L'Economia

ORGOGLIO E PREGIUDIZI­O LA MODA SFIDA SÉ STESSA

- Di Raffaella Polato

Perché c’entri Il diavolo veste Prada è chiaro. Ma al fashion system di oggi si arriva anche per link insospetta­ti: cosa leghi Lutero all’abito moderno, o il sistema di produzione fordista alle catene di abbigliame­nto, lo racconta Andrea Batilla in una ricostruzi­one storica che spiega, anche, perché da protagonis­ta l’italia rischia di retroceder­e a «terzista»

«La moda come non ve l’ha mai raccontata nessuno»? Ma va, pensi: tipica furbata editoriale da copertina, presuntuos­a e un anche po’ cheap. Questa volta invece no. Il sottotitol­o promette, il libro mantiene. Con i classici richiami pop, naturalmen­te, quelli che ognuno di noi riconosce all’istante: tipo Meryl Streep, alias Miranda Priestly sul set, alias Anna Wintour tra i potenti del fashion system reale, e le sue odiosissim­e pretese, scenate, «tirate» ad Anne Hathaway,ovvero Andrea Sachs davanti alla cinepresa, ovvero l’emblema di tante segretarie-assistenti-tuttofare che non a caso hanno tifato per lei dal primo all’ultimo secondo del film.

Ma fin qui è facile. Il diavolo veste Prada, che Andrea Batilla cita all’inizio di Instant Moda, l’abbiamo visto più o meno tutti. Il difficile, in un volume che della moda vuole raccontare la storia, è fare quello che Gabrielle Chanel detta Coco fece per prima «sul campo»: rompere gli schemi, mischiare l’alto e il basso.

I due poli

In effetti non è così immediato, e forse per chi si occupa soprattutt­o di design non è nemmeno così interessan­te, ma per esempio: chi ha mai pensato a un link tra il fordismo e gli antesignan­i del fast fashion? Oppure, ancora più complesso: a qualcuno era per caso venuto in mente che «essenziale per capire la nascita dell’abito moderno» è la riforma protestant­e innescata da Martin Lutero a inizio Cinquecent­o? Ecco. Mescolare l’«alto» e il «basso», in una storia della moda, vuol dire questo. Significa usare i toni narrativi del racconto, non quelli rigidi del saggio, per spiegare perché «moda» è una parola che riguarda tutti — compreso chi pensa di esserne al di sopra — e a livelli che a volte nemmeno sospettiam­o. Semplifich­iamola così: per un attimo, e tra le altre cose, Batilla toglie al fashion system quell’immagine di dorato ghetto per happy few in cui gli stessi protagonis­ti sono, spesso, i primi a rinchiuder­si. Per carità, è pure questo. Ai suoi piani alti, i superattic­i dei party super esclusivi che seguivano le sfilate pre Covid, viveva e si muoveva un mondo a parte. Non fosse arrivata la pandemia, saremmo ancora lì. È uno dei problemi della moda negli Anni Venti del Duemila. Quando Batilla ha scritto il libro non c’era traccia di virus tanto distruttiv­i, sul pianeta Terra, ma l’autore già avvertiva: se il fashion ha sempre letto, spesso anticipato, in ogni momento interpreta­to i cambiament­i della società, bene, oggi è nel fashion stesso che «c’è bisogno di cambiament­o». Aggiornate ai giorni del Covid, subito dopo le sfilate che esattament­e un anno fa andarono in scena come se nulla stesse succedendo, le ragioni raccontate in Instant Moda e rilanciate dall’autore a marzo 2020, sul suo sito, sono di un’evidenza impietosa: «La moda si sta comportand­o male, molto male. Preso in contropied­e dalla valanga di pessime notizie il mondo del lusso non sembra aver mostrato nessuna delle reazioni tipiche di un settore che, sulla carta, dovrebbe nutrirsi di contempora­neità. I designer stanno rivelando chiarament­e quale sia il loro vero e unico problema oggi: non avere il benché minimo attaccamen­to alla realtà».

Spietato. Eppure, questo è un atto d’accusa da leggere in chiave opposta a ciò che appare. Instant Moda non viene da uno che brucerebbe il sistema, che ce l’ha con il consumismo, che per dimostrare di esora sere «anti» e «contro» e «al di sopra» compra jeans da pochi euro o «il vestitino da 19,90 in poliestere» non perché non può permetters­i altro, ma per imbrogliar­e la coscienza sentendosi anche molto, molto cool: salvo non sapere, o evitare di pensare, che con quei jeans alimenta «il lavoro minorile in Bangladesh» e quel vestitino «non è praticamen­te smaltibile e rimarrà in giro per il mondo per i prossimi duecento anni». Perciò no, non sono attacchi ideologici. A muovere Batilla, che peraltro nel settore lavora, è l’esatto contrario: l’amore profondo per la moda, lo stile, la cultura che entrambi racchiudon­o (o dovrebbero), il valore che esprimono e che è anche, valore economico e occupazion­ale. Pensiamoci. Ci perdiamo nei racconti delle sfilate. Anneghiamo nei post degli influencer. Ci affanniamo a cercare di capire cosa faranno, e come, i marchi del fast fashion. A proposito dei quali: il lusso solo incomincia a chiedersi se abbia un senso, inseguire la velocità degli Zara al ritmo di due, poi di tre, poi magari di quattro collezioni l’anno. Dopodiché, per restare in Italia: il sistema-moda di cui tanto parliamo dov’è, in realtà? Cosa fa? Quanto ne sappiamo?

Sfilate da Pil

Poco. Molto poco. Finisce sempre che l’orgoglio per un simbolo dell’industria made in Italy, pilastro di Pil ed export, si scontra con i pregiudizi sui lustrini, il lusso sfrenato, i jet e gli yacht e i cortei di body guard con cui si muovono i pochi sulla punta dell’iceberg. Ovvero l’alta moda, i brand, gli stilisti senza i quali era fino a ieri impensabil­e una qualsiasi sfilata a Milano, Parigi, Londra, New York. Ma se quella punta sta ancora a galla è perché, sotto, non si sciolgono migliaia di piccole aziende che forniscono tessuti artigianal­i impossibil­i da replicare altrove, lavorazion­i sartoriali, accessori che solo noi sappiamo fare così bene. È in questo modo che il Sistema Moda Italia ha sfiorato nel 2019 i cento miliardi di giro d’affari: con una filiera fatta da 60 mila imprese che, insieme all’indotto, dà lavoro a oltre un milione di persone.

Lo si racconta, tutto ciò? Ci si preoccupa dell’impatto che il Covid, dopo aver «tagliato» l’anno scorso un quarto del fatturato (ma gli utili dei big brand hanno continuato a salire), potrebbe ora avere sulle aziende più piccole e sull’occupazion­e? Seccamente: no. Quando, nel suo libro, Batilla dice che «in Italia si parla poco di moda e se ne scrive ancora meno», è a questo che si riferisce. E non salva nessuno: non i media, distratti; meno ancora la politica, «disinteres­sata»; neppure le associazio­ni di categoria, che «come la politica parla solo di ristori: ma un minimo di visione no?». No, parrebbe. Fingendo di non vedere il rischio serio che comunque, causa intelligen­te shopping delle grandi multinazio­nali, i fiori all’occhiello del made in Italy già corrono: «Retroceder­e da protagonis­ti a terzisti del fashion globale».

Un fatturato di 75 miliardi, 60 mila aziende, un milione di dipendenti. Ma non sappiamo fare della filiera un «sistema»

 ??  ?? Storie da premiare
Con Andrea Batilla e il suo Instant Moda, L’economia tocca la quarta tappa del viaggio nella vita d’impresa in Italia così com’è raccontata — nei suoi vari aspetti — dai cinque libri finalisti del Premio Letteratur­a d’impresa (promosso da Italypost, voto finale al Festival Città Impresa di Bergamo)
Storie da premiare Con Andrea Batilla e il suo Instant Moda, L’economia tocca la quarta tappa del viaggio nella vita d’impresa in Italia così com’è raccontata — nei suoi vari aspetti — dai cinque libri finalisti del Premio Letteratur­a d’impresa (promosso da Italypost, voto finale al Festival Città Impresa di Bergamo)
 ??  ?? Il libro Instant Moda, edito da Gribaudo (Feltrinell­i)
Il libro Instant Moda, edito da Gribaudo (Feltrinell­i)
 ??  ?? Minimalism­o «Sacerdotes­sa del minimalism­o»: Coco Chanel è stata la prima, Miuccia Prada (foto sotto) ne è l’erede universalm­ente (ri)conosciuta
Minimalism­o «Sacerdotes­sa del minimalism­o»: Coco Chanel è stata la prima, Miuccia Prada (foto sotto) ne è l’erede universalm­ente (ri)conosciuta
 ??  ?? Esagerazio­ne Alessandro Michele (foto sopra) ha dato a Gucci un vintage orientato, scrive Batilla, «verso un nuovo significat­o di esagerazio­ne parossisti­ca e mediatica»
Esagerazio­ne Alessandro Michele (foto sopra) ha dato a Gucci un vintage orientato, scrive Batilla, «verso un nuovo significat­o di esagerazio­ne parossisti­ca e mediatica»
 ??  ?? Successo Da sinistra, Meryl Streep e Anne Hathaway, protagonis­te del film Il diavolo veste Prada, uscito 15 anni fa e ancora molto amato
Successo Da sinistra, Meryl Streep e Anne Hathaway, protagonis­te del film Il diavolo veste Prada, uscito 15 anni fa e ancora molto amato

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy