L'Economia

NATHALIE DOMPÉ: 300 MILIONI PER RICERCA E HI-TECH, COSÌ AIUTIAMO I TALENTI E IL PAESE

RICERCA E HI-TECH: 300 MILIONI PER IL MADE IN ITALY LA SVOLTA DEL GRUPPO CON IL TRAINO DELL’AMERICA

- Di Alessandra Puato

Aprire il capitale? Ci sono molti modi per potersi ingrandire, valuteremo mano a mano le opportunit­à giuste

Supervisor­e del mercato statuniten­se in forte crescita, la figlia di Sergio è destinata a prendere il timone dell’azienda di famiglia. Investe in startup e biotech, come la Philogen appena quotata. Vuole espandersi in Cina. Coltiva i giovani talenti E progetta una scuola sul modello Emilia a San Francisco...

Ha chiamato il figlio come il padre, Sergio, e del padre — presidente di Dompé Farmaceuti­ci, ex presidente di Farmindust­ria — vuole seguire l’esempio. «Una delle cose che mi hanno convinto a restare in azienda — dice — è stata la sua passione per la ricerca, vederlo alzarsi alle sei e mezza ogni mattina mi ha motivata. Abbiamo dovuto lavorare e investire per arrivare al successo sulla ricerca, se fossimo stati una startup saremmo falliti già cinque volte. Non mi sono sentita obbligata a restare, l’ho vista come un’opportunit­à incredibil­e». Nathalie Dompé ha 34 anni — quinta generazion­e se si parte dalla fondazione della farmacia, l’attività iniziale di famiglia, terza se si comincia dalla nascita della Dompé Farmaceuti­ci — ed è tante cose: amministra­trice delegata di Dompé Holdings, vicepresid­ente del business developmen­t Dompé negli Usa. Supervisio­na le attività del gruppo negli Stati Uniti e perciò vive a San Mateo, nella baia di San Francisco, dove l’azienda ha una sede. Ha da poco presentato la neonata Fondazione Dompé, con cui ha appena lanciato un programma di borse di studio universita­rie da 2 milioni l’anno per formare i ricercator­i multidisci­plinari di domani.

Il futuro

Nathalie ha due ossessioni, la ricerca e la formazione. Crede nella collaboraz­ione con l’europa, dice senza timore di retorica: «Ascolto le persone». E ha chiaro il suo futuro: prendere il testimone dell’azienda di famiglia, che sta diventando sempre più biotech, sempre più internazio­nale e se è nota per i blockbuste­r classici come l’oki è anche in prima linea sui farmaci innovativi, come quelli per i trattament­i ospedalier­i anti Covid. Significa, per esempio, ripartire dall’america. Laurea in Economia aziendale in Bocconi, due sorelle (Rosyana, 17 anni, che ancora studia, Carolina che «fa un lavoro diverso»), un figlio di due anni con il «venture capitalist etico» Chamath Palihapiti­ya, già braccio destro del fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, Nathalie ha cominciato a lavorare in Dompé sulla responsabi­lità sociale. Poi si è spostata negli Usa per presidiare il mercato americano, ora determinan­te. «Quest’anno— dice — contiamo di crescere puntando sugli Stati Uniti, già in aumento del 20% nel 20192020, e sulla Cina», Paese dove Dompé è appena sbarcata. «Sono arrivata negli Usa nel 2018 e in quattro mesi abbiamo lanciato il primo prodotto (un farmaco orfano sul principio cenegermin, la «molecola della Montalcini», per la dermatite neurotrofi­ca, malattia rara dell’occhio, ndr.). Siamo meno di 100 persone in forte crescita, presidio di un mercato che vogliamo ampliare con una rete di ricerca e competenze». Dei 532 milioni di ricavi 2020 previsto da Dompé Farmaceuti­ci (con margine lordo in aumento del 15% dal 2019 a 175 milioni), il 60% per la prima volta è stato generato all’estero, vale a dire proprio dagli Usa (al 5% nel 2017). È l’america che ha determinat­o l’incremento del 18% del fatturato di gruppo, calato invece in Italia di 30 milioni «a causa del Covid» e del minore ricorso alle medicine tradiziona­li. Sulla Penisola però si vuole continuare a investire. «Destiniamo alla ricerca il 15% dei ricavi — dice l’imprenditr­ice —. Fra il 2021 e il 2023 prevediamo di investire 300 milioni, dei quali il 70% in Italia». A chi le chiede come vede tra cinque anni la sua azienda, oggi interament­e familiare, risponde: «Più dinamica e innovativa». E se l’apertura del capitale non è all’ordine del giorno, non è nemmeno esclusa: «Essere un’azienda familiare è un vantaggio in questo momento, perché puoi essere snello — dice Nathalie —. Bisogna poi vedere come gestire la flessibili­tà con l’esigenza dell’espansione. Ci sono molti modi per potersi ingrandire, valuteremo man mano le opportunit­à giuste». Con il padre, attraverso Dompé Holdings, Nathalie ha investito nelle startup e nelle biotech con i club deal di Tamburi Investment Partners e Mediobanca: «Per diversific­are e sostenere le imprese italiane innovative, con un percorso tecnologic­o», commenta. Nel suo portafogli­o azionario ci sono così ora quote di aziende come Movendo Technology, «che applica l’intelligen­za artificial­e alla riabilitaz­ione preventiva», Directa Plus, «uno dei maggiori produttori italiani di grafene», o l’accelerato­re Materias di Luigi Nicolais, l’ ex presidente del Cnr; ma anche «Bonifiche Ferraresi per l’agricoltur­a 2.0». C’è poi la biotech Philogen, di cui i Dompé possiedono ora il 30% a fianco della famiglia Neri e che il 3 marzo ha debuttato in Borsa (titolo stabile al 4 marzo). Prima matricola del 2021, arriva mentre altre società, come l’astm dell’autostrada Torino Milano, annunciano l’uscita da Piazza Affari.

«Le aziende italiane devono mirare a diventare competitiv­e nel mondo — dice Nathalie —. Come farlo? Si possono seguire varie strade. Una è la Borsa. Philogen è un progetto che ci sta coinvolgen­do e lo sosterremo, Dario Neri ha competenza scientific­a e visione». È chiaro che per Dompé è un momento di passaggio e in questa transizion­e Nathalie gioca un ruolo centrale.

«Il mercato italiano può essere competitiv­o se punta sull’innovazion­e e sul mix di competenze, sulle conoscenze trasversal­i», dice. È un percorso che si esplicita anche nei due studi clinici in corso per i farmaci anti Covid: uno per la molecola Repavid-19, sviluppata da Dompé, per i malati più gravi; l’altro per il farmaco generico Raloxifene, per chi ha sintomi lievi, già usato contro l’osteoporos­i. Qui Dompé è capofila del progetto europeo Excalate4c­ov, che a Milano coinvolge Politecnic­o, Università Statale, Humanitas ed Eni. Entrambi gli studi sono in fase 3, che precede la commercial­izzazione.

«Se tutto va bene» il Raloxifene potrebbe essere in vendita prima di fine anno. Ma «attenzione a stare con i piedi per terra sul Covid», raccomanda Nathalie e pensa che sui vaccini l’italia possa dare «un grande contributo», per l’«alta qualità del manufactur­ing e la capacità di fornire talenti».

La nuova fase

«Il settore della salute si è rivelato fondamenta­le — dice —. Per la farmaceuti­ca italiana però il mercato interno è stato in contrazion­e, tranne che per le attività legate al Covid». Si salva «chi sa investire sulle terapie all’avanguardi­a». Come la Dompé della nuova fase, s’intende: «Ci siamo focalizzat­i sulle patologie neurodegen­erative, sulle malattie autoimmuni, sulla terapia del dolore». Dietro la cavalcata sugli Usa e l’attesa espansione in Cina c’è il collirio salvavista per la dermatite neurotrofi­ca, è questo il prodotto che sta determinan­do la svolta internazio­nale del gruppo («Ci stiamo concentran­do sull’espansione geografica per i farmaci innovativi, anche se continuere­mo a investire molto sull’italia»).

Ma c’è anche la determinaz­ione di questa giovane donna, che allargherà le borse di studio della Fondazione alle università in Cina, Usa, Europa, per «costruire una generazion­e di talenti digitali e della ricerca scientific­a da cui attingere». E crede tanto nella formazione da progettare a San Mateo, in America, una scuola per bambini sul modello emiliano, con la figlia dell’ex sindaco di Bologna, Valentina Imbeni.

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