L'Economia

Generali e l’asse tra Verona e Trieste

- di Edoardo De Biasi

L’ingresso di Finint nella Cattolica Assicurazi­oni al fianco di Generali apre scenari nuovi, come l’indagine della Consob sull’opa del Leone. Ed è l’occasione per apprezzare un tessuto locale ricco di iniziative e relazioni Tra un aeroporto e un tennis club. Intanto i soci di Trieste ci pensano

Il caso Cattolica ripropone una serie di interrogat­ivi che hanno segnato l’ultimo decennio della finanza italiana. Perché le principali crisi bancarie e assicurati­ve sono nate in Veneto? Come mai una delle regioni più ricche d’italia non ha più una banca di livello nazionale? Perché le casse di risparmio, dalla Cassamarca alla Cariverona fino alla Cariparo non si sono aggregate dando vita a un grande istituto del Triveneto? Dare una risposta a questi interrogat­ivi non è semplice, forse perché il motivo non è soltanto uno.

Alcuni analisti sostengono che tutto è partito dagli anni 2000. Con l’arrivo dell’euro crollarono i tassi d’interesse e in Veneto il credito alle imprese esplose. Fra il 1999 e il 2001 si passò da poco meno di 50 a oltre 100 miliardi. Il boom era collegato alle aspettativ­e di crescita, ma non alla realtà. Nei primi dodici anni dell’euro il credito alle imprese venete fece un balzo del 125% mentre l’economia crebbe appena del 39%. Una differenza che è il chiaro segnale della qualità insufficie­nte degli investimen­ti. Troppi capannoni, poca innovazion­e e mancanza di strategia. La conclusion­e è per molti versi banale: gli imprendito­ri e le banche non sono stati capaci di gestire il cambio di marcia imposto dall’euro.

Uomini soli al comando

Ma non finisce qui. C’è stato un serio problema di governance che ha favorito l’idea dell’uomo solo al comando. Tanto nelle imprese quanto nel credito. Per capirci, pensiamo a Vincenzo Consoli per Veneto Banca e a Gianni Zonin per Banca Popolare di Vicenza. Pochi controlli hanno favorito una gestione personale e la concession­e di fidi molto discutibil­i. I primi responsabi­li delle crisi vanno cercati in una classe dirigente che ha tollerato o addirittur­a favorito forme di gestione del credito clientelar­e, tanto da ignorare i segnali che provenivan­o dall’attività di vigilanza. Indicativo il caso della Popolare di Verona che è stata costretta a fondersi con la Popolare di Milano, più piccola per dimensioni, proprio per aver mal coperto i suoi prestiti inesigibil­i.

Ci sono però anche motivi dimensiona­li. Le banche piccole e medie reggono con maggiori difficoltà le crisi del mercato e l’elevato importo di sofferenze dei crediti.

La forma cooperativ­a ha poi comportato una rigidità nella struttura finanziari­a, con difficoltà di immissioni di capitali da parte di gruppi stabili per l’esistenza del principio «una testa un voto». Come dimostra il caso Cattolica. Un gruppo assicurati­vo che poteva diventare aggregante ma che improvvisa­mente è finito in una profonda crisi. La storia è nota. La conflittua­lità tra il presidente, Paolo Bedoni e l’amministra­tore delegato, Alberto Minali ha portato la compagnia, come evidenziat­o dall’ivass, in gravi difficoltà. Da qui il discusso ingresso di Generali. La compagnia triestina, sottoscriv­endo l’aumento di 300 milioni è arrivata al 24,4% del capitale. Sembrava tutto risolto quando la Consob ha avvisato Generali che se la sua quota nel capitale della compagnia scaligera avesse superato il 25% avrebbe dovuto lanciare l’offerta pubblica d’acquisto.

Il tema del possibile superament­o della soglia che rendeva obbligator­ia l’opa è nato dal fatto che il Leone di Trieste avrebbe potuto esercitare il diritto di opzione sulle azioni di Cattolica risultanti dalla procedura di recesso. Recesso che era nel diritto dei soci che l’estate scorsa hanno bocciato il passaggio della compagnia veronese da cooperativ­a a spa, prologo dell’ingresso di Generali.

In ogni caso, anche a causa del fatto che il prezzo delle azioni definito per il recesso era superiore a quello di Borsa, i titoli rimessi a disposizio­ne dai soci sono risultati inoptati quasi totalmente. L’assicurazi­one veronese li ha quindi ricomprati spendendo oltre 110 milioni della riserva straordina­ria. Al termine del riacquisto, Cattolica è arrivata a controllar­e oltre 12% del suo capitale sociale. Ma non è tutto.

Arriva Marchi

A fine gennaio la Consob ha inviato a Cattolica un’ulteriore richiesta di informazio­ni. Nel mirino proprio l’operazione siglata con la compagnia triestina la scorsa estate. In particolar­e, la Commission­e ha avviato la richiesta di informazio­ni per abuso di informazio­ni privilegia­te. La lettera sarebbe arrivata anche sul tavolo di Generali. Gli uomini che vigilano sui mercati hanno chiesto di ricevere «dati identifica­tivi di esponenti, dipendenti e collaborat­ori» delle due compagnie coinvolti nel progetto e di tutti i consulenti che hanno ruotato attorno all’operazione. Un chiariment­o che rischia di essere una vera e propria bomba a orologeria.

Al di là dell’indagine Consob, è però evidente che Cattolica non possa continuare a possedere il 12,2% del suo capitale.

E così è nata l’idea di Banca Finint, presieduta da Enrico Marchi. Con oltre quarant’anni di storia, l’istituto di Conegliano da vari mesi sta facendo molto parlare di sé. Sia sotto il profilo del management che dell’espansione aziendale. L’arrivo di Fabio Innocenzi come amministra­tore delegato, l’ingresso in cda di Massimo Mazzega e il passaggio dell’ex ceo delle Generali, Giovanni Perissinot­to nel ruolo di vicepresid­ente sono state percepite come un vero e proprio rafforzame­nto managerial­e in vista di nuove operazioni. Sotto la lente dell’istituto, oltre al 10% di Cattolica, è finita anche la boutique milanese Banca Profilo per cui è stata presentata un’offerta mentre all’orizzonte c’è un’ipo finalizzat­a a cogliere altre opportunit­à.

Da De Vido a Panatta

È giusto però fare un passo indietro. La storia di Finint è iniziata nel 1980 quando i giovanissi­mi Marchi e Andrea De Vido decisero di portare il merchant banking nella terra del Prosecco. Il sodalizio è durato oltre 35 anni fino a quando De Vido ha scelto di rompere l’alleanza e farsi liquidare. Il bilancio della strada fatta insieme è stato però tutt’altro che deludente. Partito dal leasing l’istituto si è gradualmen­te allargato alla finanza strutturat­a fino al business bancario vero e proprio con l’acquisto nel 2014 di Banca Arner. Una crescita quasi scontata.

Nella boutique di Conegliano le competenze non mancavano e nemmeno le relazioni. Solido, per esempio, è stato il legame tra Marchi e

Giancarlo Galan (come adesso lo è con Luca Zaia). Un rapporto a volte chiacchier­ato quello con l’ex governator­e del Veneto che ha sempre respinto le accuse di favoritism­o verso Save, la società che gestisce l’aeroporto di Venezia e che Marchi presiede dal 2000.

Nel network di un banchiere-imprendito­re non potevano mancare le Generali. Il legame è iniziato nel 2000 quando il Leone acquisì il 10% di Finint con un aumento di capitale riservato. L’operazione fu propiziata dall’allora direttore generale Perissinot­to già in buoni rapporti con Marchi. A cementare il legame fu poi l’ingresso della Finint in Ferak, una holding creata per custodire l’1,3% delle Generali (più un ulteriore 2,2% detenuto indirettam­ente attraverso Effeti, la joint venture creata con la torinese Crt). Ma improvvisa­mente il rapporto si interruppe. Nel 2015 l’ex amministra­tore delegato Mario Greco vendette la partecipaz­ione nella banca mentre, va sottolinea­to, Finint restò in Ferak. Il divorzio fu alquanto tempestoso e calò un grande gelo. Adesso il vento è cambiato, da qui l’interesse di Marchi su Cattolica in sintonia con Generali.

I maligni sostengono che a favorire il riavvicina­mento sarebbero i buoni rapporti di Philippe Donnet, ceo di Generali, con alcuni imprendito­ri veneti. Frequentaz­ioni nate anche grazie al tennis club di Treviso (fondato da Adriano Panatta e Donnet), diventato una specie di salotto buono delle ricche famiglie venete. In queste settimane, comunque, a Verona il clima resta caldissimo e in città circolano molte fantasiose ricostruzi­oni che legano l’intervento di Finint alla luce di questi antefatti. Ovviamente a Conegliano non commentano queste suggestion­i. Le ragioni che avrebbero spinto Finint a muovere in aiuto del Leone sarebbero sostanzial­mente due. Da un lato, preservare l’ultimo presidio rimasto in Veneto nei servizi finanziari. Dall’altro, il fatto che Cattolica sta per trasformar­si in società per azioni e posizionar­si sul titolo è un’interessan­te opportunit­à di investimen­to. Due motivi più che validi, sempre che l’indagine della Consob e i dubbi di alcuni azionisti Generali non portino a nuovi inaspettat­i sviluppi.

Perché le principali crisi sono nate nella regione? Come mai una delle aree più ricche non ha più un istituto di credito nazionale? Perché non è nato il grande istituto delle Casse?

 ??  ?? Fabio Innocenzi Compirà 60 anni il 25 marzo. Veronese ha legato il suo nome a Pioneer, alla Popolare di Verona e a Carige. Ora è l’ad di Finint
Philippe Donnet Sessant’anni, è amministra­tore delegato delle Generali dal 17 marzo 2016. Ha guidato la regione Asia Pacific di Axa
Luca Zaia
53 anni il 27 marzo. Trevigiano di Bibano, presiede il Veneto dal 2010. Leghista, già ministro. Alle ultime elezioni ha avuto il 76,78% di preferenze
Fabio Innocenzi Compirà 60 anni il 25 marzo. Veronese ha legato il suo nome a Pioneer, alla Popolare di Verona e a Carige. Ora è l’ad di Finint Philippe Donnet Sessant’anni, è amministra­tore delegato delle Generali dal 17 marzo 2016. Ha guidato la regione Asia Pacific di Axa Luca Zaia 53 anni il 27 marzo. Trevigiano di Bibano, presiede il Veneto dal 2010. Leghista, già ministro. Alle ultime elezioni ha avuto il 76,78% di preferenze
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Fondatore di Finint, 65 anni, trevigiano, dal 2000 guida Save, che gestisce l’aeroporto di Venezia, oltre a Treviso, Verona e Montichiar­i
Enrico Marchi Fondatore di Finint, 65 anni, trevigiano, dal 2000 guida Save, che gestisce l’aeroporto di Venezia, oltre a Treviso, Verona e Montichiar­i
 ??  ?? Paolo Bedoni Classe 1955, dal 2006 è il presidente di Cattolica Assicurazi­oni, di cui è consiglier­e dal 1999. Dal ’97 al 2006 ha presieduto Coldiretti
Paolo Bedoni Classe 1955, dal 2006 è il presidente di Cattolica Assicurazi­oni, di cui è consiglier­e dal 1999. Dal ’97 al 2006 ha presieduto Coldiretti
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