CACAO IN TAVOLA GOBINO SPINGE LA SOSTENIBILITÀ HI-TECH (E DI LUSSO)
Il patron dell’azienda torinese del cioccolato spiega il «bilancio d’impatto» La fabbrica verde e i risultati della collaborazione con Armani
Ill 2020 è stato difficile anche per lui: «Abbiamo perso all’improvviso il 90% del fatturato di Pasqua». Per chi come Guido Gobino di mestiere produce cioccolato significa veder sparire una parte rilevante dei ricavi. L’anno scorso, tuttavia, l’imprenditore torinese ha approfittato del lockdown per studiare a fondo la sua azienda partendo dai numeri, non quelli di bilancio ma i kilowatt consumati, le migliaia di litri d’acqua impiegata, le tonnellate di packaging utilizzati per confezionare i cioccolatini, arrivando a studiare anche le modalità di spostamento dei dipendenti, per reimpostare organizzazione e processi in chiave di maggiore sostenibilità.
«Questo è il momento della svolta. Noi siamo sempre stati attenti a una corretta gestione ambientale, sociale ed economica nell’intera filiera di produzione del cioccolato, ma bisogna migliorare tutto ciò che è migliorabile», spiega Gobino.
Il cambio di passo
«Il 2020 è stato un anno di grandi riflessioni: insieme ai miei collaboratori siamo partiti dalle cose fatte, guardando dove siamo arrivati e come, gli errori commessi e le cose che abbiamo imparato, e da lì abbiamo immaginato il futuro di Gobino». L’imprenditore torinese ha raccontato questo lavoro attraverso i numeri nel suo primo bilancio di sostenibilità. La Guido Gobino, che l’anno scorso è rimasta ferma due mesi per il lockdown, è stata passata ai raggi X, dalle forniture ai processi. Sono stati analizzati i consumi, gli sprechi e individuati i punti su cui agire. «I numeri ci hanno permesso di avere un quadro molto dettagliato e di darci degli obiettivi annuali di sostenibilità fino al 2025». L’impatto della fabbrica è stato migliorato adottando pannelli solari, un impianto di recupero del calore, sistemi robotizzati di gestione dell’energia sulle linee di produzione e di recupero dell’acqua calda e fredda, interamente riutilizzata attraverso un circuito chiuso che azzera gli sprechi.
Il lavoro sul prodotto, il cui packaging è stato ripensato, ha portato Gobino a ridurre di 870 chili in un anno l’uso di materiali plastici, di cui oltre 2,5 quintali di pvc sostituito con carta o cartone. L’alluminio utilizzato per incartare i cioccolatini, pari a 2 tonnellate l’anno, è al 100% riciclabile mentre la carta proviene da foreste certificate Fcs e gestite responsabilmente. «Un esercizio che abbiamo fatto guardando avanti — spiega l’imprenditore —. Oggi la sostenibilità è un costo che non si può ribaltare sul prodotto finale. I consumatori sono molto attenti e sanno che le materie prime sostenibili costano di più, ma ci dobbiamo fare carico noi di questa transizione e lo vogliamo fare cercando di migliorare gli aspetti etici, dentro e fuori l’azienda. È un investimento che porterà benefici».
Gobino è un artigiano-imprenditore coraggioso e visionario. Lo stabilimento di Via Cagliari a Torino ospita un centro di ricerca e sviluppo su materie prime e tecnologie alimentari molto avanzato, in cui sono coinvolti anche tirocinanti del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’università di Torino. La ricerca sulla materia prima è la parte fondamentale. Nei suoi prodotti Gobino mischia disciplinari tradizionali e innovazione restituendo sapori unici, come il Cremino al Sale, fatto con gianduja e arricchito con sale marino integrale e olio extravergine taggiasco premiato a Londra come «Miglior Pralina del Mondo». O i Giandujotti Tourinot da 5 grammi senza latte temperati a mano. Sapori che hanno conquistato mezzo mondo — Gobino oggi vende cioccolato in oltre 24 Paesi, dal Giappone all’arabia Saudita all’australia e ha 5 negozi in proprietà diretta tra Torino e Milano – e convinto il palato di Giorgio Armani che tre anni fa gli ha affidato in licenza la produzione del cioccolato per Armani/ Dolci. «E’ stato uno stimolo importante a migliorarci — racconta Gobino — la collaborazione con Armani ci ha spronato a rendere la produzione ancora più sostenibile. Il mondo della moda è molto sensibile a questi temi e i fornitori devono rispettare determinati standard». Oltre al lavoro «in casa», Gobino ha studiato anche come migliorare la filiera — quella del cioccolato è lunghissima, inizia dall’altra parte del mondo — dall’origine: il cacao. «Abbiamo deciso di avvalerci di un unico mediatore di cacao, è una donna che ha messo in piedi un gruppo che fa ricerca in tutto il mondo e ci propone il miglior prodotto certificato e garantito a un prezzo equo — spiega Gobino —: un prezzo più alto del cacao standard, ma parliamo di piccole produzioni di altissima qualità e quella differenza va direttamente ai coltivatori che così sono incentivati a tenere standard elevati. Conosco nome cognome e indirizzo di ogni singolo produttore. Ogni anno acquisto lo 0,00094% del cacao mondiale, un numero piccolo ma che le assicuro ha un impatto sulle comunità che lo coltivano». Gobino partecipa direttamente, da oltre 6 anni, anche a un progetto di Slow Food a Chontalpa, in Messico, acquistando in anticipo il cacao dei produttori locali.
Dove è stato possibile l’azienda torinese ha anche accorciato la filiera. Sullo zucchero, per esempio: «Lo importavamo dalla Francia con i camion. Ora grazie alla ripresa nel Polesine della produzione dello zucchero dalla barbabietola lo compriamo direttamente qui — spiega Gobino —. Anche il latte in polvere prima veniva importato dalla Germania, mentre ora attraverso Inalpi ci forniamo esclusivamente di latte proveniente da allevamenti certificati delle Alpi piemontesi».
La filiera, ad eccezione del cacao, era già piuttosto corta. Tutta made in Italy e di altissima qualità. Gobino utilizza esclusivamente la Nocciola Tonda Gentile Trilobata della Langhe, mandorle, pistacchi e agrumi di Sicilia: «Collaboriamo ogni giorno con i nostri fornitori — sottolinea —. Avere una filiera Made in Italy non solo aiuta a ridurre l’impatto ma è una risorsa inesauribile di eccellenze e garanzia di qualità».
Ogni anno acquisto lo 0,00094% della materia prima mondiale, un numero piccolo ma che incide sulle comunità che lo coltivano