ANNO 2021 ATTACCO (DIGITALE) ALLA SUPREMAZIA DEL DOLLARO
Una grande accelerazione è il principale effetto economico, tecnologico e soprattutto geopolitico della pandemia. Tutto quel che prima si intravedeva in un futuro indistinto improvvisamente sembra imminente. Decine di Paesi avanzati si avvicinano al giorno in cui dovranno decidere come gestire le loro quantità crescenti di debito pubblico e privato. L’italia anticipa di una decina di anni il momento in cui conterà meno di 400 mila nascite in dodici mesi.
L’adozione delle tecnologie digitali in tutto il mondo diventa più rapida, tanto che l’uso dei pagamenti in contanti e delle carte di credito è quasi scomparso in Norvegia (nell’85% dei casi ormai si paga con lo smartphone) e la circolazione di monete e biglietti di banca è ridotta al minimo anche in Svezia. C’è poi l’accelerazione destinata ad avere le conseguenze più profonde per la generazione dei figli dei babyboomer: Covid-19 potrebbe aver accorciato di cinque anni — al 2028 — il momento in cui l’economia cinese supera per dimensioni assolute quella degli
Stati Uniti e diventa la più grande del mondo. Sarebbe uno di quei momenti che accadono una volta ogni secolo o anche più di rado.
Fra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, gli Stati Uniti superarono la Gran Bretagna per capacità produttiva. Fu allora che partì il conto alla rovescia verso il tramonto della sterlina come principale moneta di riserva, unità di conto e mezzo di pagamento internazionale. I tentativi di restaurarne la gloria dopo la Grande Guerra, riportandola alla parità aurea pre-bellica, si rivelarono socialmente disastrosi e finanziariamente fallimentari. La conferenza di Bretton Woods nel 1944 avrebbe formalizzato una supremazia del dollaro già effettiva da tempo.
La grande sfida
Fu un processo lungo mezzo secolo: significa che è troppo presto per chiedersi cosa potrebbe minacciare la supremazia del dollaro, in uscita dalla pandemia? Forse. Ma la Banca centrale e il Partito comunista cinese pensano altrimenti. Tutto indica che per loro il momento di iniziare a scalzare il ruolo internazionale del dollaro è adesso. Tutto nel modo in cui si muovono fa capire che stanno cercando una piattaforma digitale per depotenziare le prerogative del Dipartimento della Giustizia di Washington nel consentire o bloccare le transazioni in tutto il mondo.
Anche Facebook ormai intravede un’opportunità di far leva sui suoi tre miliardi di utilizzatori mensili (inclusi quelli di Instagram e Whatsapp) per introdurre un mezzo di pagamento che disintermedi le banche con decine di valute nazionali all’interno delle loro giurisdizioni. Né può essere un caso che da Francoforte e da Bruxelles si moltiplicano i segnali che in Europa si è capita la portata della sfida digitale fra le grandi monete e i nuovi aspiranti. Presi dall’emergenza, pochissimi analisti si sono concentrati finora su queste tendenze di fondo parallele alla pandemia. Di recente lo ha fatto Andrea Filtri, co-head of Europe equity research e capo dell’analisi del settore finanziario di Mediobanca, con sede a Londra. Un suo recente rapporto («Digital euro: the ECB saving Europe again», «L’euro digitale: la Banca centrale europea salva ancora l’europa») è per ora unico nel suo genere, perché in un centinaio di pagine delinea il cambiamento in corso. Inclusa la svolta che la Bce sta imprimendo, per impedire che l’europa diventi un vaso di coccio nella grande competizione tecnologica e valutaria in arrivo. Il punto di partenza di Filtri è che «lo status quo è minacciato da molteplici lati». E l’attacco all’egemonia americana sul sistema monetario «potrebbe mettere in pericolo la democrazia in tutto il mondo». Di qui l’esigenza anche per la Bce e la Commissione europea di pensare allo sviluppo dell’euro digitale non solo come mezzo per piccoli pagamenti dei consumatori, ma con una funzione progressivamente più ampia.
La minaccia principale allo status quo, quella più politica, viene naturalmente dalla Cina. La Banca centrale di Pechino ha iniziato le ricerche sullo yuan digitale nel 2014 e nel giugno dell’anno scorso l’infrastruttura tecnologica per farlo funzionare era pronta. Il Digital Currency Research Institute, il dipartimento della banca centrale cinese incaricato del progetto, deteneva già 80 brevetti internazionali nel febbraio dell’anno scorso. Da allora sono stati avviati in 28 città e fra (almeno) 50 mila persone dei test per l’uso al dettaglio della nuova versione della moneta cinese. Il lancio è previsto fra meno di un anno, in coincidenza con le Olimpiadi invernali di Pechino del febbraio 2022.
Dov’è la novità, rispetto ai borsellini elettronici di Wechat o Alipay o a quelli usati in Occidente con Paypal o le carte di credito? Per un padre di famiglia, in apparenza, non è grande: diventa possibile detenere un piccolo conto in yuan digitali, da cui effettuare pagamenti tramite un chip nel telefono. Ma il conto è presso la Banca centrale, che è in grado di sorvegliare ogni movimento e spiazzare concorrenti privati ormai minacciosamente grandi per il regime come appunto Alipay e Wechat.
Ma soprattutto lo yuan digitale sta già acquisendo una dimensione internazionale, con implicazioni potenzialmente profonde. Pechino ha già spinto la Banca centrale di Hong Kong a concludere un accordo con la Banca di Thailandia per l’uso dello yuan digitale come mezzo di pagamento internazionale per transazioni all’ingrosso. E non si tratta solo di un progetto per sostituire il dollaro come valuta di fatturazione nel commercio globale, soprattutto fra i Paesi della Via della Seta in Asia e in Africa. L’aspetto più rilevante è che si intravede il progetto di un’infrastruttura digitale per pagamenti transfrontalieri alternativa a Swift e alla sorveglianza del Dipartimento della Giustizia americano. Con sede in Belgio, controllata da oltre 3.500 gruppi finanziari e vigilata dalle banche centrali delle democrazie del G10, Swift («Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication») è il sistema da cui passano oggi i pagamenti fra undicimila banche in oltre duecento Paesi. Poiché i server di Swift sono negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia e l’office of Foreign Asset Control americano sono in grado di controllare e bloccare scambi con Paesi o individui sotto sanzioni. Lo yuan digitale è dunque il maggiore tentativo di aggirare il ruolo dell’america come gendarme dell’economia globale.
Libra di Facebook non ha gli stessi obiettivi geopolitici, ma potenzialmente lo sono le sue conseguenze. Diem è il nuovo nome dell’associazione basata in Svizzera che prepara questa moneta digitale e a fianco di Facebook vi partecipano, fra gli altri, Uber, Shopify (concorrente canadese di Amazon), Lyft e il fondo sovrano di Singapore Temasek. Il progetto iniziale prevedeva una moneta digitale funzionante attraverso la Blockchain, associata ai tre miliardi di profili attivi della più grande piattaforma social del mondo e sostenuta da un paniere di valute sovrane in cui il dollaro rappresentasse il 50% e l’euro il 18%. Ma la Bce non è caduta nella trappola. Diem non è stata autorizzata a depositare parte del proprio attivo in riserva presso la Banca centrale di Francoforte. Non potrà dunque operare secondo il disegno iniziale e si limiterà probabilmente agli Stati Uniti, almeno all’inizio.
Se si diffondesse nell’immensa base di utilizzatori di Facebook, potrebbe di fatto sostituirsi alle valute meno stabili di decine di Paesi emergenti per le piccole transazioni e rendere più difficile anche la politica monetaria della Bce: chi accetterebbe per esempio tassi negativi sui depositi, se la moneta digitale di Facebook offre rendimenti migliori? Conclude Filtri:«libra potrebbe concentrare un enorme potere economico nelle mani di poche persone, diventando uno dei maggiori attori sulla scena globale senza nessun mandato diretto o indiretto degli elettori, ma solo con una funzione di massimizzazione del profitto» di chi la controlla.
La Bce ha capito la sfida per tempo e di fatto a giugno lancerà un calendario per arrivare a un euro digitale. Ha spiegato di recente a Der Spiegel Fabio Panetta, dell’esecutivo di Francoforte: «Abbiamo bisogno di un’opzione europea e non vogliamo che un piccolo gruppo di imprese dominino quest’area e magari alzino le loro commissioni. Non penso che l’area euro possa restare ai margini, quando Big Tech e altre banche centrali vanno avanti sulla digitalizzazione dei pagamenti». L’idea è iniziare con un semplice mezzo di pagamento per consumatori per piccoli conti. Ma il significato politico, a lungo andare, può essere molto più vasto.
Dagli scambi commerciali il conflitto si allarga alle e-valute. Pechino ha già fatto molti passi in avanti e dall’esito della partita dipenderanno gli equilibri economici e politici di domani Le mosse di Facebook. E ora anche l’europa si sta muovendo (per una volta in anticipo)