, il Pil della Cina ora vale il 73,2% di quello degli Stati Uniti e di questo passo nel 2025 salirà al 90%. «In queste condizioni la competizione sino-americana si complicherà, perché neanche nel momento di massima forza l’unione Sovietica si era avvicinata alla potenza economica Usa», osservano gli analisti di Pechino ragionando sulle prospettive di una guerra fredda strisciante per il primato industriale, tecnologico e commerciale. E questo è un chiaro segnale anche per l’ue, chiamata a decidere se sia il caso di allinearsi a Joe Biden o chiudere gli occhi sui diritti civili, umani e anche commerciali violati. La Cina dirigista e illiberale nel 2020 ha superato per la prima volta gli Stati Uniti come primo partner nel commercio con l’europa. L’accordo sugli investimenti bilaterali tra Ue e Cina è un passo ulteriore, per la prima volta definisce «regole d’ingaggio», anche se è sotto il tiro dall’europarlamento. E da Pechino arriva un segnale: il governo progetta di consentire ai piccoli risparmiatori cinesi di investire all’estero; 50 mila dollari a testa all’anno, che moltiplicati per il numero dei cittadini potrebbero diventare un fiume (rosso).
La principale fonderia, Tsm, è a Taiwan e controlla metà delle forniture mondiali Vuole investire 28 miliardi di dollari