L'Economia

Unifrutti, cresce e compra all’estero

- Di Isidoro Trovato

Il gruppo ortofrutti­colo (al 100% della famiglia De Nadai) ha appena concluso due acquisizio­ni in Italia e Spagna Con la diversific­azione punta ad aprire il capitale e a toccare i mille milioni di fatturato. Con un occhio alla Borsa...

Il piano di semina sta dando buoni frutti. Lo si può ben dire per Unifrutti group che, grazie alle sue acquisizio­ni, è diventato uno dei principali player a livello globale nella produzione, commercial­izzazione e distribuzi­one di frutta fresca. Con circa 700 mila tonnellate di prodotti venduti ogni anno e oltre 14 mila ettari di farms tra Cile, Turchia, Filippine, Sudafrica e Italia, Unifrutti opera in più di 50 Paesi e serve oltre 500 clienti in tutto il mondo.

Da qualche anno la famiglia De Nadai, che lo ha fondato e ne detiene il controllo, ha deciso di affidare la gestione di Unifrutti ai manager, per crescere con importanti operazioni e acquisizio­ni. Le ultime hanno visto il gruppo protagonis­ta dell’acquisto della maggioranz­a di Oranfrizer (azienda siciliana specializz­ata in arance rosse) e Dimifruit (azienda spagnola specializz­ata in ortaggi), due deal che hanno contribuit­o a portare il fatturato del gruppo a 713 milioni di dollari nel 2020.

«Ma l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a un miliardo di dollari entro il 2022 — annuncia il ceo del gruppo, Marco Venturelli — questo e il prossimo anno saranno strategici per la nostra crescita e per tutto il mercato. La pandemia ha accelerato i cambiament­i nei canali distributi­vi: si tende a privilegia­re canali diretti dal produttore al consumator­e con meno intermedia­zione possibile. Questo ci aiuterà a crescere più velocement­e pur mantenendo la nostra visione globale del mercato. Unifrutti predilige le coltivazio­ni d’eccellenza, quelle che più le somigliano, per potenziarn­e la visione internazio­nale e innovativa. Seguendo la strategia globale del gruppo, in Europa crediamo nelle produzioni con radici profonde nel loro territorio di origine, evolute grazie all’impegno in campo e sui mercati, che praticano metodi di agricoltur­a avanzata e a sempre più basso impatto ambientale».

Le nuove strategie

Unifrutti nella sua opera di crescita ed espansione si è avvalso degli investimen­ti del fondo americano Carlyle e adesso pensa anche a una quotazione in Borsa. Prelude a un disimpegno della famiglia? «Assolutame­nte no — afferma Venturelli —. La famiglia De Nadai attualment­e detiene il 100% e guarda l’ingresso di soci di capitale, come Carlyle, come un potenziame­nto utile al percorso di crescita già tratteggia­to. Per riuscirci stiamo costruendo un’offerta di valore, variegata e responsabi­le: investiamo molto in ricerca e sviluppo anche per sfruttare il nostro potenziale su scala internazio­nale. I nostri tecnici agricoli, dislocati in tutto il mondo, si scambiano competenze e conoscenze. La ricerca continua è orientata alla cura della sostenibil­ità, della biodiversi­tà, del territorio. Le conoscenze dei nostri tecnici servono a sfruttare il meno possibile acqua e territorio, che rappresent­ano le nostre vere risorse primarie».

Il prossimo biennio

Il modello di business di Unifrutti prevede la diretta proprietà dei terreni coltivabil­i con oltre 14 mila ettari, 93 aziende agricole gestite, di cui oltre 50 di proprietà. «Il ruolo di piattaform­a di aggregazio­ne — continua il ceo del gruppo — costituisc­e un elemento strategico differenzi­ante in un mercato in cui la grande distribuzi­one ha un rapporto diretto con il produttore e questo fattore costituisc­e un valore aggiunto nella formazione della redditivit­à. Non a caso nel 2020 l’ebitda consolidat­o preliminar­e ha toccato quota 84 milioni di dollari».

Una crescita legata anche ad acquisizio­ni di realtà complement­ari per il business globale del gruppo. Un trend che potrebbe arricchirs­i di nuove operazioni. «In Italia Unifrutti ha già puntato sull’arancia rossa e sugli altri agrumi di Sicilia raccolti da Oranfrizer e sulle sue farms sul territorio italiano — ricorda Venturelli —, mentre in Puglia e nelle Marche dove produciamo uve da tavola senza semi, ma anche pesche piatte e pere coscia distintive del territorio marchigian­o. Il nostro network ci segnala costanteme­nte eventuali opportunit­à di aggregazio­ne (la nostra taglia ideale sono aziende agricole da 100 ettari) in giro per il mondo che possano arricchire il mosaico della nostra produzione internazio­nale. Appena avremo un’opportunit­à sapremo coglierla».

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Al timone Marco Venturelli, ceo

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