COINVOLGIAMO I PRIVATI PER VACCINARE PRIMA COME USA, CILE E ISRAELE
con iniziative di design, stiamo discutendo di un progetto top down, nel quale tutto obbedisce a una singola regia regionale, che a sua volta deve essere ben sintonizzata con gli intendimenti del governo centrale. E’, a maggior ragione, quanto ci si aspetta da un generale?
Può darsi, ma forse l’esperienza di questi mesi potrebbe consigliare un cambio di prospettiva: provare, cioè, a coinvolgere più attori possibile, decentralizzando in larga misura il processo. Finora tutto il nostro approccio è stato ispirato da principi rigidamente gerarchici: a cominciare dalla priorità legata prima all’età e poi alla categoria professionale. Invece forse il criterio dovrebbe essere diverso: puntare alla rapidità, attrezzandosi per una grande pesca a strascico, più che alla pianificazione di interventi mirati.
Negli Stati Uniti, Joe Biden ha annunciato che il roll out delle vaccinazioni terminerà a fine maggio, con due mesi d’anticipo sulla tabella di marcia originaria. Gli Usa hanno una popolazione che è circa cinque volte la nostra. Per raggiungere tutte le comunità, l’abile regia di Washington non basta. Lo spirito pubblico-privato dell’ «operazione warp speed» si è concentrato sulla ricerca e sulla produzione del vaccino, ma coinvolge anche la sua distribuzione Un esempio. Walgreens è la seconda catena di farmacie negli Stati Uniti, dopo CVS, con circa 9 mila punti vendita. Nel marzo dell’anno scorso, il ministero per un totale di circa 3 milioni e mezzo di test somministrati.
Qualcuno potrebbe scrollare le spalle e dire che non è una gran cosa: si tratta, dopotutto, dell’equivalente di una quindicina di giorni di screening da parte del nostro servizio sanitario nazionale. Ma CVS, il maggior concorrente di Walgreens, ha fatto la stessa cosa, e così pure Walmart (sono 500 i supermercati in cui si può fare un tampone).
Il pragmatismo
ci sarà sempre qualcuno che non potrà presentarsi.
Cosa si fa con le dosi inutilizzate nell’arco di una certa giornata? In Israele attraverso i social media i più giovani che desideravano vaccinarsi il prima possibile si sono organizzati, per intercettarle. Perché non studiare liste d’attesa parallele, a fronte di un pagamento (segnale della serietà dell’intenzione)?
In assenza di meccanismi di questo tipo, la distribuzione delle dosi «avanzate» non tenderà ad avvenire secondo criteri più opachi? Ancora, siamo sicuri che l’attuale rete di punti di distribuzione sia la migliore? Perché non provare ad affiancare realtà diverse, per esempio le imprese, come suggerito da Carlo Bonomi?
In Cile (lo ha scritto Cecilia Sala, sul )cisi vaccina «anche nelle chiese». Forse datori di lavoro e farmacie potrebbero conoscere meglio le abitudini dei vaccinandi, riuscendo a intercettarli in modo più efficiente. Con molta fatica abbiamo riconosciuto al privato (a medici e farmacie) un ruolo nel monitoraggio della pandemia. La centralizzazione dei tamponi non è stata una prova di grande efficienza. Quella dei vaccini è la prova decisiva, le cose devono andare diversamente. Bisogna valorizzare il flusso d’informazioni che può venire da imprese e territori, per fare presto e per fare bene.