Urgente la riforma dell’insolvenza per attirare capitali
Tra le riforme che la Ue ci chiede da tempo c’è quella del sistema della giustizia, civile e penale. Ci viene chiesto innanzitutto di ridurre la durata dei processi, per la quale siamo (ahimè tristemente) famosi in tutto il mondo. E di questa necessità il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resistenza) si fa carico, nell’ultima versione approvata, dedicandovi giustamente uno certo spazio. Tuttavia, i disegni di legge pendenti in Parlamento, il cui contenuto viene assunto quale attuazione degli obiettivi del Piano in questa materia, non sono stati ritenuti sufficienti dalla Commissione in novembre. È richiesta invece una complessiva riorganizzazione del sistema giustizia, che si raccordi con il quadro generale degli interventi previsti dal Pnrr (in primis la riforma della Pubblica amministrazione e la digitalizzazione), nella prospettiva di una maggiore efficienza. L’importanza di queste riforme va al di là della realizzazione del Pnrr, che le rende finalmente ineludibili. Sulla durata dei processi si gioca infatti l’attrattività del sistema Italia per gli investimenti stranieri, di cui abbiamo bisogno, e la certezza del diritto. Ma si gioca la tenuta di tutto il sistema economico: dovrebbe essere superfluo ricordare che se il recupero di un credito richiede tempi biblici, il suo valore diminuisce e la differenza pesa sul creditore e sul sistema finanziario che lo assiste.
Sul sistema economico pesa anche l’incertezza per la sorte della riforma del diritto dell’insolvenza, del tutto assente nel Pnrr, che ha visto la luce nel 2019 dopo un lungo e travagliato percorso, e che ha subito già due rinvii. Preoccupa l’entrata in vigore delle procedure di allerta in un momento così difficile, ma preoccupa anche il fatto che le nuove norme non sono in linea con la Direttiva 2019/1023, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, per la cui implementazione abbiamo chiesto una proroga di un anno. Anche in questo settore la durata delle procedure è eccessiva, i termini per la presentazione di piani di ristrutturazione e di concordato sono ampi e troppo spesso allungati ulteriormente, con conseguenze pesanti sui creditori, sul sistema finanziario, ma anche sugli stessi debitori e sulle loro prospettive di recupero. La compressione dei tempi per rispondere alle esigenze di razionalizzazione e snellimento delle procedure dovrà essere contemperata all’esigenza di rispettare i diritti della difesa. Ma ci si aspetta che questo bilanciamento sia garantito dalla presenza attenta della ministra Cartabia, forte della sua formazione scientifica di costituzionalista, arricchita dall’esperienza concreta di giudice costituzionale.
Stefania Bariatti
Ordinario di Diritto internazionale, Università degli Studi di Milano