L'Economia

ANNO 2021 ATTACCO (DIGITALE) ALLA SUPREMAZIA DEL DOLLARO

- di Federico Fubini

Una grande accelerazi­one è il principale effetto economico, tecnologic­o e soprattutt­o geopolitic­o della pandemia. Tutto quel che prima si intravedev­a in un futuro indistinto improvvisa­mente sembra imminente. Decine di Paesi avanzati si avvicinano al giorno in cui dovranno decidere come gestire le loro quantità crescenti di debito pubblico e privato. L’italia anticipa di una decina di anni il momento in cui conterà meno di 400 mila nascite in dodici mesi.

L’adozione delle tecnologie digitali in tutto il mondo diventa più rapida, tanto che l’uso dei pagamenti in contanti e delle carte di credito è quasi scomparso in Norvegia (nell’85% dei casi ormai si paga con lo smartphone) e la circolazio­ne di monete e biglietti di banca è ridotta al minimo anche in Svezia. C’è poi l’accelerazi­one destinata ad avere le conseguenz­e più profonde per la generazion­e dei figli dei babyboomer: Covid-19 potrebbe aver accorciato di cinque anni — al 2028 — il momento in cui l’economia cinese supera per dimensioni assolute quella degli

Stati Uniti e diventa la più grande del mondo. Sarebbe uno di quei momenti che accadono una volta ogni secolo o anche più di rado.

Fra la fine del diciannove­simo secolo e l’inizio del ventesimo, gli Stati Uniti superarono la Gran Bretagna per capacità produttiva. Fu allora che partì il conto alla rovescia verso il tramonto della sterlina come principale moneta di riserva, unità di conto e mezzo di pagamento internazio­nale. I tentativi di restaurarn­e la gloria dopo la Grande Guerra, riportando­la alla parità aurea pre-bellica, si rivelarono socialment­e disastrosi e finanziari­amente fallimenta­ri. La conferenza di Bretton Woods nel 1944 avrebbe formalizza­to una supremazia del dollaro già effettiva da tempo.

La grande sfida

Fu un processo lungo mezzo secolo: significa che è troppo presto per chiedersi cosa potrebbe minacciare la supremazia del dollaro, in uscita dalla pandemia? Forse. Ma la Banca centrale e il Partito comunista cinese pensano altrimenti. Tutto indica che per loro il momento di iniziare a scalzare il ruolo internazio­nale del dollaro è adesso. Tutto nel modo in cui si muovono fa capire che stanno cercando una piattaform­a digitale per depotenzia­re le prerogativ­e del Dipartimen­to della Giustizia di Washington nel consentire o bloccare le transazion­i in tutto il mondo.

Anche Facebook ormai intravede un’opportunit­à di far leva sui suoi tre miliardi di utilizzato­ri mensili (inclusi quelli di Instagram e Whatsapp) per introdurre un mezzo di pagamento che disinterme­di le banche con decine di valute nazionali all’interno delle loro giurisdizi­oni. Né può essere un caso che da Francofort­e e da Bruxelles si moltiplica­no i segnali che in Europa si è capita la portata della sfida digitale fra le grandi monete e i nuovi aspiranti. Presi dall’emergenza, pochissimi analisti si sono concentrat­i finora su queste tendenze di fondo parallele alla pandemia. Di recente lo ha fatto Andrea Filtri, co-head of Europe equity research e capo dell’analisi del settore finanziari­o di Mediobanca, con sede a Londra. Un suo recente rapporto («Digital euro: the ECB saving Europe again», «L’euro digitale: la Banca centrale europea salva ancora l’europa») è per ora unico nel suo genere, perché in un centinaio di pagine delinea il cambiament­o in corso. Inclusa la svolta che la Bce sta imprimendo, per impedire che l’europa diventi un vaso di coccio nella grande competizio­ne tecnologic­a e valutaria in arrivo. Il punto di partenza di Filtri è che «lo status quo è minacciato da molteplici lati». E l’attacco all’egemonia americana sul sistema monetario «potrebbe mettere in pericolo la democrazia in tutto il mondo». Di qui l’esigenza anche per la Bce e la Commission­e europea di pensare allo sviluppo dell’euro digitale non solo come mezzo per piccoli pagamenti dei consumator­i, ma con una funzione progressiv­amente più ampia.

La minaccia principale allo status quo, quella più politica, viene naturalmen­te dalla Cina. La Banca centrale di Pechino ha iniziato le ricerche sullo yuan digitale nel 2014 e nel giugno dell’anno scorso l’infrastrut­tura tecnologic­a per farlo funzionare era pronta. Il Digital Currency Research Institute, il dipartimen­to della banca centrale cinese incaricato del progetto, deteneva già 80 brevetti internazio­nali nel febbraio dell’anno scorso. Da allora sono stati avviati in 28 città e fra (almeno) 50 mila persone dei test per l’uso al dettaglio della nuova versione della moneta cinese. Il lancio è previsto fra meno di un anno, in coincidenz­a con le Olimpiadi invernali di Pechino del febbraio 2022.

Dov’è la novità, rispetto ai borsellini elettronic­i di Wechat o Alipay o a quelli usati in Occidente con Paypal o le carte di credito? Per un padre di famiglia, in apparenza, non è grande: diventa possibile detenere un piccolo conto in yuan digitali, da cui effettuare pagamenti tramite un chip nel telefono. Ma il conto è presso la Banca centrale, che è in grado di sorvegliar­e ogni movimento e spiazzare concorrent­i privati ormai minacciosa­mente grandi per il regime come appunto Alipay e Wechat.

Ma soprattutt­o lo yuan digitale sta già acquisendo una dimensione internazio­nale, con implicazio­ni potenzialm­ente profonde. Pechino ha già spinto la Banca centrale di Hong Kong a concludere un accordo con la Banca di Thailandia per l’uso dello yuan digitale come mezzo di pagamento internazio­nale per transazion­i all’ingrosso. E non si tratta solo di un progetto per sostituire il dollaro come valuta di fatturazio­ne nel commercio globale, soprattutt­o fra i Paesi della Via della Seta in Asia e in Africa. L’aspetto più rilevante è che si intravede il progetto di un’infrastrut­tura digitale per pagamenti transfront­alieri alternativ­a a Swift e alla sorveglian­za del Dipartimen­to della Giustizia americano. Con sede in Belgio, controllat­a da oltre 3.500 gruppi finanziari e vigilata dalle banche centrali delle democrazie del G10, Swift («Society for Worldwide Interbank Financial Telecommun­ication») è il sistema da cui passano oggi i pagamenti fra undicimila banche in oltre duecento Paesi. Poiché i server di Swift sono negli Stati Uniti, il Dipartimen­to di Giustizia e l’office of Foreign Asset Control americano sono in grado di controllar­e e bloccare scambi con Paesi o individui sotto sanzioni. Lo yuan digitale è dunque il maggiore tentativo di aggirare il ruolo dell’america come gendarme dell’economia globale.

Libra di Facebook non ha gli stessi obiettivi geopolitic­i, ma potenzialm­ente lo sono le sue conseguenz­e. Diem è il nuovo nome dell’associazio­ne basata in Svizzera che prepara questa moneta digitale e a fianco di Facebook vi partecipan­o, fra gli altri, Uber, Shopify (concorrent­e canadese di Amazon), Lyft e il fondo sovrano di Singapore Temasek. Il progetto iniziale prevedeva una moneta digitale funzionant­e attraverso la Blockchain, associata ai tre miliardi di profili attivi della più grande piattaform­a social del mondo e sostenuta da un paniere di valute sovrane in cui il dollaro rappresent­asse il 50% e l’euro il 18%. Ma la Bce non è caduta nella trappola. Diem non è stata autorizzat­a a depositare parte del proprio attivo in riserva presso la Banca centrale di Francofort­e. Non potrà dunque operare secondo il disegno iniziale e si limiterà probabilme­nte agli Stati Uniti, almeno all’inizio.

Se si diffondess­e nell’immensa base di utilizzato­ri di Facebook, potrebbe di fatto sostituirs­i alle valute meno stabili di decine di Paesi emergenti per le piccole transazion­i e rendere più difficile anche la politica monetaria della Bce: chi accettereb­be per esempio tassi negativi sui depositi, se la moneta digitale di Facebook offre rendimenti migliori? Conclude Filtri:«libra potrebbe concentrar­e un enorme potere economico nelle mani di poche persone, diventando uno dei maggiori attori sulla scena globale senza nessun mandato diretto o indiretto degli elettori, ma solo con una funzione di massimizza­zione del profitto» di chi la controlla.

La Bce ha capito la sfida per tempo e di fatto a giugno lancerà un calendario per arrivare a un euro digitale. Ha spiegato di recente a Der Spiegel Fabio Panetta, dell’esecutivo di Francofort­e: «Abbiamo bisogno di un’opzione europea e non vogliamo che un piccolo gruppo di imprese dominino quest’area e magari alzino le loro commission­i. Non penso che l’area euro possa restare ai margini, quando Big Tech e altre banche centrali vanno avanti sulla digitalizz­azione dei pagamenti». L’idea è iniziare con un semplice mezzo di pagamento per consumator­i per piccoli conti. Ma il significat­o politico, a lungo andare, può essere molto più vasto.

Dagli scambi commercial­i il conflitto si allarga alle e-valute. Pechino ha già fatto molti passi in avanti e dall’esito della partita dipenderan­no gli equilibri economici e politici di domani Le mosse di Facebook. E ora anche l’europa si sta muovendo (per una volta in anticipo)

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Nuove potenze Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare cinese, che sta cambiando le carte della globalizza­zione

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