SEMPRE MENO STATO IMPRENDITORE DA ALITALIA A ILVA IL TEMPO PERSO INSEGUENDO IDEOLOGIE
Il «ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione. Compito dello Stato è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell’istruzione e della formazione, della regolamentazione, dell’incentivazione e della tassazione». Le parole di Mario Draghi, nel suo discorso per la fiducia alle Camere, sono una traccia utile per quanti auscultano da giorni il ventre del governo per carpirne gli orientamenti circa il ruolo dello Stato nell’economia. Per ora l’unico dossier cui il premier si è applicato è quello Alitalia: troppo avanti per essere riscritto. I tre miliardi per salvarla andranno a aggiungersi agli altri, con buona pace di chi la voleva definitivamente fallita.
Ma l’indicazione fornita dal premier non può essere fraintesa: lo Stato adopera delle «leve» tra cui la spesa, indirizzata alla ricerca e all’istruzione, gli incentivi e la regolamentazione. E su questo ultimo punto Draghi ha già chiesto all’autorità garante per la concorrenza di «produrre in tempi brevi» alcune proposte nella sua legge annuale. Lo Stato resta dunque «giocatore a bordo campo», pronto a intervenire ma senza accanimenti terapeutici. Se è così, tra i dossier aperti, che riepiloghiamo in queste pagine, solo quello di Alitalia suona come tale.
Autostrade per l’italia è un asset di tutto rispetto, per cui i 3,5 miliardi che Cdp potrebbe investirvi per l’acquisto vanno soppesati attraverso la lente delle strategie. Il rilancio dell’ilva, del costo di un miliardo, è stato fatto rientrare nell’ambito della riconversione green che prenderà vita con il Recovery plan. Nessun ripensamento è alle viste se la magistratura non cambierà ancora il corso degli eventi.
Molto più interlocutorio resta il dossier sulla rete unica. Qui l’esborso per Cdp per il 10% di Open Fiber resta ancora indeterminato ma si baserà sul prezzo offerto da Macquarie per il 50% di Open Fiber, pari a 2,6 miliardi, se questo venisse accettato. Contro questo progetto d’integrazione si leva forte la voce dei liberisti, per i quali la fusione tra il primo operatore infrastrutturale del Paese e il secondo è un’operazione anticoncorrenziale, utile solo a risolvere i problemi di Tim e dei suoi debiti. Infine il dossier Mps su cui sta già lavorando il ministro dell’economia, Daniele Franco. L’intento è quello di trovare la via d’uscita meno onerosa per lo Stato che ha già impiegato 5,4 miliardi per salvare la banca senese e ora si ritrova davanti alla prospettiva, in assenza di un’aggregazione con un altro istituto, di partecipare proquota alla ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di euro. Quanto peserà la recente bocciatura della Corte Europea della decisione con cui l’antitrust nel 2015 considerò «aiuti di Stato» il salvataggio di Tercas? Il M5S è già sul piede di guerra...