L’industria tiene (i servizi no) La spesa buona che fa crescere
Per fortuna siamo rimasti un Paese profondamente manifatturiero ed esportatore. Perché l’indice di fiducia del settore è in continua crescita grazie alla ripresa più sostenuta di Paesi come la Germania e gli Stati Uniti, da sempre nostri partner privilegiati. E tutto questo nonostante la fortissima crisi che ha colpito il settore dei servizi (turismo, trasporti e via dicendo), crollato del 21,8% nel 2020 mentre per quest’anno si prevede una risalita del 3,4%. Nel campo dello scambio merci la caduta del 2020 è stato del 6,8%, ma nel 2021 è previsto un rimbalzo dell’8,7%. Rispetto al mondo prima della pandemia, ci sono mancati ricavi per circa 1.300 miliardi. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, una grande opportunità per le aziende italiane che hanno fatto dell’export uno dei motori più solidi della nostra crescita. Le opportunità indicate nella «Mappa dei rischi» che ogni anno viene elaborata dalla Sace sono una buona bussola. Il nuovo quadro politico, che vede un’ampia maggioranza a sostegno del premier Mario Draghi, deve spingere imprese e famiglie a guardare con maggiore fiducia verso il futuro. Il governo sa cosa deve fare e speriamo che su vaccini e Recovery plan si passi velocemente ai fatti dopo le intenzioni. Questo deve portare a un rinnovato impegno sul fronte degli investimenti da parte delle imprese. A questo proposito sarebbe bene che la Confindustria si facesse portatrice di queste esigenze. Gli aspetti del welfare sono sufficientemente presidiati dalle forze politiche che temono di perdere consensi. Meno presente è, invece, l’aspetto delle agevolazioni agli investimenti, all’innovazione. E su questo la voce dell’industria si è fatta più flebile. Certo perché è prevalso l’istinto della sopravvivenza di fronte a una crisi minacciosa e profonda. Ma è tempo di riorientare il Paese sul doppio binario, che le aziende conoscono bene, fatto di sostenibilità e crescita. E di far sentire la propria voce.